LONGEVITA’, MORTE, IMMORTALITA’:

inserito il 11 03 2024, nella categoria Tavole dei Fratelli

CHE COS’E’ IL  “TEMPO”?

Ci sono giornate strane, come quando, ad esempio, in un caldo pomeriggio estivo, assaporavo quel vago relax ai confini con la noia, su una  spiaggia a me familiare. Inaspettatamente  compare un carissimo amico che, vincendo una certa riluttanza, mi lascia un articolo dicendomi: …capisco che non è il contesto giusto, ma… leggilo anche tu, mi ha colpito e mi ha fatto molto riflettere; mi interesserebbe il tuo parere… a quel punto vinco la pigrizia, inizio la lettura e dopo qualche minuto… scompare il suono della risacca, non c’è più la sabbia attorno a me e… mi accorgo che sto leggendo ad alta voce. L’articolo in oggetto è pubblicato sulla rivista “gli amici di Luca”, vicina alla “Casa dei risvegli Luca De Nigris”, ed è  magistralmente tracciato da Giuseppe Ferrari, psicoanalista nonchè direttore dell’Istituto di psicoanalisi “Erich Fromm” di Bologna. Egli si pone come interrogativo centrale: qual è il ruolo del   TEMPO   e come è giusto interpretarlo nelle leggi che governano l’Universo; stessa domanda peraltro che più di 2500 anni fa si ponevano i presocratici, all’alba del pensiero occidentale.

Una prima discrasia dell’aspetto interpretativo viene evidenziata già da Aristotele quando, nella Fisica, definisce il Tempo come la “misura del movimento secondo il prima e il poi” ma successivamente sostiene che “se non si ammette l’esistenza del numerante, è anche impossibile ammettere quella del numerabile.” In altri termini, il tempo non esiste se non c’è una mente che lo percepisce. Ecco allora che la cultura occidentale razionalistica e tecnologica si è diligentemente provvista di sempre più perfezionati strumenti di misura del tempo, il più evoluto dei quali è oggi l’orologio atomico, che ha una precisione valutabile nello scarto, +/- di un secondo in 2 milioni di anni, ma questa fattispecie rientra in uno solo dei 6 livelli di analisi(*) con cui si può considerare il tempo: la sociotemporalità, che è appunto il mondo degli orologi e dei calendari, cioè del tempo condiviso e convenzionalmente valutato in modo collettivo dagli esseri umani.

C’è poi la atemporalità: in un mondo di radiazioni elettromagnetiche il tempo semplicemente non esiste (se un fotone viene emesso ad un certo istante e percepito da qualcuno un anno dopo, i 2 eventi, per quanto riguarda soggettivamente  il fotone, avvengono simultaneamente)

Prototemporalità: nel mondo delle particelle elementari il tempo è frammentario, non fluisce ed è privo di direzione; l’individuazione di istanti precisi non ha significato e gli eventi possono essere localizzati solo in modo statistico.

(*) I 6 livelli di analisi del tempo sono stati individuati da J.T. Fraser della International Society for the study of Time

Eotemporalità: che è il mondo della materia dotata di massa; in esso il

tempo è continuo, ma anche immobile e privo di freccia. Ad esso non possono essere applicati i concetti di passato, presente e futuro.

Biotemporalità: è il mondo della materia organica e vivente, fortemente dominato dall’entropia, in cui il tempo è dotato di freccia: esiste una distinzione tra passato, presente e futuro ma con orizzonti più o meno limitati in funzione della specie vivente che li subisce.

Nootemporalità: è la realtà della mente umana matura. Qui c’è una precisa distinzione tra passato, presente e futuro e pure con orizzonti sterminati. In questo contesto il presente mentale ha un ambito di orizzonti che può variare in funzione dell’attenzione.

Questo schema quindi mette in luce che i fenomeni “temporali” possono assumere connotazioni estremamente variabili a seconda di chi sia il soggetto che li subisce, o che li valuta, ne scaturisce pertanto grande difficoltà ad individuare una definizione universale di che cos’è il “Tempo”. A questo punto l’autore fa una serie di interessanti riflessioni su ciò che distingue l’uomo dagli altri animali, ad esempio il fatto di porsi tutti questi interrogativi che portano alla tipica ambivalenza di istinti nell’uomo, assente invece a livello animale: solo l’uomo infatti ha creato il problema della dualità tra vita e morte, quando invece il resto del mondo animale e vegetale sembra considerare questo alla luce di una finalità riunificativa, in un quadro di più alta armonia. Eraclito recita “ciò che è vivo e ciò che è morto, ciò che è desto e ciò che dorme, ciò che è giovane e ciò che è vecchio sono in noi la stessa cosa: capovolgendolo, ogni elemento si tramuta nel suo contrario”. Addirittura Freud ebbe a dire che “la meta di tutto ciò che è vivo è la morte”. Dobbiamo quindi pervenire alla conclusione che perfezione e felicità andrebbero cercate nell’eternità del nirvana?

Il filosofo spagnolo Unamuno fa notare un’altra distinzione peculiare tra uomo ed animali: l’uomo è l’unico che si prende cura dei propri morti, fin dai tempi dei primi cavernicoli, che mantenevano in vita resti umani tingendone di rosso le ossa e seppellendole accanto al focolare domestico, fino ai più recenti rituali. Probabilmente un gorilla o un altro primate considererebbe l’uomo come un povero animale malato che ammassa, ordina e cataloga i propri morti.

Ma mentre a livello organico si può giungere all’idea che vita e morte  sono in certo modo unite, l’uomo è riuscito invece a separarle, ponendole in lotta tra loro mediante il fattore, seppur convenzionale: Tempo; è tale fattore che fa scaturire nell’uomo nevrosi e angoscia nonché l’istinto di fuga dalla morte,  che è al centro di ogni religione.

Ecco quindi che l’uomo, al contrario degli animali, costruisce culture ed inventa la “Storia” per sopravvivere alla morte o, quanto meno, per poter rivivere “le temps perdu”.

Per esorcizzare il terrore della morte poi Lucrezio sosteneva che, da un punto di vista soggettivo, la morte non esiste: quando c’è lei, non ci siamo più noi; vana consolazione poiché, anche se non possiamo avere l’esperienza vissuta della nostra morte ci è dato invece vivere partecipando della morte altrui e, come prova suprema, subire l’avvicinarsi della nostra.

A questo proposito il mio pensiero va alla seconda parte del romanzo di Isaac Asimov “L’uomo bicentenario” dove il robot antropomorfo, che nel film omonimo ha le sembianze di Robin Williams, ormai dotato dalla tecnologia di sentimenti umani, deve assistere all’invecchiamento progressivo ed infine alla morte di tutte le persone a lui più care, infondendo nel lettore un crescente senso di gelo e di straziante malinconia…il prezzo da pagare per l’immortalità!

Giuseppe Ferrari a questo punto dell’articolo si chiede cosa sia più giusto: ricercare perfezione e felicità nell’eternità o piuttosto considerare il riposo, il nirvana come cessazione di ogni attività, in altre parole, come morte. Ma è proprio nella risposta a questo interrogativo che egli manifesta un terzo, personalissimo auspicio, che mi sorprende profondamente: una conciliazione tra morte e vita, ovvero la possibilità di una attività (vita) che sia anche riposo (morte).

Forse la tragedia dell’uomo moderno è quella di essere precipitato in una concezione del tempo egocentrica, che tende ad escludere le altre categorie: il presente è ormai inafferrabile e tutto è irreversibile: alla morte vista come punto di rinascita biologica si è sostituita la morte come punto di annientamento alla fine di un processo logorante. Ben difficilmente l’uomo moderno farà la “scelta di Achille” secondo cui è meglio vivere una vita breve, ricca di azioni e di splendori piuttosto che una esistenza lunga ma vuota.

L’uomo moderno non spera più di sopravvivere alla propria morte grazie a qualche simbolo di pietra o di metallo, cerca invece, grazie al credo dell’onnipotenza tecnologica, di sopravvivere alla propria vita guarendo sempre di più, restaurandosi di continuo per durare, durare… 

G:.P:.


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