Che sia per una causa giusta

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Tavola del fr:. P:. B:.

Due preamboli vanno posti prima della tracciatura della Tavola.

 Il primo di essi è la frase pronunciata dal 1° Sorvegliante nell’iniziazione al grado di Apprendista Libero Muratore, dopo il quarto viaggio, quando ci si chiede se saremo, forse un giorno, disposti a difendere i nostri Fratelli a prezzo di un nostro sacrificio personale,  ammonendoci  sul fatto che se ciò dovesse accadere “… che sia sempre per una causa giusta!”.

Il secondo preambolo è la seguente affermazione di René Guénon in “Considerazioni sulla Via Iniziatica: “… ogni vera conoscenza è, essenzialmente e nella misura in cui realmente esiste, una identificazione del conoscente e del conosciuto… Ne consegue che ogni uomo sarà infallibile se esprimerà una verità che conosce realmente, vale a dire a cui si sarà identificato; ma non sarà allora infallibile in quanto individuo umano, bensì in quanto, in virtù di questa identificazione, rappresenta, per così dire, questa verità stessa; a rigor di termini, in un caso simile non si dovrebbe dire che egli esprime la verità, ma, invece, che per suo mezzo la verità si esprima”.

Ciò premesso, quando mi è stato chiesto di preparare una tavola con questo titolo, la mia prima riflessione è andata alla difficoltà di tracciarne i contenuti senza essere condizionato dai gravami del sapere profano.

Superare questa prima difficoltà non è cosa secondaria, perché parlare di scelta tra “giusto” e “sbagliato” implica l’impiego della ragione, del “mentale”.

E mentale significa teologia morale ed filosofia etica che si possono leggere come derivati exoterici della tradizione iniziatica antica, discorsi razionali sul senso dell’esistenza e dell’essenza dell’essere umano.

Queste costruzioni importanti del sapere profano sono state in alcuni casi guida sapiente ed in altri disgrazia dei popoli.

Impegnare la ragione per comprendere se una cosa è moralmente o eticamente giusta è, senza dubbio, un impegno meritorio e doveroso: declinato con umiltà, l’impiego della ragione è fondamentale anche per l’acquisizione della consapevolezza che il nostro Rito richiede agli iniziati.

Da Socrate e Platone fino a Hegel e Nietsche, molti filosofi si sono cimentati con i dilemmi etici, alcuni ipotizzando assoluti valoriali, altri relativizzando o umanizzando i precetti.

Medesima cosa, anche se ad un livello meno umano, hanno tentato molti teologi: da Clemente Alessandrino e Nicola Cusano, per giungere alle formulazioni di Spinoza e Klein, a differenti livelli e subendo gli influssi del loro tempo, tutti hanno tentato di dare una cornice razionale solida ai precetti religiosi.

Possiamo parlare di etica massonica ed è lecito impegnare il nostro Ordine in rapporti di relazione con la struttura del pensiero filosofico o teologico?

Una prima considerazione porta ad escludere il rapporto con queste, pur poderose, costruzioni del pensiero.

L’iniziazione ha lo scopo di trasformare il profano in una pietra grezza. L’abbandono dei metalli è, in questo senso, sintomatico e simbolico dell’obbligo di sottrarsi alle influenze del mondo profano per consentire che questo cambiamento di stato in potenza divenga concreto.

La via da percorrere incessantemente è esattamente questa progressiva trasformazione, che avviene simbolicamente per gradi.

Ma come può essere acquisita questa progressiva consapevolezza?

Non esistono equivalenti profani per l’acquisizione di sapienza richiesta al Massone: l’occultismo e dell’istruzione consueta sono lontanissimi dalle necessità di un’istituzione iniziatica.

Il nostro Ordine utilizza la simbologia, nello specifico la simbologia muratoria, per trasmettere questo sapere e non potrebbe essere diversamente, dato che le cose da comprendere hanno caratteristica di segreto iniziatico.

Per lo stesso motivo per cui in Massoneria non si scrive, non è immaginabile di poter avere un Fr:., qualsiasi sia il grado che riveste, che possa essere maestro nel senso profano del termine.

Il massone è chiamato a levigare la sua pietra, scavando in profondità dentro se stesso, con umiltà e senza ipocrisia.

Con ciò non si deve intendere che i nodi d’amore che lo legano ai FFr:. siano privi di utilità: al contrario, l’ordine iniziatico esige riti nei quali i simboli circolano all’interno di una comunità che si ritrova, in armonia, in un tempo sacro.

In questo sta la Maestranza massonica: in un appoggio solido al Fr:. nella sua personale ricerca di consapevolezza, un sostegno che non sarà mai la trasmissione prescrittiva di acquisizioni individuali e che si gioverà esso stesso della differenza essenziale espressa da chi percorre il medesimo cammino. Tale è l’unicità della via iniziatica e, contemporaneamente, la ricchezza dei percorsi personali.

Ma se la parola non può essere, per definizione, lo strumento dell’inesprimibile, come è ipotizzabile il ricorso alle costruzioni del pensiero profano per stabilire che cosa è giusto?

Questa seconda distanza dall’etica e dalla morale del tempo ordinario, pur se formulata in chiave di domanda, può offrire una possibile soluzione al dilemma iniziale.

Che cosa è sostanzialmente la Libera Muratoria è inesprimibile, però sappiamo che i FFr:. sono spesso accomunati nelle modalità di analizzare il mondo.

Il Libero Muratore conosce per simboli, con livelli di interpretazione univoci ma rapportati al grado di consapevolezza del lettore.

Tradotto in termini “etici”, intendendo per “etica” il fondamento razionale, emotivo, spirituale e metafisico che permette di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, al Massone è richiesto di migliorare se stesso attraverso un lavoro interiore.

L’analisi di sé dovrà essere condotta con l’intuizione, mediata dalla ragione.

In altre parole, per decidere ciò che è giusto è richiesto al Massone di superare la scorza razionale, per accedere alle sue emozioni, al suo spirito, fino a ricollegarsi a quel centro interiore che lo fa parte del tutto.

Questa banale interpretazione del simbolo puntiforme al centro della circonferenza è una delle possibili declinazioni dell’etica massonica.

Non solo una questione di metodo, come spesso tendiamo noi stessi a banalizzare. E’ una questione più profonda quella che ci unisce oltre le apparenti differenze.

Ed è probabilmente questa predisposizione interiore che ci fa apparire simili tra noi quando siamo lontani dalle colonne.

Ma mi fermo qui. Già troppe parole sono state spese per ridurre a pensiero il significato e le conseguenze della nostra appartenenza.

Ho detto:.

P:. B:.

L’illustrazione: “Amor sulla Bilancia” (Tarsia del Coro di S.Maria Maggiore, Bergamo).

Novembre 2016 e.v.

 


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