LA “LENTA” FINE DELLA SCHIAVITU’ IN ITALIA

inserito il 20 01 2022, nella categoria Società, Storia, Tavole dei Fratelli

Può sembrare anacronistico che già agli albori della civiltà ci siano stati sovrani mesopotamici e babilonesi come Ur-Nammu el 2110 a.C. ed Hammurabi ca. nel 2.400 a.C. che abbiano promulgato leggi in favore delle classi più deboli della società, quali orfani, vedove, e poveri e perfino schiavi a cui veniva riconosciuta personalità giuridica. Fino addirittura all’abolizione della stessa schiavitù, proclamata nel 1222 “ai quattro angoli del mondo” dal sovrano del Mali, Sundjata Keïta. E’ addirittura inquietante registrare quanto tempo, quanti secoli, sono dovuti passare da allora perché la schiavitù fosse abolita del tutto (o quasi, salvo nuove forme di subdola schiavitù economica) dagli ordinamenti moderni. Dispiace constatare come la Massoneria sia spesso stata in ritardo su questo versante, anche perché molti grande e blasonate famiglie dell’Impero Inglese furono decisamente attive nella tratta degli schiavi.

In questa battaglia spesso l’iniziativa fu più di gruppi religiosi che di espressioni massoniche (che pure non mancarono).

In Italia la schiavitù perdurò fino alla soglie dell’Unità Nazionale. L’ultimo stato ad abolirla fu il Regno di Napoli.

Genovesi e Veneziani per tutto il Medioevo e nella prima parte dell’Età Moderna non si fecero certo scrupoli nel trarre profitti dal commercio di esseri umani. In particolare di sesso femminile. Lo stesso Casanova possedette per un breve periodo una schiava di colore.

Con la Chiesa si giunse ad un compromesso di facciata: si potevano importare schiavi a patto che non fossero cristiani, e se si convertivano potevano essere liberati e diventavano cittadini come tutti gli altri.

Per lo più si trattava di schiavi domestici, e di nuovo soprattutto donne. Il ricco mercante pratese Marco Datini nel 1393 comprava da Firenze schiavi sul mercato di Genova da rivendere a terzi e per il servizio proprio (con le rimostranze della moglie che si lamentava dell’avvenenza della servitrici portare nella propria casa dal marito).

Francesco Morosini, doge di Venezia, ricorda nel proprio testamento «quattro schiave more»: stabilisce che siano loro dati cento ducati qualora si sposino. Si trattava con ogni probabilità delle schiave preda di guerra tolte agli ottomani durante la vittoriosa campagna per la conquista del Peloponneso, nel 1686.

Gli Staterelli italiani furono comunque fra gli ultimi in ordine sparso ad abolire la tratta, anche se potevano vantare il precedente storico del Liber Paradisus di Bologna con cui quel Comune aveva di fatto abolito già nel 1259 la servitù della gleba, una sorta di para-schiavitù.

La strada dell’emancipazione schiavista nell’Italia dell’800 era stata aperta in questo senso dalla Convenzione abolizionista sottoscritta da Inghilterra e Francia, anche se in seguito Napoleone ripristinò la schiavitù, poi definitivamente abolita solo nel 1833. Il Granducato di Toscana vi aderì nel 1837.

Anche lo Stato Sabaudo abolì autonomamente la schiavitù al proprio interno. E’ lo Stato Pontificio? Agì comunque con colpevole ritardo. Nel 1794, esisteva un «intendente pontificio per gli schiavi» a nome Colelli. Ed ancora nel 1866, quando la schiavitù era ormai bandita in ogni angolo del mondo, ciò nonostante Papa Pio IX approvò una presa di posizione del Santo Uffizio che si dichiarava “Non contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato”.


Lasciaci un commento

Cerchi qualcosa?

Utilizza il campo sottostante per cercare nel sito:

Hai cercato qualcosa che non hai trovato? Contattaci e richiedici l'informazione che cerchi!

Link

Ti raccomandiamo di visitare questi siti web