Ugo Bassi, guerriero disarmato ed eroico

inserito il 01 11 2011, nella categoria Fatti e personaggi, Storia

Giuseppe Bassi (questo era il suo vero nome, quello di Ugo lo assunse in seguito, in omaggio al Foscolo) nacque a Cento, in provincia di Ferrara, il 2 Agosto 1801, crebbe nel modesto ambiente familiare (il padre Luigi era impiegato alla dogana), educato dalla madre Felicita Rossetti, donna religiosissima, amorosa ma di carattere vivace ed energico.

Poi frequentò la scuola degli Scolopi e quindi quella del Collegio di Santa Lucia dei Barnabiti in Bologna.

La cultura fondamentale del Bassi si formò dunque in quel collegio ove le migliori famiglie del Bolognese e della Romagna mandavano i loro figli.

Ebbe compagni il conte Filippo Agucchi e il conte Livio Zambeccari, quest’ultimo destinato ad avventurosa vita militare e patriottica, i marchesi Albricini di Forlì e i conti Giglioli di Ferrara.

L’ambiente era quindi socialmente assai superiore a quello da cui il Bassi proveniva e anch’esso influì assai sul carattere e sulla sua educazione.

Con parecchi di questi aristocratici compagni il Bassi strinse amicizie che durarono per tutta la vita, ma particolarmente tenace fu l’affetto che lo legò ad altri due compagni di studio, poi suoi confratelli, Paolo Venturini e Alessandro Ramenghi.

Non è quindi fuori luogo chiederci se alla formazione della coscienza patriottica del Bassi non abbia in certa parte contribuito lo stesso ambiente barnabitico.

Egli incontrò nella congregazione uomini di indiscutibile ed alto valore, scienziati, letterati, poeti e filosofi, buona parte dei quali di vedute molto vaste, dotati di spirito critico moderno e di larga comprensione dei nuovi tempi. L’ordine stesso, dedicato all’educazione dei giovani, in perenne contatto con la vita sociale, era animato da criteri assai meno restrittivi di quelli di altre comunità religiose.

Ugo Bassi decise di scegliere la vita monastica e dopo aver superato le necessarie prove venne accolto nella Congregazione dei Chierici Regolari di San Paolo, detta dei Barnabiti.

Gli attenti maestri scoprirono subito la vera natura del singolare allievo: misticismo religioso accompagnato ad una intelligenza viva e pronta e ad una memoria prodigiosa.

In un anno imparò il greco in modo così completo da leggerlo, parlarlo e scriverlo, da meravigliare anche il Cardinale Fontana, considerato il primo grecista del tempo.

Parimenti apprese alla perfezione il latino; leggeva e scriveva correttamente in francese ed inglese, recitava a memoria l’intera Divina Commedia; era inoltre esperto nel disegno e nella pittura ed aveva predisposizione alla musica: suonava bene il violino, con maestria la chitarra ed alla perfezione il cembalo, tanto da comporre ballate, canzoni e perfino una Messa.

Pronunciati i voti monastici venne destinato alla predicazione. La predicazione sarà il mezzo potente per esplicare il suo ingegno, la sua grande gioia ed anche il suo tormento; durerà dal 1828 al 1848, venti anni di ebrezza oratoria, di trionfi, di amarezze e persecuzioni.

Il primo periodo può considerarsi formativo; progressivamente intorno al giovane oratore si fa sempre più viva l’attenzione e poi l’entusiasmo del pubblico e in particolare dei giovani. La sua parola vivida, colorita, tuonante, trascina e affascina gli animi.

Il 1835 è un anno di straordinaria importanza per la vita e lo svolgimento dell’apostolato oratorio del Bassi, quando cioè viene chiamato a predicare il quaresimale in San Petronio a Bologna. E’ questo il coronamento di una costante aspirazione.

Sulla predicazione del Bassi a Bologna abbiamo notevoli testimonianze che parlano di un’affluenza straordinaria (si calcolarono fino a 10-12mila persone), il più attento cronista è il Rangone che riporta le sue osservazioni sulla forma oratoria e sugli argomenti trattati.

Apprendiamo perciò del modo di presentarsi al pubblico, della sua azione veramente scenica, della composizione della voce, degli insoliti vocaboli adoperati, dei modi di dire, delle novità dei concetti e della forza di argomentazione.

La bufera comunque scoppiò quando il Cardinale Spinola, Legato Pontificio a Bologna, ravvisò quelle prediche troppo accese, tanto da definire il Bassi “un apostolo della rivoluzione”.

Ne venne subito informato il Papa Gregorio XVI il quale chiamò a Roma il predicatore; nel frattempo però le intercessioni dei confratelli avevano rasserenato l’ambiente ed il Pontefice si limitò a consigliarlo di “predicare più ponderatamente”.

Indimenticabili furono poi le sue prediche in tempi successivi a Vercelli, Palermo, Napoli, ovunque accolte con entusiasmo dalle popolazioni e con riserve dalle gerarchie ecclesiastiche.

Nel Luglio 1837 il Bassi ritornò a Palermo, ma questa volta non per un ciclo di predicazioni, ma per assistere i malati del terribile colera che aveva invaso la città e che costerà la vita a ben 27mila persone.

Si recò successivamente a Milano dove il successo del quaresimale tenuto nella chiesa di San Fedele fu clamoroso per concorso di pubblico e fervore dei consensi.

Nel 1839 fu a Genova e fra gli asidui ascoltatori ebbe anche la madre di Mazzini che scrisse al figlio, esule a Londra, numerose lettere informandolo delle interessanti prediche tenute dal Bassi.

Risale a questo periodo l’accusa rivoltagli dal Cardinale Lambruschini di essere affiliato alla Massoneria.

A Roma, nel gabinetto del Cardinale Lambruschini, barnabita, Segretario di Stato, tenace custode della politica conservatrice, l’eminenza grigia di Gregorio XVI (il popolo romano chiamava Lambruschini “Gregoriaccio”), le accuse contro il Bassi erano sempre state ascoltate con particolare attenzione.

La parola “liberale” diretta al Bassi ricorreva spesso in quei riferimenti e faceva capolino l’accusa di settarismo.

Era un ergo logico che si imponeva ad una mentalità sospettosa. Liberale, dunque Massone, in quanto le idee di libertà ed eguaglianza non potevano che essere il frutto di educazione massonica. L’assioma che scaturiva da questo sillogismo colpiva quindi anche il Bassi. La cosa non era nuova perchè molti preti si erano iscritti, specie nel passato, alla Massoneria.

Le difese del Bassi non valsero a smentire l’accusa. Il Cardinale Lambruschini, malgrado il Generale dell’Ordine al quale egli stesso apparteneva, testimoniasse per il contrario, continuerà a ritenere il Bassi un massone e lo colpirà con gravi provvedimenti di rigore.

Nel 1840 Ugo Bassi tornò a Bologna per il suo corso di predicazione quaresimale, questa volta in San Pietro.

Di queste prediche abbiamo una documentazione completa da parte dei cronisti contemporanei che concordemente riconoscono il barnabita “impressionante per il prodigio di memoria, di erudizione e di poesia”. Durante il quaresimale si scatenò una campagna di polemica e di odio da parte degli avversari del Bassi; comunque fu ugualmente un successo per il predicatore che entusiasmava specialmente i giovani.

Dopo Bologna andò a Piacenza e poi a Perugia.

Nel frattempo il Cardinal Lambruschini che aveva richiesto notizie e informazioni al Cadinale Legato, decise di sospendere il barnabita dalla predicazione e di relegarlo a San Severino Marche per punizione.

E’ da rilevare comunque che tra le voci più dissenzienti, limpida e onesta appare l’azione di difesa da parte dei padre Spini, Generale della Congregazione, e di padre Ramenghi, Provinciale di Bologna, e la loro opera insistente presso il barnabita Cardinale Lambruschini per convincerlo a recedere dalla sua persecuzione contro il Bassi.

Alla fine venne dato al Bassi il consenso di lasciare San Severino con l’impegno di non tornare più negli Stati della Chiesa. Andò allora prima a Livorno, poi a Napoli ed infine in Sicilia.

Nel contempo avvenimenti di grandissima importanza si era succeduti in Italia. La morte di Gregorio XVI, l’elezione di Pio IX, il pontefice atteso dai “riformisti”, e la promulgazione dell’amnistia, avevano portato lo sconvolgimento nella politica e nelle coscienze italiane.

Ugo Bassi non poteva restare insensibile a tanto aprirsi di speranze e a tanta letizia prorompente nelle piazze.

Non vedeva soltanto scomparire il suo duro e irriducibile avversario, ma attuarsi quel rinnovamento che aveva sempre e con tanto suo rischio, auspicato.

Ritornò perciò a Bologna dove ebbe accoglienze festosissime. Le passate vicende, le ingiustizie subite, lo facevano apparire come un perseguitato politico e ciò contribuiva ad aumentargli le simpatie.

Ma la serenità durò poco, colpito dall’ordine di espulsione del Cardinale Legato Vannicelli, Ugo Bassi è costretto a lasciare Bologna. I suoi nemici trionfavano ancora una volta. Mentre i carcerati e gli esiliati venivano amnistiati da Pio IX, egli doveva riprendere il doloroso peregrinare fuori dagli Stati di quel Papa ch’egli aveva auspicato ed esaltato.

Risale a questo periodo il profondo mutamento del suo spirito: il posto di Carlo Alberto e di Pio IX viene preso da altri due idoli, Daniele Manin e Giuseppe Garibaldi, ritenendo che non nell’opera dei monarchi ma in quella del popolo dovesse confidare la redenzione dell’Italia.

Si trasferisce a Livorno, poi in Sicilia e a Napoli per tornare nuovamente a Livorno.

Inizia l’anno 1848 e Bassi si trova a Perugia e segue con passione il movimento che prelude ad avvenimenti importanti. Si trovava in Ancona per le consuete prediche quaresimali quando l’8 Aprile 1848 giunsero le legioni romane dei civici e degli studenti ingrossate lungo la strada da altri numerosi volontari. Queste migliaia di armati portano nella città il più vivo e frenetico entusiasmo.

Ugo Bassi si aggrega ai volontari e il generale Ferrari, con ordine del giorno del Comando gereale del 13 aprile, lo assegna come cappellano sottomaggiore nel 2° Reggimento.

Per Ugo Bassi comincia così il periodo più intenso della sua vita. Alla ribalta degli avvenimenti più drammatici del Risorgimento, egli si presenta non trasformato, ma completato dal lungo processo delle sue crisi interiori. La campagna moralizzatrice sostenuta per tanti anni di originale e singolarissima predicazione religiosa si trasforma in azione politica.

Il 23 aprile (giorno di Pasqua) Bassi entra in Bologna assieme alle colonne dei volontari. Le accoglienze furono deliranti. Fu iniziata una raccolta pubblica per i bisogno della patria. Il barnabita riprende la predicazione, questa volta patriottica, dalla tribuna eretta sulla gradinata di San Petronio con incitamenti ai cittadini a voler generosamente contribuire alla causa.

Le illusioni durarono poco perchè da Roma giunse la notizia dell’allocuzione pronunciata da Pio IX nel Concistoro segreto, della crisi ministeriale, del grave fermento del popolo romano. La faticosa opera di propaganda era finita. Finita perchè Ugo Bassi comprendeva che di fronte alle tergiversazioni equivoche della corte di Roma, l’unica soluzione era quella di agire seguendo le truppe oltre i confini e partecipare con esse alla guerra.

Il 4 Maggio partiva diretto a Venezia.

Non poteva mancare la reazione delle autorità politiche e religiose dello Stato Pontificio contro il Bassi.

Venne sottoposta al Pontefice l’instanza per la sua secolarizzazione, vale a dire il passaggio dallo stato religioso conventuale a quello di sacerdote secolare. In sostanza si trattava dell’espulsione dall’ordine barnabitico. Il provvedimento venne preso, ma mai comminato all’interessato per volontaria decisione del Cardinale Oppizoni, arcivescovo di Bologna.

Intanto il Bassi aveva avuto il suo battesimo del fuoco negli scontri avvenuti con gli austriaci a Treviso, durante i quali venne ucciso il generale Guidotti e seriamente ferito lo stesso Bassi. Ricoverato a Venezia venne sottoposto a dolorose operazioni chirurgiche per estrarre il proiettile dal torace, dopo la convalescenza partecipò alla conquista di Mestre e già era pronto per altre imprese, quando arrivò l’ordine di rimpatrio delle truppe pontificie.

Anche se profondamente dispiaciuto di lasciare il fraterno amico Manin, Bassi ubbidì e fece ritorno a Bologna.

Con l’Enciclica 1° Gennaio 1849 arrivò il monitorio o atto di scomunica da parte di Pio IX; l’atto papale è la prima scomunica emanata dal Vaticano contro il Risorgimento nazionale, a difesa del proprio dominio terreno.

A tale provvedimento papale il barnabita rispose con due scritti: uno è intitolato “A Pio IX parole di Ugo Bassi dei Crociati del 1848”, l’altro “Della scomunica e più altre cose dei giorni nostri, dialogo di Ugo Bassi”, che ebbero larghissima diffusione.

Quando giunse la notizia della proclamazione della Repubblica Romana e l’abolizione del potere temporale dei Papi, Ugo Bassi partì da Bologna per raggiungere la città eterna, in sella alla sua vivace e forte cavalla alla quale aveva imposto il nome di Ferina.

Quivi giunto venne destinato con le truppe e nominato cappellano maggiore della Legione Italiana comandata da Giuseppe Garibaldi. L’incontro con il condottiero coronava il sogno della sua vita ed accendeva nuovamente il suo animo di passione e speranza.

A dimostrare la sua completa dedizione, sveste l’abito barnabita ed indossa la camicia rossa legionaria, tenendo però sul petto il lungo crocifisso metallico.

Il suo prestigio accresceva continuamente presso la truppa. Essere sempre tra loro, nelle ore d’ozio, di movimento, di battaglia, non nascondersi mai nè evitare il pericolo, erano mezzi che s’imponevano anche nell’animo più duro e recalcitante. Farsi voler bene, stimare ed anche ammirare; poi il resto veniva da sè in quanto lentamente egli diveniva l’indispensabile consigliere dei compagni d’arme.

La sua opera di cappellano sul campo di battaglia era intensa ed eroica. Cavalcava fra i combattenti, impugnando il crocefisso che alzava sulla mischia, insegna di sacrificio e di fede, gridando parole di incitamento.

E’ viva nelle memorie lasciate dai compagni di guerra la figura di Ugo Bassi che si slancia con le truppe d’assalto e poi si piega sui caduti con volto rasserenato dalla divina missione di pietà e di conforto, diventare quasi estraneo alla battaglia, indifferente del pericolo, intento solo ad assistere e rendere dolce il grande transito della tumultuante anima di un soldato moribondo. Da alcune cose non si staccava mai: un crocefisso, un breviario e un vasello d’argento con l’olio santo.

Ugo Bassi, guerriero disarmato ed eroico, con il suo luminoso esempio personale ha segnato la vera missione dei cappellani militari, dei quali è indubbiamente il precursore più significativo.

A Roma ad aumnentare l’entusiasmo per Garibaldi, che pur non essendo il comandante supremo era considerato il capo riconosciuto da tutti, concorse la vittoriosa azione di Porta San Pancrazio, successo prevalentemente garibaldino contro truppe francesi agguerrite e sicure di entrare in Roma senza colpo ferire.

Purtroppo però sotto l’incalzare dei francesi guidati dal generale Oudinot il destino di Roma va rapidamente compiendosi: l’assedio stringe, le difese cadono una ad una, nè vale il coraggio di Masini, Medici, Mameli, Manara, Morosini ad infrangere o rallentare la morsa che si chiude.

Il 2 Luglio Ugo Bassi celebrò il rito funebre di Luciano Manara, il mitico bersagliere lombardo, reduce delle 5 Giornate e delle battaglie del ’48. Pronunciando l’orazione funebre rivolse fierissime e sdegnose parole contro gli artefici della caduta della Repubblica Romana e della rovina dell’Italia.

Nello stesso giorno Garibaldi diede appuntamento al popolo di Roma a Piazza San Pietro. La folla era enorme, a questa fremente assemblea il generale apparse a cavallo seguito dal suo stato maggiore. A stento e tra le acclamazioni deliranti egli giunse fino all’obelisco che è al centro della piazza, girò il cavallo e fece cenno di tacere. Allora nel silenzio profondo la sua voce penetrante potè essere intesa da tutti: “La fortuna che oggi ci tradì – disse – ci aiuterà domani. Io esco da Roma: chi vuol continuare la guerra contro lo straniero venga con me: non offro nè paga, nè quartiere, nè provvigioni. Offro fame, sete, marce forzate, battaglie e morte. Chi ha il nome dell’Italia non sulla labbra soltanto, ma nel cuore, mi segua“. Nella stessa notte la legione uscì dalla città.

La marcia compiuta dalla Legione garibaldina da Roma a San Marino, durata dal 2 al 31 Luglio 1849, desta ancora l’ammirazione sotto l’aspetto dell’arte militare. Le truppe destinate a compiere una così sorprendente impresa comprendevano circa 3900 fanti e 800 cavalieri provenienti da varie unità dell’esercito repubblicano: la legione polacca, il battaglione della speranza (reclutato tra ragazzi dai 14 ai 18 anni), il battaglione studenti, i bersaglieri Manara, il reggimento Unione, i lancieri Masini,  i dragoni romani, il battaglione Medici e altri.

Oltre ai soldati facevano parte della spedizione parecchi compromessi politici, fra i quali Ciceruacchio e i suoi due figli, Anita Garibaldi e altre donne.

Troppo lungo sarebbe qui descrivere le rappe e le vicende di questa estenuante marcia, sta di fatto che a San Marino giunsero circa la metà dei Legionari.

Intanto il nemico era sopraggiunto e cercava di circondare la Repubblica del Titano, ma i garibaldini riuscirono nuovamente a sfuggire dirigendosi a Cesenatico dove, requisite alcune barche, presero il mare; purtroppo furono intercettati dalle navi austriache e perciò costretti a ritornare a terra.

I superstiti sono un gruppo di circa 100 persone, il generale consiglia di sparpagliarsi; press0 Garibaldi e Anita restano solo Culiolo detto “Leggero”, Ugo Bassi e Giovanni Livraghi.

Anita versa in gravissime condizioni, Bassi e Livraghi decidono forse di cercare l’aiuto di un medico e vanno a Comacchio, qui però vengono riconosciuti dai gendarmi papalini, catturati e consegnati agli austriaci. La vicenda volge ormai all’epilogo.

I due prigionieri furono trasferiti a Bologna e rinchiusi in una torre a Villa Spada, sede del comando austriaco, e poi al carcere della carità.

Contro Bassi e Livraghi non fu iniziato nessun procedimento regolare, sia pure sommario, venne loro contestato il delitto di possesso d’armi e al Livraghi anche quello di essere disertore dell’esercito austriaco.

Alla comunicazione della condanna a morte Livraghi reagì con sdegno e rivolta, e Bassi si adoperò per rasserenarlo e confortarlo. Furono portati avanti il plotone d’esecuzione, Livraghi fu fucilato per primo, allora Ugo Bassi si inginocchiò presso il cadavere del compagno a pregare, poi si alzò e cominciò a recitare l’Ave Maria che venne intorrotta bruscamente dalla scarica di fucileria. Era l’8 Agosto 1849.

A dieci anni dal sacrificio, a Bologna, Garibaldi si recò a rendere omaggio alla tomba del compagno e lasciò di lui questo magnifico profilo: “… Ugo Bassi, colui che nei giorni di battaglia esercitava il ministero del sacerdote con la generosa pietà che uguaglia a Dio; che possedeva al tempo stesso l’ingenuità del fanciullo, la fede del martire, la scienta di un letterato, il coraggio di un eroe“.

Fabio Ernesti

Orazione tenuta in occasione del XXXV Anniversario di Fondazione della Loggia Ugo Bassi di Bologna, all’Obbedienza della Gran Loggia d’Italia, Piazza del Gesù (25 Gennaio 1985).

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