Giordano Bruno e i simboli misteriosi

inserito il 27 11 2023, nella categoria Tavole dei Fratelli

Theuti Radius

Una melagrana, il globo terracqueo, un cordone intervallato da nodi d’amore, i segni zodiacali, le stelle nel soffitto… ma quanti simboli ancora sono presenti in questo tempio? E perché? C’è una logica nella loro disposizione? Non mi pare, ma forse qualcuno, prima di noi, ha voluto lasciare tracce di un cammino già percorso in passato. Ma allora, perché non lasciare tracce più chiare? Non sarà che i nostri predecessori hanno voluto renderne difficoltose le tappe significative, una sorta di “caccia al tesoro” ancestrale in cui i più tenaci, i più meritevoli vengono premiati? Quanti, troppi interrogativi. Forse è il caso di fare un passo indietro e ripartire dal concetto di simbolo, che altro non è che l’arte di pensare per immagini. In altre parole “simbolo” è una raffigurazione che, per sua natura, allude ad altro rinviando a significati che travalicano la percezione immediata, solleticano l’intelligenza dell’osservatore e lo portano ad andare oltre l’apparenza. I simboli quindi invitano il nostro pensiero ad abbandonare la struttura logico-deduttiva e accedere a una nuova dimensione più collocata su un piano di analogie e corrispondenze. Essi poi vengono tramandati da una generazione all’altra; nei secoli compaiono, sono dimenticati e successivamente ricompaiono. Il bolognese Achille Bocchi, nel ‘500, sosteneva che il simbolo è quanto di più adatto a essere colto dalle qualità più nobili dell’intelletto perché non è discorsivo, non implica un dialogo con chi lo osserva, bensì pretende che costui abbia caratteristiche intellettuali adeguate per capire la sua profondità. Il simbolo inoltre è duttile, non è soggetto a normative severe, ma ha , al contrario, una sua elasticità, tanto che queste caratteristiche ne fanno un vero e proprio enigma, da decifrare con tutta la calma, la pazienza e l’arguzia di cui deve essere dotato l’indagatore di turno. L’avventura umana è da sempre accompagnata da figure, simboli e allegorie. Sono immagini che condensano saperi, memorie, ma soprattutto hanno la capacità di generare significati sempre diversi e spesso segreti. I simboli hanno da sempre determinato la storia dell’umanità, influenzando ciò che facciamo, ciò che pensiamo, ciò che desideriamo, e spesso senza che ce ne accorgiamo. Uno degli aspetti più affascinanti delle opere di Giordano Bruno sta nel fatto che si tratta dell’unico filosofo che ha illustrato i testi da lui concepiti con proprie, personali immagini, a prima vista incomprensibili, disarmoniche, a volte caratterizzate da improbabili simmetrie. Per di più questa strana iconografia è ottenuta, nella maggior parte dei casi, con incisioni che, esaminate attentamente, rivelano una mano incerta, quasi quella di un bambino. Altra caratteristica di questi, che ora possiamo chiamare simboli, è che sono stati inseriti in un testo, non tanto per illustrarne il contenuto, quanto piuttosto per affiancarvi un testo parallelo in cui l’autore offre al lettore la possibilità di vivere, per mezzo di quelle immagini, un’esperienza di tipo mnemonico-immaginifica. Oggi viviamo un periodo storico in cui tutto ciò genera stupore, incredulità perché questo tipo di esperienza si è irrimediabilmente perduto nel corso degli ultimi secoli. Oggi il grande patrimonio delle immagini è completamente affidato ai “media”, ma nel 1600 di Giordano Bruno era la mente umana che produceva le immagini e quanto più esse venivano rappresentate in modo ordinato, preciso e concettualmente corretto, tanto più il lettore perveniva a una interpretazione filosofica vicina alla verità. Emerge quindi una certa supremazia valoriale dell’immagine rispetto alle stesse parole? Certamente queste ultime soggiacciono a elementi di sintassi, a regole pre-definite di costruzione grammaticale mentre l’immagine è per sua natura molto più libera, addirittura anarchica nel suo essere svincolata da canoni convenzionali.  L’immagine possiede in sé un enorme potere, in quanto detiene al suo interno il valore simbolico di base. La genialità del filosofo campano sta nel fatto che i suoi trattati sono sempre accompagnati da immagini che non fotografano la realtà che lo circonda, ma sono invece idee partorite dalla sua mente e pertanto difficilmente interpretabili. Se a ciò aggiungiamo che, nella maggior parte dei casi, questi simboli nulla hanno a che vedere con il testo in cui sono inseriti, perveniamo a una conclusione molto intrigante: Bruno ci offre un secondo testo costituito da proprie, personali raffigurazioni, quasi a dirci: “Questa figurina è il mio contributo alla soluzione del problema che si dibatte. Ora tu, lettore attento e intelligente, crea la tua figurina”. Da un lato due mattoni ad arricchire il tempio della conoscenza, dall’altro la formazione di una indipendenza intellettuale estremamente importante, soprattutto se considerata in un contesto sociale e religioso come quello vissuto pericolosamente da Giordano Bruno. E’ giusto quindi che il percorso conoscitivo più profondo venga lasciato libero, indipendente. Sarà cura dell’acuto lettore dare disciplina e ordine alle immagini, sia quelle contenute nel testo, che quelle suggerite dalla propria mente, così come disciplina e ordine meriterebbero tutte le raffigurazioni che si formano nella fase onirica del sonno, quando la mente, svincolata dalla razionalità, produce libere rappresentazioni figurative di una realtà alternativa che si fa strada attraversando strati su strati di memoria; ma questa è un’altra storia ancora.

Guido Poletto


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