Sindrome Apocalisse

APOCALISE ARMAGGEDON

Tavola del fr:. Andrea Musi 30

E’ una ricorrente malattia dell’animo umano, inoculata dal morso dell’antico Serpente, come la doppia insidiosa ssibilante del suo nome sembra ancora oggi voler indicare.  Apocalisse!

Una patologia antica, forse quanto l’Uomo, per lunghi periodi silenziosamente latente, più virulenta in altri momenti storici.

E’ la sindrome della Fine del Mondo, sindrome che porta con sé anche la ben più dilaniante ansia del “Giudizio” e del “Dopo”, fra aspettativa e paura del “Nuovo Inizio” che dovrebbe subentrare alla distruzione del mondo così come lo conosciamo.

Questo è almeno il senso delle profezie e delle visioni apocalittiche che da sempre abitano nell’inconscio collettivo dell’Umanità.

Pare che dai tempi dell’Impero Romano ai giorni nostri la Fine del Mondo sia stata annunciata almeno 183 volte1.

E quante volte si è verificata?… Milioni, miliardi di volte. Ogni volta che un’esistenza si è spenta, il mondo, le stelle, l’universo intero si sono spenti con essa. Il concetto dell’Apocalisse Maiuscola, quella delle profezie e delle scritture (in primis quella di Giovanni) è dunque intrinsecamente legato a quello dell’apocalisse minuscola, ovvero il destino biologico di morte che accumuna ogni essere, ed è proprio per questo che l’Apocalisse ha sempre avuto (ed ha tuttora) tanta presa sulla psiche di ogni singolo uomo, tramutandosi talvolta in autentica psicosi collettiva.

Una psicosi che non ci trascina alla pazzia, semplicemente perché, come accade con la prospettiva di morte individuale, in condizioni normali è un argomento rimosso dai nostri pensieri quotidiani.

Accade la stessa cosa anche nelle società umane: quando sono piene di energie e di progetti non pensano certo all’Apocalisse, ma quando le stesse società invecchiano, quando le loro difese immunitarie fisiche e spirituali si attenuano, allora i pensieri apocalittici si risvegliano, in un misto di paura e speranza che “la fine di tutto” sia anche “il cambiamento di tutto”, l’uscita da un tunnel esistenziale che appare, in quei momenti di crisi, privo di sbocchi.

E’ la condizione delle “civiltà esaurite”, che hanno smarrito radici, scopi, e senso della storia.

Civiltà scomparse o assimilate da altre.

Civiltà che hanno perso le proprie ultime battaglie, semplicemente perché non avevano più sufficiente convinzione per battersi.

Sono le Apocalissi della Storia, apocalissi che si sono ripetute tante volte, e che qualche volta noi stessi, contemporanei dell’Occidente, abbiamo l’impressione che stia accadendo di nuovo (ma ne parleremo più avanti).

Paura e speranza: è questa ambiguità che costituisce l’aspetto più insinuante ed anche più intrigante della Sindrome Apocalisse.

Una sindrome che procura una insopportabile incertezza. Ed è proprio su questa incertezza che hanno sempre avuto buon gioco i profeti veri o falsi che hanno fornito agli uomini, in varie epoche ed in vari modi,  le proprie visioni personali per risolvere il rebus semantico dell’Apocalisse: Fine o Inizio? e quale Fine e quale Nuovo Inizio?

Le visioni apocalittiche sono state davvero tante, e sono mutate nel corso dei secoli. Molte mitologie si sono formate e si sono reciprocamente influenzate sul tema dell’Apocalisse.

Ma su tutte ve ne è una che ha trovato anche l’avvallo della scienza moderna, ed è quella dell’Apocalisse Cosmica.

APOCALISSE COSMICA

L’APOCALISSE COSMICA

La scienza ha infatti apportato una certezza, con tanto di data relativamente precisa, alle tante profezie indeterminate dell’Apocalisse, almeno per quanto riguarda la prima parte del suo contenuto mistico: ovvero l’annuncio della Fine (non altrettante certezze la scienza ha invece ancora potuto fornire sulla seconda parte dell’evento apocalittico: la possibile rigenerazione di un nuovo mondo e di una nuova vita, magari in altre dimensioni fisiche o spirituali).

Il dato certo è che il mondo finirà esattamente fra quattro miliardi di anni, quando il Sole, venerato a lungo dagli uomini come fautore divino di vita e ritenuto esso stesso un Dio, si ricorderà di essere una semplice stella e si arrenderà alle leggi fisiche del decadimento della materia e dell’energia, coinvolgendo nella sua agonia tutti i pianeti che lo circondano, compresa la Terra.

Da fonte di vita, il nostro Sole diventerà causa di morte e distruzione. Ecco come descrive l’Apocalisse Solare l’astrofisica Margherita Hack: “La morte del Sole è una certezza: finirà le riserve di idrogeno e per non esplodere dovrà espandersi diventando una Gigante Rossa, che ingoierà incendiandoli i pianeti più vicini  Mercurio e Venere,  e lambirà anche l’orbita della Terra che diventerà arida e invivibile, le temperature saranno torride, si morirà subito. Insomma, una bella infornata. Del Sole, non più in grado di produrre energia, resterà solo un nocciolino centrale, una Nana Bianca, un cadavere di stella che ci metterà miliardi di anni per raffreddarsi”.

Ma non è finita qui: dopo qualche altro miliardo di anni avverrà un evento cosmico ancor più distruttivo e definitivo. Uno scontro fra galassie. La nostra e quella di Andromeda, già da miliardi di anni-luce in rotta di collisione fra loro.

Le due spirali di stelle che le compongono si intersecheranno e si distruggeranno a vicenda in un inimmaginabile tamponamento di corpi celesti. Stelle e pianeti si sbricioleranno. Si creerà un’enorme massa di pulviscolo e detriti cosmici. A far da spazzino saranno i due buchi neri nascosti all’interno delle rispettive galassie, che si fonderanno in un unico superbuco nero, un  vortice immenso e famelico, destinato ad inghiottire tutta la materia e tutta l’energia che lo circondano.

Spariranno così tutti i  resti delle due galassie che si sono scontrate, e fra questi anche gli ultimi resti (a livello di energia “fossile”, di atomi e di particelle) della specie umana e di tutte le altre forme di vita che erano esistite sul pianeta Terra (estinto ormai da tempo) e che si erano rimescolate alla materia cosmica. Tutto sparirà in quel grande buco nero, e quella sarà la fine definitiva di tutto ciò che è stato.

Forse tutta la materia che reca in sé il ricordo dell’umanità scomparsa, attraverso quello stesso buco nero, sarà proiettata in un  altro Universo, in un’altra dimensione, dove la vita potrà rigenerarsi in forme nuove e diverse. Forse la Storia si rimetterà in moto.

Ma nessuno, però, sa attualmente cosa accade e dove finisce la materia risucchiata dai buchi neri, che sono milioni di miliardi nell’Universo, praticamente uno al centro di ogni galassia. Ed è questo l’interrogativo apocalittico che la scienza moderna lascia ancora aperto.

Fa semmai impressione la precisione con cui l’Apocalisse Cosmica ed il tracollo del Sole sono stati anticipati e descritti ben duemila anni prima che i più moderni radio-telescopi potessero scorgere fenomeni simili già avvenuti agli albori dell’Universo. Le parole sono di Seneca: “…E quando verrà il Tempo che l’Universo si estinguerà per rinnovarsi, le cose che vedi si autodistruggeranno, le stelle cozzeranno con le stelle, tutta la materia prenderà fuoco e le varie luci del firmamento divamperanno in un unico incendio”. Una profezia di incredibile modernità scientifica risalente ai tempi dell’Imperatore Nerone (I secolo d.C.).

 

LA MINACCIA ERRANTE

Dunque quattromiliardi di anni è la scadenza improrogabile dell’Apocalisse Cosmica. Sempre che la civiltà umana non si autodistrugga prima (sono infatti tuttora aperte le ipotesi di una Apocalisse Nucleare, così come quella di un’Apocalisse Ecologica, e perfino quella di un’Apocalisse Esistenziale, ciascuna delle quali potrebbe anticipare di molto la fine del mondo così come lo conosciamo oggi, senza troppe garanzie di un possibile nuovo Inizio).

E sempre che l’Apocalisse Cosmica non si determini molto prima in un’altra forma, come ad esempio l’impatto di un grande asteroide con il nostro pianeta

Ci sarebbe poi anche una minaccia più ciclica: quella dell’”Apocalisse del Decimo Pianeta”, un corpo celeste errante conosciuto già dai Sumeri e dagli Egiziani, che attraversa il sistema solare ogni 3600 anni, con orbite sempre più concentriche ed intersecanti con quella terrestre. Sarà questo pianeta a determinare l’inversione dei poli terrestri? Sarà il perfetto allineamento di questo Pianeta X (“ics”come decimo appunto) con Marte, Giove, Venere e Mercurio ad aprire la Porta del Tempo?2

Albrecht Durer che sedici anni prima (1498) aveva già prodotto una serie di impressionanti xilografie sull’Apocalisse di Giovanni, riprende il tema di questa ulteriore profezia astrologica in un’opera, la Melanconia; opera in cui appare una donna triste e pensosa mentre alle sue palle una specie di cometa si abbatte su una piramide egizia, opera che Durer incise nel 1514 dopo aver assistito l’anno prima al passaggio di una vera cometa nei cieli occidentali, giudicata allora di cattivo auspicio, anche perché la sua orbita era rivolta a Sud Est verso la Bilancia, segno zodiacale che simboleggia il Giudizio Universale e la Fine dei Tempi.

Durer_Melancolia

 

IL  TEMPO DELL’APOCALISSE

Un altro fattore variabile della fenomenologia apocalittica, ovvero dei sintomi con cui si è manifestata nel tempo e nella storia la sindrome sociale e spirituale che l’accompagna, è il concetto del “Tempo Apocalittico”. Anzi è proprio basandosi su questo fattore che si possono determinare e riconoscere i vari strati delle diverse Apocalissi che si sono sovrapposte nella storia, mutuando e modificando i propri valori simbolici e semantici.

Va innanzi tutto segnalata una crasi semantica fondamentale legata proprio alla concezione del Tempo: una fusione di significati simbolici dell’Apocalisse, che si è verificata nel passaggio dal mondo classico a quello cristiano, passaggio che ha comportato la fine della concezione ciclica (circolare) del Tempo e l’avvento di una nuova concezione lineare del suo svolgersi.

Così l’Apacatastasis degli antichi si è trasformata nell’Apocalisse dell’immaginario cristiano.

Apocatastasi deriva in greco dalla proposizione temporale “apò” e dal verbo “kathìstemi”:  in senso medico “ritornare in salute”, in senso astronomico il ritorno di un corpo celeste al punto di partenza della propria orbita.

Per gli Orfici, da Anassimandro a Crisippo, e poi ancora fino a Pitagora e Platone, l’Apocatastasi indicava il destino ciclico del mondo che dopo ogni apice di civiltà era destinato a precipitare nuovamente nel caos, per riprendere poi il cammino verso una nuova “Aurea Aetas”, Età dell’Oro.

Una ciclicità che per alcuni poteva dare adito a nuovi percorsi della storia, per altri, i più, si sarebbe invece trattato di una replica esatta di tutto ciò che era stato.

Nemesio di Emea diceva infatti che “Vi sarà di nuovo Socrate, vi sarà di nuovo Platone… e questo ritorno si effettuerà non una sola volta, ma molte volte all’infinito”.

Il senso del Tempo e dell’Apocalisse cambierà radicalmente tre secoli dopo Cristo (precisamente il 28 ottobre del 312) allorchè il mondo classico sprofonderà  definitivamente nelle acque del Tevere, all’altezza del Ponte Milvio, dove annegò il suo ultimo inadeguato difensore, Massenzio, sconfitto ed inseguito dall’esercito vittorioso di Costantino che avrebbe poi trasfuso l’ideologia di supporto dell’Impero Romano nella nuova religione cristiana facendone il culto di Stato, un culto che da perseguitato sarebbe divenuto in breve un formidabile persecutore di tutto ciò che rappresentava e ricordava il precedente mondo pagano.

Il tempo nell’era cristiana da circolare diventa dunque lineare, come sviluppo di un piano divino verso la totale redenzione del genere umano, attraverso appunto il passaggio fondamentale dell’Apocalisse, che acquista una nuova accezione etimologica tratta, sempre in greco, dalla preposizione “apò” (questa volta in senso di negazione) e dal verbo “kalùpto” (nascondo), quindi nel significato di “non nascondo”, “rivelo”, come Voce di Dio che parla al mondo.

L’Apocalisse cristiana avrebbe significato quindi la scomparsa definitiva del mondo che aveva preceduto la sua Rivelazione e che ancora in parte resisteva ad essa, un mondo che non sarebbe mai più tornato, anche perché implacabilmente destinato alla condanna ed alla dannazione (tranne pochissimi giusti) nel Giudizio Finale che avrebbe accompagnato l’Apocalisse, per far posto ad un nuovo mondo dominato da una nuova legge divina.

Senonchè proprio questa ansia salvifica provocò varie psicosi individuali e collettive nella cosiddetta “Primavera Cristiana”, la stagione che portò questa religione ad emergere dalla clandestinità fino ad assumere lo status di religione di stato, mettendo poi al bando tutte le altre religioni dell’Impero romano.

Psicosi legate proprio alle diverse prospettive temporali dell’Apocalisse, dovute per lo più alla convinzione che la parousia, ossia la seconda e definitiva venuta del Messia, e con essa l’inappellabile Giudizio Finale, fosse imminente. Apocalisse che avrebbe dovuto cancellare per sempre il vecchio mondo pagano.

Ma quando quel mondo divenne prevalentemente cristiano l’ansia dei fedeli e dei loro teologi, si fece meno pressante, ed alla tensione per un’immediata venuta del Messia, si sostituì il “longum tempum” della storia cristiana, un processo più lento e progressivo – scrive Lowith3 a proposito di Sant’Agostino – nell’attesa di un trionfo finale, al di là del tempo storico, della Città di Dio sul regno degli uomini peccatori.

Insomma con la Chiesa così vicina al potere terreno, anche il paradiso poteva attendere.

La prospettiva dell’Apocalisse qui ed ora, veniva sostituita da una scadenza più dilazionata nel tempo, di circa mille anni, da cui il termine Millenarismo desunto dal ventesimo capitolo dell’Apocalisse di Giovanni in cui si parla del “Regno di Dio instaurato da Cristo in seguito all’imprigionamento di Satana per mille anni. Trascorsi i quali, vi sarebbe stata l’ultima lotta finale con il demonio, seguita dal Giudizio Universale, e, per i giusti, il definitivo avvento del Regno spirituale ed eterno7.

Nonostante la successiva dissociazione della Chiesa anche dal Millenarismo Apocalittico, condannato ufficialmente dal Concilio di Efeso nel 431, il parossismo dell’Apocalisse creò non pochi scompensi al popolo cristiano, ed in particolare ai primi cristiani che si aspettavano di incontrare già durante la propria esistenza Gesù tornato fra loro, con casi inconsulti di psicosi individuale e collettiva, come l’ansia di martirio che al tempo delle persecuzioni, portò molti cristiani ad autodenunciarsi per “affrettare” l’incontro con Dio.

Casi singoli, ma anche di folle intere, come quella che, fra il 258 ed il 259, accompagnò sul luogo del martirio il vescovo di Cartagine, Cipriano, chiedendo in centinaia a gran voce agli esterrefatti magistrati romani di essere tutti uccisi con lui5.

 

 

L’ANNO MILLE CHE NON FU

Va invece sfatato, quasi totalmente, il mito dell’Anno Mille.  La leggenda dei tremori e dei timori apocalittici, con processioni di penitenti terrorizzati che avrebbero affollato le chiese nell’ultima notte del primo millennio, credendo che fosse l’ultima della storia dell’uomo, fu in realtà un’invenzione postuma di Illuministi inglesi del Settecento (e più tardi di Romantici tedeschi) per screditare la Chiesa di Roma e il fanatismo cattolico.

Le persone comuni non sapevano nemmeno quanti anni avevano (la Chiesa aveva infatti abolito da tempo i compleanni, che i romani invece celebravano, ritenendoli un  retaggio di vecchie superstizioni pagane).

Solo i dotti, i monaci, i notai ed i nobili (non tutti) sapevano in che anno si viveva. Ed anche fra la gente istruita vi sarebbe stata una certa difficoltà nel determinare con precisione quale sarebbe stata l’ultima fatidica notte del primo millennio.

In Francia l’anno finiva nella notte tra il Sabato Santo e la Pasqua. A Roma ed in Germania l’anno scadeva invece nella notte di Natale. In Toscana ed in Lombardia il Capodanno veniva celebrato il 25 Marzo, giorno dell’Annunciazione4. Insomma sarebbe stato un vero problema nell’Anno Mille sincronizzare tutte le paure della Fine del Mondo.

E’ pur vero che la paura della Fine del Mondo qualche breccia nell’animo dell’Uomo dell’Anno Mille l’aveva pur fatta, anche per via della predicazione missionaria di numerosi monaci itineranti che passavano di villaggio in villaggio per evangelizzare le genti nel segno dell’attesa profetica del ritorno di Cristo.

Accade così che soprattutto in Francia, in calce ad atti notarili di testamenti e donazioni (molte alla chiesa stessa) comincia ad apparire sempre più frequentemente la frase “appropinquante fine mundo6.

L’intensificarsi della predicazione apocalittica da parte di vari gruppi e correnti religiose non aveva solo questo scopo utilitaristico, c’era sicuramente anche l’impeto di una fede profonda ed integrale, ma c’erano anche altri fini, poco spirituali e molto più profani.

L’arsenale simbolico e semantico dell’Apocalisse, e soprattutto la figura dell’Anticristo, divennero armi dialettiche e politiche potenti da scagliare contro l’avversario nelle lotte che si accesero allora fra Papato e Impero, tra Papi ed Antipapi, tra fazioni dinastiche e ordini religiosi, fra semplici fedeli e le potenti istituzioni civili e religiose che li dominavano7.

Innescato l’uso dell’Apocalisse a fini di lotta di potere, da parte di settori della stessa Chiesa Cattolica, non si potrà però evitare che il fenomeno sfuggisse al suo controllo, ed anzi le si rivolgesse contro, con l’insorgere di eresie e di numerosi movimenti pauperistici, comunistici, profetici, spiritualistici, o di semplice protesta5, come le famose Jacquerie del 1350 in Francia ed in Inghilterra.

Le lotte di potere avevano minato l’immagine della Chiesa, e cominciarono a levarsi voci apertamente critiche verso di essa, trovando schiere sempre più numerose di persone propense ad ascoltarle, sfidando ogni possibile repressione.

In questo clima di sbandamento di valori e di riferimenti tradizionali, proliferavano gruppi con atteggiamenti tanto più fanatici ed integralisti, quanto disperati.

Sospinti da capi e guide spirituali di varia estrazione (da Pietro l’Eremita a Folco di Neully, dal falso conte Baldovino a Fra Dolcino, ma anche da tanti semplici impostori e profittatori) poveri e contadini diedero vita a rivolte utopiche, senza alcuna possibilità di successo, cullando il sogno di un nuovo Eden, raggiunto attraverso l’Apocalisse che essi stessi avevano iniziato, un Eden in cui azzerare le differenze sociali, mettere tutto in comune, donne e proprietà.

Sogni disperati, spazzati via nel sangue.

Clamoroso il caso dei Flagellanti, movimento nato a Perugia nel 1260, che si propagò in tutta Europa, fino a quando, per i suoi massacri ed i suoi eccessi anarchici, venne completamente annientato dal potere civile e religioso6.

Catari a parte, un altro movimento apocalittico che ebbe lunga durata e grande diffusione fu quello del Libero Spirito, che in Europa assunse anche le definizioni di Amaulriani (credevano nell’imminente divinizzazione di tutti gli uomini da parte dello Spirito Santo), di Begardi, Beghine, Turlùpini

Seguaci di Amalrico du Bène, teologo dell’Università di Parigi, pensavano di vivere nell’ultima età del mondo e che a loro, gli Spirituali, sarebbe stata consentita ogni libertà di costume, come praticare uno sfrenato erotismo, la nudità rituale (per questo il Papato emise una bolla contro quelli “che pregavano nudi”), perfino la truffa e la violenza.

Problemi simili, forse maggiori, vennero poi dagli Hussiti di Boemia e dalla loro frangia più estrema, quella dei Taboriti, che ritenevano di dover “agevolare” l’Apocalisse eliminando fisicamente gli avversari (siamo alla fine del ‘400).

Naturalmente tutti questi movimenti vennero soppressi nel sangue. Il loro testimone sarà comunque raccolto dagli Anabattisti (che predicavano la necessità di un secondo battesimo). Sarà questo l’ultimo dei grandi movimenti millenaristici-apocalittici sorti in Europa (prima del grande e definitivo strappo protestante), particolarmente in Svizzera e Germania, sospinto dalla predicazione fanatica di Thomas Munzer, amico in gioventù di Martin Lutero.

Le idee del movimento Anabattista furono l’architrave della rivolta dei contadini tedeschi e della loro rovina.

Nel 1534, convinti che l’Apocalisse si sarebbe verificata nella Pasqua di quello stesso anno, gli Anabattisti conquistarono la città di Munster e vi instaurarono una spietata teocrazia, esiliando tutti gli avversari, instaurando un vero e proprio “Terrore politico-religioso” che imponeva la comunione di tutti i beni, la distruzione di libri ed opere d’arte, ed introduceva perfino la poligamia obbligatoria.

L’anno successivo la città fu assediata e ripresa dalle truppe del Vescovo. Ed il loro capo, Giovanni di Leida, che si era autoproclamato Re e Messia degli Ultimi Giorni, sperimentò un’atroce Apocalisse personale sotto i ferri roventi del Boia di Munster.

I tempi erano comunque ormai maturi per le Apocalissi della Modernità.

 

LE  APOCALISSI  MODERNE

Sarà un semplice foglio di carta appeso il 31 ottobre 1517 da Martin Lutero e dai suoi allievi alla porta del Duomo di Wittemberg a determinare la prima Apocalisse Moderna.

La Riforma Protestante provoca un totale sconvolgimento del mondo cristiano e di ogni prospettiva apocalittica professata fino ad allora.

L’effetto di frammentazione della cristianità che essa produce impedisce la perpetuazione di una identità unitaria della Fede, e dissolve anche la convinzione dell’esistenza di un unico Dio e di una sua unica Chiesa.

La religione perde la sua aura universale per diventare non solo più terrena, ma addirittura territoriale: regni che restano nell’alveo tradizionale cattolico, regni che sposano la nuova religione protestante. “Cuis regio, eius religio”.

E’ la terra “guasta” di Dante quella su cui l’Uomo del Cinquecento si ritrova a camminare, barcollante, senza più sogni universali, proiettato in una solitudine spirituale, al limite del vuoto, che d’ora in poi si potrà considerare la cifra dell’Apocalisse moderna7.

La Riforma stessa sarà di fatto un’Apocalisse. La rottura del filo con cui era stata tessuta la storia cristiana fino ad allora.

Cambierà per sempre l’ordito e la trama del telos che aveva legato religione e società. Sarà proprio questo strappo ad aprire il varco ad un nuovo soggetto della storia, la borghesia, che troverà parole ed armi per realizzare la seconda grande Apocalisse Moderna, ovvero la Rivoluzione Francese, inverando così il sogno mai concretizzato dei Millenaristi medievali: quello di distruggere “in un colpo solo” l’intero assetto politico, sociale e religioso di un mondo in cui non credevano più, in un’apocatastasi cruenta ma necessaria per fare spazio ad una nuova Età dell’Oro, o almeno al tentativo di crearla ex novo.

Assieme alla Rivoluzione Francese, quella Protestante sarà quindi il discrimine più netto fra passato e modernità.

Curiosamente entrambi questi eventi ebbero “profeti” incredibilmente puntuali. Albrecht Durer anticipò esattamente di vent’anni l’Apocalisse Protestante con una serie di stampe dedicate alle visioni di Giovanni. Mentre già nel 1300 un cardinale, Pierre d’Ailly, aveva indicato esattamente nel 1789 l’anno in cui si sarebbero verificati eventi simili a quelli dell’Apocalisse. E così fu.

Ma ci fu un evento, all’apparenza puramente episodico, ma che avrà invece effetti dirompenti nell’immaginario simbolico dell’intero Occidente. Un piccolo “segno”, ma con grandi conseguenze apocalittiche: si tratta della rottura, avvenuta a Reims il 3 Ottobre 1793, della Sacra Ampolla che conteneva il crisma con cui da secoli, fin dal tempo di Ecberto, venivano consacrati i Re di Francia. A compiere il gesto è Philippe Ruhi. Deputato della Convenzione per il Basso Reno.

Forse nemmeno lui si rendeva conto di aver cancellato in un sol colpo una tradizione che era alla base di un millenario ordine politico e sociale. Di aver spezzato per sempre il rapporto mistico fra i Monarchi e Dio, rendendo impossibile ogni futura legittimazione sacrale del potere.

Nell’estirpare ogni radice  dell’Antico Regime fu senz’altro più determinante e “apocalittica” quell’ampolla spezzata, che la lama della ghigliottina che aveva reciso la testa del Re e della Regina di Francia.

Si chiudeva così una lunga epoca storica e se ne apriva un’altra totalmente nuova, non meno tumultuosa e drammatica, giunta fino ai giorni nostri con il suo corollario di guerre, disordini, mutamenti politici, economici e sociali. Un’epoca, la nostra, densa di nuovi annunci apocalittici. Un’epoca destinata ad essere dominata più dalla tecnica che dallo spirito. Ed infatti è proprio ai giorni nostri che si sono messi sinistramente in moto gli ingranaggi di una macchina davvero infernale: l’Orologio dell’Apocalisse.

APOCALISSE NUCLEARE

L’OROLOGIO DELL’APOCALISSE 7

Con il suo ticchettio (virtuale) scandisce il tempo che ci separa dall’inizio di una possibile guerra nucleare.

Quello dell’Orologio è lo stratagemma con cui gli scienziati all’indomani dello scoppio delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki hanno cercato di sensibilizzare l’umanità sul rischio di una distruzione totale del mondo ad opera di un’Apocalisse con armi nucleari.

L’ora fatale è fissata alle 12.  Al tempo dello scoppio della prima bomba atomica l’orologio segnava le 11.45.  Oggi segna le 11.55, per un motivo facilmente intuibile: allora solo due superpotenze detenevano armamenti nucleari, oggi sono almeno venti i paesi dotati di bombe atomiche, senza contare la possibilità che nel frattempo anche gruppi terroristici o spregiudicate società criminali ne siano entrati in possesso, per vie più o meno misteriose.

L’uomo, insomma, avrebbe tutto il potere di attuare quell’Apocalisse che Dio ha annunciato ma non hai mai osato scatenare.

Senza contare il fatto che il rischio nucleare non è solo bellico, ma anche l’aumento delle centrali nucleari per usi civili ha incrementato il rischio di incidenti che potrebbero essere fatali per gran parte del genere umano.

 

L’APOCALISSE ECOLOGICA

Ai primordi dell’Uomo, nel Paleolitico, pare che in tutto il mondo non esistessero più di 5 milioni di uomini.

Oggi siamo circa 6 miliardi.

Qualcuno ha calcolato che se la popolazione mondiale continuasse a crescere geometricamente agli stessi ritmi dell’ultimo secolo, nel prossimo millennio vi sarebbero addirittura milioni di  abitanti per ciascun metro quadrato, su ogni lembo di terra emersa8.

Fortunatamente la curva demografica sta in realtà rallentando, ma questo non eviterà che fra pochi decenni la popolazione mondiali tocchi i 9-10 miliardi di individui. Il pianeta potrà sopportare un simile peso demografico? Vi saranno sufficienti risorse energetiche ed alimentari? Ma più banalmente vi sarà abbastanza spazio vitale per tutti?

L’umanità non ha mai sperimentato una simile densità, e non sono pertanto del tutto note le reazioni psicologiche e fisiche che potrebbero manifestarsi in situazioni di incredibile sovrappopolazione. Reazioni violente verso il prossimo, od autodistruttive verso se stessi. Ci sono specie animali che in casi simili, compiono improvvisamente migrazioni di massa tendenzialmente suicide, come i lemming, una specie di roditore nordico, o come talune specie di pesci che si spiaggiano periodicamente sulle rive del mare o dei fiumi.

Ma se si appurasse che la Terra non può garantire la sopravvivenza di tanti essere umani, quale sarebbe il rimedio? La risposta più “umana” potrebbe essere quella di affidarsi ai processi naturali.

Ma ci sono anche risposte più ciniche e disumane che giungono da sette elitarie, come quella, made in Usa, che vorrebbe governare un Nuovo Ordine Mondiale con una popolazione del globo ridotta a non più di 500milioni di individui. Ridotta come? Beh, rendendo meno efficaci gli attuali sistemi sanitari, curando meno malattie, ed introducendone anzi di nuove, epidemiche e virali, poi qualche piccola guerra termonucleare “regionale”, ed infine si preconizzano anche armi batteriologiche mirate geneticamente, in grado cioè di colpire selettivamente solo certi ceppi umani.

Non sono piani segreti, sono progetti manifestati apertamente da questi ambienti settari (purtroppo anche con qualche dentellato para-massonico deviato).

Quindi fra i compiti dell’autentica Massoneria vi è senz’altro anche quello di vigilare su svolte autocratiche che potrebbero creare nuovi olocausti e laceranti conflitti. E se ci fosse da schierarsi fra il Bene ed il Male avere sufficiente lucidità di giudizio per fare la scelta giusta.

APOCALISSE ESISTENZIALE

L’APOCALISSE ESISTENZIALE

L’uomo moderno, per lo meno quello Occidentale, ha perso da tempo la propria identità religiosa.

Un uomo su sei nel  mondo non crede più in Dio, cioè più di un miliardo di persone. L’ateismo sarebbe quindi la terza “religione” del mondo, dopo cristianesimo e Islam14.

Anche le identità ideologiche e politiche del passato più o meno recente sono ormai sfumate.

Imperano la cultura della tecnica e quella del consumismo.

Non ci sono più utopie. Mancano i progetti ed anche i sogni latitano,

Tende così a prodursi una patologia mentale – la depressione – che sta già diventando la malattia più diffusa ed il vero comune denominatore della società occidentale.

E’ la sindrome delle civiltà stanche, propense ad arrendersi, quasi senza combattere, al fato o a civiltà più energiche ed ormonali.

Di per sé questa condizione costituisce già una sindrome apocalittica in atto. Una sindrome che ci pone nella stessa condizione degli abitanti dell’antica città descritti in una famosa poesia del poeta greco Costantino Kavafis9: la popolazione ed i leaders di quella città sono così esausti, così privi di prospettive, che all’avvistamento dei barbari all’orizzonte, fanno letteralmente festa. Forse quei barbari li uccideranno, li sottometteranno, ma i cittadini ed i senatori si agghindano lo stesso per andare incontro ai barbari con i loro vestiti migliori e  le chiavi della città. Forse verranno annientati, pazienza, almeno sarà un reset, una svolta, una nuova chance che da soli non sarebbero comunque mai riusciti  a darsi. Sono pronti a subire la propria Apocalisse, senza nemmeno partecipare allo scontro finale per la propria sopravvivenza. Sperano solo nei barbari. All’ultimo momento però questi fanno dietrofront. E la città ripiomba nella depressione e nel suo  spleen inerte. In attesa di essere consumata dal tempo.

E’ questa la forma più grave e perniciosa di sindrome apocalittica. Probabilmente già in una fase conclamata, in cui si aspetta solo l’arrivo della fine, o di qualche barbaro prima che sia troppo tardi.

E bisognerà stare molto attenti a cogliere i segni premonitori dell’atto finale, prima che scatti l’apocalittico e irreversibile istinto autodistruttivo della città di Kavafis.

Quale potrebbe essere un segno del genere? Non ci sono più sacre ampolle da rompere. Ma ci sono ancora simboli potenti che potrebbero essere attaccati. Forse un segno apocalittico c’è già stato: l’attacco alle Torri Gemelle del 2011. Ha avuto in effetti risvolti apocalittici. Ha cambiato abitudini e concezioni del mondo, che ci è improvvisamente parso più ostile e meno sicuro di quanto pensavamo.

Ma le Torri Gemelle erano forse un simbolo troppo “giovane”, privo di sufficiente vissuto storico per collegarsi agli archetipi più profondi della nostra identità inconscia. Molto diverso sarebbe se ad essere colpiti fossero simboli ben più identitari, ben più radicati nelle nostre tradizioni culturali.

Cosa accadrebbe, infatti, se ad esempio fossero attaccati  e distrutti simboli assoluti delle nostre credenze religiose? Se fosse abbattuta la Chiesa di San Pietro in Occidente. Oppure se fosse distrutta la Pietra Nera della Mecca nel vicino oriente?

Sperimenteremo probabilmente lo stesso straniamento culturale del popolo ebreo, allorchè fu ripetutamente distrutto il Tempio di Gerusalemme. La paura di questo vuoto improvviso potrebbe generare mostri della ragione e dello spirito, pogrom vendicativi e istinti suicidi, fatale perdita di collante sociale ed affettivo, dispersione di speranze in un letargico e mortifero nichilismo.

La massoneria deve quindi tenersi pronta con il proprio retaggio di tolleranza ed idealità, e con la testimonianza dei propri principi, a fronteggiare anche crisi di questo tipo. O ne verrà fatalmente travolta anch’essa.

 

LA VISIONE MANCANTE

Il problema principale della prevalenza del negativo sul positivo nelle varie sindromi apocalittiche che abbiamo descritto, è però una certa mancanza congenita di visione, o meglio una visione solo parziale fornitaci sia dalla tradizione che dalle stesse scritture.

Anche nell’Apocalisse più immaginifica fra tutte, quella di Giovanni, scritta da un uomo di novant’anni, esiliato in un’isola sperduta, ma pur sempre l’unico evangelista che aveva conosciuto direttamente Gesù ed i suoi insegnamenti, anche in questa Apocalisse mentre è chiaramente descritto ogni passaggio, ogni sigillo, dello smontaggio divino del mondo, dello scontro con la Bestia, del Giudizio Finale, del castigo che attende coloro che si sono schierati con il Male, manca invece una visione altrettanto nitida e convincente, di quello che sarebbe il premio dei giusti, il Paradiso, la nuova esistenza spirituale che ci attende, nel nuovo corso del Tempo, dopo che avremo meritato di superare la nostra tribolata condizione terrena.

E non si tratta certo di un limite espressivo dell’autore apocalittico per eccellenza, perché come ha scritto Giorgio Manganelli10, “il Giovanni dell’isola di Patmos aveva un’intelligenza squisitamente visiva, egli pensava per immagini, non per metafore e traslati, ma direttamente per figure; la rappresentazione della fine è una serie di figure che vanno recepite direttamente nella loro celeste o infernale densità, immagini non già della retorica, ma tangibili nello spazio segreto e abbagliato della mente”.

Per cui se dalla capacità immaginifica di Giovanni non scaturisce una rappresentazione più nitida e precisa del Paradiso, significa che l’autore non aveva a disposizione abbastanza materia prima (rivelazione) per potercelo descrivere.

George Orwell11, in un suo celebre articolo, sottolinea come tutti i tentativi di descrivere una condizione di felicità permanente (in questo caso eterna) si sono risolti in un sostanziale fallimento. Anche quelli di descrivere l’approdo ad una felicità ultraterrena non hanno avuto maggior successo. “Come utopia – scrive sempre Orwell – il Paradiso è un fiasco, mentre l’inferno occupa una posizione ragguardevole in letteratura, ed è stato spesso descritto in modo dettagliato e convincente. Molti pastori evangelici hanno spaventato a morte i fedeli con le loro rappresentazioni dell’Inferno. Ma quando si passa al Paradiso si torna inevitabilmente a valersi di parole come “estasi” e “beatitudine”, senza fare molto per spiegare in cosa consistano. Forse il passo più vitale su questo argomento è quello, famoso, di Tertulliano in cui si dice che una delle maggiori gioie (distrazioni) del Paradiso è guardare le torture dei dannati all’Inferno”.

Ma questo non può certo bastare per ottenere l’adesione convinta dell’Uomo moderno al progetto divino dell’Apocalisse, e soprattutto per indurlo a battersi allo stremo nelle fila dell’esercito del Bene, contro quello del Male, nell’Armageddon finale (dal termine ebraico Ar, collina, e Megiddo, la città fortezza che si trovava alla confluenza delle strade percorse dagli Hittiti da Nord, dai Babilonesi e dai Persiani da Est, e dagli Egiziani da Sud. Da Megiddo dipendeva la difesa di Gerusalemme da tutti questi popoli invasori, nemici a turno di Israele).

Saremo motivati e disposti a brandire la spada per difendere Gerusalemme? La domanda posta oggi trova risposta solo nei patti militari più o meno segreti fra Israele, la Nato e gli Usa. Potremmo essere costretti ad entrare in una Apocalisse Mediorientale, dove già ci sono stati combattimenti biblici, in un nuovo Armageddon di nome e di fatto.

Ma per battersi con il cuore contro l’Anticristo ci vorrebbe una visione più a fuoco del futuro post-apocalittico.

Purtroppo gli sguardi sul futuro sono sempre appannati, tant’è che perfino il dio vikingo Odino per “vedere” il proprio futuro dovette privarsi di un occhio e donarlo in pegno alle Parche del Walhalla che gli avrebbero svelato il suo destino.

Ed allora ci vuole una visione interiore. Ma questa solo un’ispirazione iniziatica può fornirla.

 

L’ANTIDOTO INIZIATICO

Cosa può fare la Massoneria Scozzese per curare la sindrome apocalittica della società moderna? Beh, potrebbe impegnarsi proprio per creare una visione di futuro, almeno nell’immaginario dei propri iniziati.

In passato la Massoneria ha già offerto palingenesi alla società, talvolta spingendosi in promesse decisamente ardue da mantenere, come quando ha voluto garantire il diritto alla Felicità nelle moderne Costituzioni che ha contribuito essa stessa a scrivere. Una promessa di Felicità individuale nella Costituzione americana, e la promessa di una Società Felice in quella francese. Forse bastava promettere semplicemente di conservare la Speranza. Sarebbe già stato di per sé un voto estremamente impegnativo.

Un impegno che per alcuni studiosi della tradizione massonica esulerebbe però totalmente dalla reale missione della massoneria.

Per costoro, e fra questi un grande esoterista come Arturo Reghini, qualsiasi palingenesi sociale, qualsiasi passione civile, tradirebbe lo scopo del percorso iniziatico e del metodo massonico.

Legata ad esso non vi era all’origine della massoneria alcuna istanza di progresso sociale, ma solo lavoro esoterico per amplificare i livelli di consapevolezza e di coscienza dei fratelli, e per consentire loro di cogliere appieno il senso sacro dell’esistenza.

Nessuna costituzione democratica e liberale sarebbe stata prevista su questo piano iniziatico.

Ed anche l’inserimento nelle logge e nei loro rituali del  famoso trinomio “Libertà, Uguaglianza e Fratellanza” è, sempre secondo Reghini, una contaminazione “postuma” degli illuministi e della rivoluzione francese, estranea del tutto sia alla riforma inglese della massoneria del 1717 che a quella del 1720.

Ma nonostante queste riserve, la Massoneria ha sicuramente in serbo qualche antidoto iniziatico per contenere ed evitare che si propaghi ulteriormente la sindrome nichilista delle varie Apocalissii che abbiamo preso in esame.

Abbiamo stabilito ad esempio che fra quattro miliardi di anni, l’umanità sarebbe bene che fosse altrove fra le stelle, ben lontana dalla Terra e dal Sole condannati a collassare. Bisognerà quindi escogitare idee e mezzi tecnologici per consentire questa nuova e definitiva Odissea nello Spazio, alla ricerca di una nuova Itaca in un altro sistema solare, fors’anche in un’altra Galassia.

Allora un compito costruttivo della massoneria potrebbe essere quindi quello di favorire e sostenere fin d’ora la ricerca spaziale, come è già accaduto in passato quando molti massoni parteciparono come progettisti e perfino come astronauti alle prime imprese americane, ispirando apertamente con la propria simbologia astrologica perfino il nome di quei progetti (Mercury, Gemini, Apollo) e portando anche le insegne massoniche sul suolo lunare.

Per sostenere uno sforzo simile (un esodo biblico interstellare) sarà necessario non solo un progetto tecnologico e scientifico eccezionale (che dovrà coinvolgere moltissime generazioni), ma anche un progetto esistenziale altrettanto forte per reggere le difficoltà ed i dubbi di un’odissea spaziale così complessa e rischiosa. Occorrerà un nuovo supporto mitologico e simbolico. E chi, se non la massoneria, è in grado di fornire chiavi simboliche e leggende?

La Massoneria dovrebbe spingerci a guardare più spesso il cielo, perché lì ci sono molti dei suoi tesori sapienziali e delle sue ispirazioni esoteriche.

APOCALISSE VEDI STELLE

Ci stiamo abituando troppo a camminare con la testa reclinata e lo sguardo rivolto verso il basso. Anche per questo le nostre visioni si restringono sempre di più. Il futuro non lo possiamo trovare sulla punta della nostre scarpe. La visione del futuro ha bisogno di spazi più ampi per la nostra fantasia e per i nostri sogni. Abbiamo bisogno di aspirazioni ed ispirazioni più elevate e fors’anche più “avventurose” (per risvegliarci dalla nostro pigro letargo esistenziale).

Da quanto tempo non guardiamo un cielo stellato? Cosa ci può essere di più sconfinato per le nostre speranze? Ricordiamoci più spesso che anche le nostre logge hanno una volta stellata e che sono circondate da tutti i segni zodiacali: non sono solo messaggi dalla tradizione del passato, ma sono certamente anche porte iniziatiche per accedere ai segreti del futuro.

Come fratelli scozzesi abbiamo fatto altre promesse fondamentali. Prima di tutto quella di tenere viva la fiamma della speranza, di salvaguardare la candela che la sorregge e la alimenta, e che tante forze negative vorrebbero spegnere.

Come cavalieri abbiamo giurato anche di batterci con la spada, di combattere la menzogna ed il male, anche abbattendo le colonne sacre dei templi se questi nemici (la menzogna ed il male) riuscissero a penetrare al loro interno. Ed abbiamo giurato di combattere anche contro noi stessi, se l’ombra del male si insinuasse nel nostro animo.

Ed a proposito di ombra del male c’è un altro importante compito salvifico che potremmo svolgere: e cioè la creazione di eggregoro positivo, di eggregoro bianco, da contrapporre all’eggregoro nero e negativo che sta rendendo sempre più cupa  l’atmosfera che respiriamo.

E’ indubbio che il lato oscuro della forza, per usare una famosa ed efficace espressione cinematografica, è alacremente al lavoro. Ogni ora, ogni giorno, siamo bombardati da notizie e concetti negativi, tutti deprimenti. E c’è da domandarsi dove e chi è ancora in grado di produrre eggregoro postivo da contrapporvi. Forse la preghiera continua delle suorine di clausura e dei monaci in conventi sempre più vuoti. Forse i mantra dei monaci tibetani. Ma certamente potrebbero farlo con maggior forza e concentrazione anche e soprattutto le logge massoniche.

E per eggregoro bianco qui s’intende non solo la catena universale di tutti i fratelli sparsi per il mondo, ma soprattutto la loro capacità di diffondere idee e concetti positivi, magari cominciando da atteggiamenti semplicemente più sereni (un grande iniziato, Jeremy Bentham, padre della corrente filosofica dell’Utilitarismo ed inventore del concetto di deontologia, pensava che il Bene potesse cominciare da un sorriso, un sorriso dispensato gratuitamente al prossimo; anche per scongiurare il sospetto che il pessimismo apocalittico stia dilagando solo perché i famosi e pacifici Uomini Saggi di Borges15 che inconsapevoli salvano il mondo con la loro bontà, pur continuando ad essere “Giusti”, sembra che non siano più capaci di sorridere… Forse ritrovare quel Sorriso Perduto, per tutti i massoni, potrebbe essere importante quanto ritrovare la mitica Parola Perduta).

Perché l’antidoto iniziatico funzioni occorre però che i primi a credere con convinzione nella sua efficacia siano proprio i fratelli scozzesi.

Altrimenti resterebbe sempre un grosso dubbio: quello che l’eggregoro creato la sera in una tornata delle nostre officine, non possa reggere alle notizie, come al solito disperanti, del primo telegiornale della notte che ci attende quando rincasiamo.

E’ lo stesso dilemma affrontato in questo stesso convegno: siamo Scozzesi o Apocalittici?

Andrea Musi:. 30

Cesenatico, 24 Febbraio 2013 e.v.

 

Note e Bibliografia

 

  1. France Presse
  2. G. F., tavola “Melancolie e Croce Enciclica di Hendeye: il Ritorno al Principio”, 2011, su www.loggiagiordanobruno.com
  3. C-Lowith “Significato e Fine della Storia”, Il Saggiatore, 1991
  1. Franco Cardini intervistato da Silvia Truzzi “Apocalisse il Grande Classico di Ogni Crisi”, La Repubblica.
  2. Franco Cardini “Cristiani Perseguitati e Persecutori”, Salerno Editrice 2011
  3. Piero Angela e Alessandro Barbero “Dietro le Quinte della Storia – La Vita Quotidiana attraverso il Tempo”, Eri Rai-Rizzoli, 2012 (il numero esatto dell’apocalittica proiezione anagrafica citata nel libro è in realtà di ben 50mila miliardi di persone!!!).
  4. A cura di Claudio Bonvecchio ed Erasmo Silvio Storace “L’Orologio dell’Apocalisse – La Fine del Mondo e la Filosofia”, Edizioni Albo Versorio, Milano 2012.

Gran parte delle citazioni testuali e la traccia principale di questa tavola sono state tratte dal testo sopra citato, ed in particolare dal saggio al suo interno di C. Bonvecchio “Le Apocalissi dell’Occidente”.

  1. Angela-Barbero, opera citata (v. 6)
  1. Costantino Kavafis “Aspettando i Barbari” in “Un’Ombra Fuggitiva di Piacere”, Piccola Biblioteca Adelphi, 2004
  2. Giorgio Manganelli “Introduzione a Apocalisse Illustrata di Albrecht Durer”, BUR 1974
  3. George Orwell “Può un Socialista essere Felice” (articolo tradotto da Matia Sepa) dal Corriere della Sera 16 Dicembre 2008,
  4. Paul Le Cour “Il Vangelo Esoterico di San Giovanni – Il Vangelo degli Iniziati”, Bastogi 1950
  5. Antonio Silvestre “L’Apocalisse è Vicina? – Lettura Profana di un Libro Iniziatico”, Bastogi 2006
  6. Angelo Aquaro “E’ l’Ateismo la terza “religione” del Mondo”, La Repubblica

I credenti sono ancora  l’84% della popolazione mondiale. I cristiani restano in testa, incalzati sempre più da vicino dai mussulmani.

  1. Jorge Luis Borges, “Los Justos” nel volume “La Cifra” 1981:

Un uomo che coltiva il suo giardino come voleva Voltaire

Che è contento che sulla terra esista la musica

Che scopre con piacere una etimologia

Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi

Il ceramista che premedita un colore e una forma

Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace

Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto

Chi accarezza un animale addormentato

Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto

Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson

Chi preferisce che abbiamo ragione gli altri

Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo

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