GIORDANO BRUNO, IL MAGO

Per il filosofo nolano la Magia Matematica, vera e propria “occulta filosofia”, aggiungeva alla Magia Naturale parole, canti, calcoli di numeri e tempi, immagini e figure, sigilli, caratteri e lettere, rinviando così alle scienze geometriche, aritmetiche ed astronomiche. Tutto questo in opposizione alla religione che “vuol fra credere che è vile e scellerato ciò che alla ragione pare eccellente; che la legge naturale è una ribalderia… che la filosofia e la magia sono pazzie… e che l’ignoranza è la più bella scienza del mondo”.

inserito il 16 05 2011, nella categoria Filosofia, Giordano Bruno, Magia, Religione, Storia, Tavole dei Fratelli

Tavola del fr. D:. Z:.


“lo ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli, dodeci miglia, nato ed allevato in quella città, e la profressione mia è stata ed è di lettere e d’ogni scienza, e mio padre aveva nome Gianni, e mia madre Fraulissa Savolina; e la professione de mio padre era di soldato, il qual è morto insieme anco con mia madre.  Io son d’età di anni quarantaquattro incirca, e nacqui,  per quanto ho inteso dalli miei, dell’anno 48”:

 

Così Bruno risponde agli Inquisitori veneti nel primo costituto del 26 maggio 1592; figura sulla soglia della modernità, adolescente entrò nel chiostro domenicano di Napoli, da subito ragazzo prodigio e figlio inquieto di un Meridione periferico.

Il suo insegnamento, d’altronde, non interessò immediatamente la filosofia e la politica del tempo: bisognerà aspettare sino ai primi moti insurrezionali in Italia, attorno al 1850, per vedere riscoperto il pensiero bruniano.

E’ soprattutto Bertrando Spaventa a rilanciare la figura di Giordano Bruno in due importanti saggi: la tesi di Spaventa è che il pensiero moderno è nato in Italia con Campanella, Bruno, Galilei ed infine Vico.

La particolarità della figura di Giordano Bruno è che, non avendo la possibilità di tramandare un metodo scientifico, non ebbe altro modo per testimoniare la verità che sacrificare sul rogo la propria vita: ciò lo potè fare solamente grazie all’amore infinito per il proprio oggetto, amore che è diventato il senso dominante della vita. Ai nostri occhi giunge quindi la figura del filosofo imparentata con la specie dell’uomo divino greco, o al mago rinascimentale.

Il sentimento mostrato risulta di tale forza da divenire un sentimento individuale, straordinario e soprattutto non socializzabile: “In tutti è Dio certissimamente, ma qual Dio sia in ciascuno, non si sa così facilmente, e se pure si può examinare e distinguere, altro non potrei credere che possa chiarirlo che l’amore”, sostiene Bruno interrogato al processo.

La sua visione di Dio è panteistica, e il suo pensiero è volto a riportare alla monade metafisica ogni concetto. Nel “De causa, principio et uno” si legge: “son degnissimi di lode quelli che si sforzano alla cognizione di questo principio e causa per apprendere la sua grandezza quanto sia possibile discorrendo con gli occhi di regolati sentimenti circa questi magnifici astri e lampeggianti corpi, che son tanto abitati da molti e grandi animali ed eccellentissimi numi, che sembrano e sono innumerabili mondi non molto dissimili a quello che ne contiene; i quali essendo impossibile ch’abbiano l’essere da per sè, atteso che sono composti e dissolubili, è necessario che conoscano principio e causa, e conseguentemente con la grandezza del suo essere, vivere e operare: monstrano e predicano in uno spazio infinito con voci innumerabili, la infinita eccellenza e maestà del suo primo principio e causa. Lasciando dunque quella considerazione per quanto è superiore ad ogni senso ed intelletto, consideriamo del principio e causa, per quanto, del vestigio, o è la natura istessa o pur riluce se l’ambito e grembo di quella”.

Ritroviamo in questo testo il filosofo che ha dato dell’asino a chi voleva ridurre la dottrina copernicana ad una pura ipotesi matematica, leggendola, al contrario, come una filosofia naturale, due fa rinascere il sole delle antiche cosmologie infinitiste ed, infine, riprende il pensiero secondo il quale da un principio infinito non possono che derivare conseguenze infinite.

Bruno, nei confronti della visione degli infiniti mondi, delle vite sconosciute che popolano l’aldilà di ogni nostro possibile orizzonte, ha un problema tipicamente filosofico: togliere questa narrazione da quella che potrebbe essere l’immaginazione di una favola, e mostrarne la necessità.

Per accedere all’infinito Bruno adopera le grandi categorie filosofiche di causa, principio, materia e forma, ed attraverso queste categorie, rende necessaria la dimensione dell’infinito per l’universo, riesce a trovare una sintesi di infinito e finito, di mente e di corpo, di eternità e temporalità, così che in ogni essere vivente, nel suo numerale ciclo di esistenza, si possa leggere la trama della ripetizione eterna, un destino della natura, nella dimensione del tempo.

La metafora del vedere progressivo come sempre miglior conoscenza, va di pari passo con le forme del discorso.

Il sole non può essere visto direttamente. Allo stesso modo l’oggetto divino che è il luogo di arrivo dell’amore intelligibile, non è l’Uno medesimo, ma la specie intelligibile più alta che sia stato possibile formare delle divinità.

La nostra potenza intellettuale non può apprendere l’infinito, anche se l’oggetto del suo amore è proprio l’infinito.

Le possibilità che vengono offerte dal linguaggio non sono il compimento dell’amore.  Al contrario c’è un livello in cui l’infinito appare nel disegno del linguaggio. A questo livello il fùrioso, il filosofo della conoscenza, conduce la propria ascesi, che non è un atto di congiunzione, ma la possibilità di un sapere, rinascita di un nuovo sole nell’epoca contemporanea vanamente oscurata dalla asinità della nuova fede protestante e dallo scetticismo filosofico della tradizione cattolica. “Li gradi della contemplazione son  come li gradi della luce, la quale nullamente è nelle tenebre, alcunamente è nell’ombra; meglioramente è ne li colori secondo gli suoi ordini da l’un contrario, ch’è il nero, a l’altro due è il bianco; più efficacemente è nel splendor diffuso sugli corpi tersi e trasparenti, come nel specchio o nella luna; più vivamente ne li raggi del sole; altissimamente e principalmente nel sole istesso”.
Altro elemento essenziale delle dissertazioni bruniane è la matematica, in particolare la tetractys, la sequenza pitagorica 1+2+3+4, la cui somma è il dieci, carica di simbolismo iniziatico e cabalistico, ha analogie geometriche nel punto, o monade, nel segmento di retta, o diade, nel triangolo, o triade, e nel quadrato, o tetrade.

La matematica di cui egli si serve è una matematica qualitativa e fantastica, una matematica magica, che esclude la misura numerica e nega che si possa giungere ad una precisa determinazione quantitativa dei fenomeni naturali.

Nel ‘De Magia”, dissertando della Magia Matematica, intesa come forma intermedia fra Magia Naturale e Magia Metafisica, Bruno spiega come la Magia Matematica, vera e propria “occulta filosofia”, aggiunga alla Magia Naturale parole, canti, calcoli di numeri e tempi, immagini e figure, sigilli, caratteri e lettere, rinviando così alle scienze geometriche, aritmetiche ed astronomiche: ne nasce una tecnica utilissima per lo sviluppo di una più articolata mnemotecnica, o arte lulliana.

Nelle opere sulla Memoria, viene sottolineata ripetutamente l’importanza dei diagrammi sia come immagini sintetiche del concetto da memorizzare, che come griglie destinate ad accogliere in modo sistematico immagini e concetti. Non solo, ma viene messo in evidenza il ruolo dell’immaginazione e del sentimento di cui devono essere pervase le immagini, di modo che l’arte della memoria non sia semplice procedimento meccanico, ma costituisca una via di conoscenza che dalle cose inferiori, giunga a quelle superiori, grazie ad una progressiva organizzazione interiore: il Mago in Giordano Bruno, assurge alla massima dignità nella capacità di cogliere l’infinito ed è tanto divino da non avere bisogno dell’ascesa, poiché la sua mente preparata rifletterà in sé stessa il mondo e ne acquisterà i poteri.

Approssimandoci all’epilogo, necessita un ultimo accenno alla religione: Bruno la ritiene un insieme di superstizioni direttamente contrarie alla ragione ed alla natura. “Vuol fra credere che è vile e scellerato ciò che alla ragione pare eccellente; che la legge naturale è una ribalderia; che la natura e la divinità non hanno lo stesso fine; che la giustizia naturale e la divina sono contrarie; che la filosofia e la magia sono pazzie; che ogni atto eroico è vigliaccheria; e che l’ignoranza è la più bella scienza del mondo”.

 
Richiesto di abiurare egli sottilmente vi accondiscese, dichiarando: “che se la Sede Apostolica et la Santità di Nostro Signore havevano dette otto propositioni come deffinitivameute heretiche, o che Sua Santità le conoscesse come tali, o per lo Spirito Santo le definisca come tali, era disposto a rivocarle” intendendo con ciò che si trattasse di proposizioni eretiche ex nunc, cioè non ancora definite dalla Chiesa. A tale risposta la ferma decisione della Congregazione di richiedere nuovamente a Giordano Bruno una abiura incondizionata, che, di fatto, non giunse mai.

Majori forsan cum timore
Seutentiam in me fortis,
Quam ego accipmam
(E’ forse maggiore la paura
Vostra nel pronunciare la sentenza
Della mia nel riceverla)

Giordano Bruno
Incarcerato dal Sant’Uffizio il 27 febbraio 1593. Arso vivo in Rorna il 17 febbraio 1600.

D:. Z:.

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