Modesto elogio della Solitudine

inserito il 19 10 2023, nella categoria Tavole dei Fratelli

La solitudine non è malinconia.

G. Gaber

Un tempo soffrivamo per troppa famiglia, oggi per troppa solitudine. Siamo i moderni custodi della solitudine. Già san Giovanni Bosco lo aveva perfettamente intuito allorquando sosteneva che a ciascuno è affidato il compito di vegliare sulla solitudine dell’altro. Vi è la solitudine di quand’uno è solo, una solitudine fatta di assenze di sguardi, di parole, di sorrisi. Ti guardi intorno e non incroci il volto di un genitore, di un familiare, di un amico, senza una persona per cui poter morire e allora puoi entrare nella stagione di una solitudine in cui rischi anche di smarrirti. Ancora più potente è però la solitudine che si può avvertire stando in famiglia. Una delle cose peggiori della vita infatti non è stare solo, ma stare con persone che ti fanno sentire solo. In realtà un uomo solo non sarebbe in cattiva compagnia, ma se è stanco di stare in sua compagnia, allora sì quella è la solitudine che precede la fine del giorno. Nel corso dell’esistenza e al tramonto della vita ognuno da solo deve passare attraverso gli stretti varchi del dolore: “soli a voler trattenere l’istante, soli a passare senza voler passare” (L. Wouters).  I grandi dolori sono muti, il dolore è un gran maestro, il dolore è lo stato della condizione umana e di certo si fanno più progressi nell’oscurità del proprio dolore che nella vivezza della propria luce. E’ così che il dolore si può trasformare in forza. Chi non è andato a scuola dal dolore, non è andato a scuola! Allora, per certi uomini, la morte naturale o il suicidio sono l’estremo tentativo per migliorare la loro vita. E così ci si uccide non perché si vuol morire, ma perché si vuol fermare il dolore lacerante che ci si porta dentro. Infatti alcuni suicidi non vogliono solo morire, vogliono sparire perché le tempeste dell’anima son ben peggio delle tempeste di sabbia. D’altronde sappiamo da sempre che la morte è il tema più drammaticamente esaltante della vita tant’è che per molti il problema non è invecchiare, ma è quello di morire con fierezza e con decoro: “morire ma essere uomo” (C. Alvaro). Alcuni hanno la convinzione che la morte fa meno male della vita e si interrogano: la morte come punto o come virgola, la morte come finis o come transitus? Pochi come i solitari sanno percepire che la notte della loro vita incombe, notte che poi giungerà improvvisamente, come nel deserto, come se qualcuno avesse spento la luce. Spesso la solitudine è tutto ciò che abbiamo. Il solitario a volte appare come una quercia abbattuta, ma certo si è consapevoli che gli alberi solitari, se crescono, crescono forti e non a caso bisogna essere forti per amare la solitudine e per godersi la sua dolce compagnia senza malinconie di alcun genere. Il solitario non ha un cuore stanco, cerca di conservare come un tesoro la propria gentilezza, il solitario ama la vita ed è il migliore spettatore di se stesso, l’unico. Il solitario è un gran lettore, è un libridinoso che utilizza la lettura come farmaco a lento rilascio, riflette, valuta, scrive, pensa di continuo e perciò ha un lungo inverno negli occhi. In solitudine vige l’attesa che forse è il cordone ombelicale della vita, il solitario non provoca gli eventi, li aspetta. Il solitario è un curioso di prim’ordine, possiede la bussola della curiosità per rubare granelli di sabbia alla furia del vento, la curiosità è il primo passo verso la sapienza, ma se poi perde ogni curiosità allora si tira addosso un lenzuolo sul volto. Sa che senza di lui la sua vita gli sembrerà vuota e spererebbe di sgaiattolare via almeno un’ora prima che il diavolo si accorga della sua morte. Lucio Piccolo, il barone magico, sosteneva che da casa sua – una casa di campagna a Capo d’Orlando – passava il meridiano della solitudine. Ora qui dal “Cancello del vento” di Pian di Balestra, sento solo lo scricchiolio dei rami e nella neve si vedono le tracce dei cerbiatti e delle volpi. In fondo stiamo tutti morendo di solitudine.


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