IL FANTASMA DELL'”OPERA”

Gaston Leroux affascinato da Victor Hugo e dal suo gobbo di Notre Dame, da “Dracula” di Bram Stoker e da “Frankenstein” di Mary Shelly, pubblicò nel 1911 un sottile volumetto. L’idea gli venne quando visitò l’Opéra e udì per la prima volta le voci che circolavano tra il personale di servizio di questo teatro, secondo le quali, anni prima, lì era vissuto un fantasma.

inserito il 09 04 2018, nella categoria Letteratura, Tavole dei Fratelli

Fantasma dell'Opera

Tavola del fr:. G:. P:. 

Il cocktail che ora Vi propongo è da sorseggiare in tutto relax e, come appare chiaramente dal titolo, contiene due ingredienti, entrambi fortemente speziati di fascino, leggenda e mistero: il fantasma e l’”Opéra” di Parigi. Per capire meglio il primo è opportuno partire dal secondo perché detto fantasma non avrebbe potuto esistere in nessun altro teatro al mondo che non fosse questo edificio ancora oggi così stupefacente.

La Francia di metà ‘800, così come tutta l’Europa, era periodicamente interessata da fremiti di ondate rivoluzionarie che testimoniavano di tensioni sociali: erano tempi piuttosto inquieti. In questo contesto venne edificato il teatro dell’Opéra che, come il nostro Castello Estense e molte altre grandi imprese umane, nacque con il preciso scopo di esorcizzare la paura.

Una sera di gennaio del 1858 infatti, Napoleone III, imperatore di Francia, si stava recando, a fianco dell’imperatrice, al teatro dell’opera di Parigi, a quei tempi ubicato in un vecchio edificio il cui ingresso, tutt’altro che scenografico, si affacciava su una stretta stradina: Rue le Peletier. Poco distante c’era un antimonarchico italiano, Felice Orsini, che aveva scelto proprio quella sera per lanciare tre bombe contro la carrozza reale.

attentato a Napoleone III

Esplosero tutte, causando oltre un centinaio tra morti e feriti ma evidentemente il carrozziere dell’epoca aveva costruito quel veicolo con coscienziosa robustezza, quasi antesignana delle attuali blindature. Grazie a lui quindi, la coppia imperiale non solo ne emerse scossa ma incolume, ma pretese pure di assistere all’opera.

E’ facilmente immaginabile come Napoleone III, dopo l’increscioso episodio, meditasse a lungo, pervenendo alla conclusione che la capitale del suo regno meritava un nuovo teatro lirico dotato, oltre che di un ingresso molto più spazioso, anche di un secondo accesso riservato e adeguatamente protetto, per le persone importanti.

Il prefetto allora in carica era il barone Haussmann, geniale urbanista e creatore di gran parte della moderna Parigi. Indisse così una gara d’appalto tra i più importanti architetti francesi, che venne vinta da Charles Garnier, il più giovane, il più ardito: un autentico astro nascente. Il suo progetto era di gran lunga il più coraggioso, imponente e… sarebbe costato un’enorme fortuna!

Una volta scelta la posizione, i lavori iniziarono nel 1861 con gli scavi di fondazione e subito si presentò un grave problema: la voragine mise in luce un corso d’acqua sotterraneo. Più si scavava e più la fossa si riempiva di fanghiglia.

Garnier propose allora al prefetto di spostare l’ubicazione in un terreno più adatto ma Haussmann fu irremovibile: l’edificio si sarebbe innalzato lì e non altrove. L’architetto allora si rimboccò le maniche, fece installare otto mastodontiche pompe idrovore che, per mesi, lavorarono ininterrottamente fino a prosciugare lo scavo. Il passo successivo fu l’edificazione di pareti stagne fino a ottenere un parallelepipedo il cui perimetro debordava oltre quello dello stabile e infine l’enorme cassa fu interamente riempita di bitume. Su queste massicce fondamenta poi, costruì il suo colossale palazzo.

Il liquido venne in tal modo tenuto a bada fino alla conclusione di quel livello ma, quando le maestranze si dedicarono alla parte superiore, nonostante tutti gli accorgimenti impiegati, l’acqua andò a formare un vero e proprio lago, nascosto nello strato più profondo dei sotterranei. Ancora oggi gli ingegneri strutturali, ogni due anni, provvedono ad abbassarne il livello e, mediante apposite imbarcazioni, perlustrano, alla luce dei riflettori, questo specchio d’acqua al fine di controllare la tenuta generale delle fondazioni.

Piano su piano quindi, la costruzione saliva in verticale, fino a raggiungere il livello del suolo e proseguire poi verso l’alto.

Nel 1870 i lavori vennero interrotti a causa dell’ennesima rivoluzione che travolse la Francia, provocata, tra l’altro, dalla sanguinosa guerra franco-prussiana. Napoleone III fu deposto e morì in esilio. Venne quindi dichiarata una nuova repubblica, ma l’esercito prussiano era ormai alle porte di Parigi. La capitale era ridotta alla fame, le cronache riportavano particolari macabri: pare che i ricchi si cibassero di elefanti, scimmie e giraffe prelevati dallo zoo, mentre la povera gente era ridotta a cucinare in varie salse cani, gatti e topi.

Fu così che la classe lavoratrice della città, infuriata per tutto quello che aveva dovuto sopportare, insorse. I ribelli si organizzarono in una Comune e i cosiddetti “comunardi”, armati con quello che si trovava, scesero in piazza, mentre gli esponenti del governo e i notabili organizzavano fughe disordinate e  precipitose dal bastimento in pericolo.

L’esercito regolare tuttavia, riuscì a formare una giunta militare e ad avere ragione della rivolta.

Nel corso della sua esistenza, la Comune aveva usato proprio il palazzo incompiuto di Garnier, perfetto con la sua moltitudine di cantine e depositi, come nascondiglio per le armi, le munizioni e per la polvere da sparo. Venne purtroppo anche utilizzato per la  detenzione dei prigionieri. In quei profondi sotterranei ebbero luogo infatti orribili torture ed esecuzioni, tanto che negli anni successivi si continuarono a portare alla luce un numero imprecisato di scheletri.

opera

A tutt’oggi, chi visita i sette piani sottoterra dell’Opéra fatica a reprimere i brividi. Fu proprio questo ambiente di tenebre e labirinti inestricabili che affascinò la mente di un autore francese semisconosciuto di nome Gaston Leroux, il quale vi scorse il seme di una storia tragica, a partire da una confusa leggenda che circolava tra le maestranze di servizio all’interno del teatro. Prese così forma l’idea che un eremita solitario e sfigurato potesse vivere in quel mondo sotterraneo.

Nel 1872 la situazione politica francese si avviava verso tempi più sereni; Garnier pertanto tornò al lavoro e finalmente, nel gennaio del ’75, dopo 17 anni travagliati, il nuovo teatro dell’Opera venne inaugurato.

L’edificio occupa una superficie di oltre 11.000 mq.  ed è il più grande del mondo ma, sorprendentemente, non è il più capiente: solo 2.156 posti a sedere; la Scala di Milano ne ha 3.500, e ha dimensioni più contenute.

In realtà, la filosofia costruttiva dell’”Opéra” va oltre la semplice rappresentazione lirica: a fronte di un “Auditorium” relativamente ridotto, dal più profondo dei sotterranei fino al pinnacolo del tetto conta ben 17 piani, di cui solo 10 visibili fuori terra. Gran parte dello spazio è occupato da saloni di rappresentanza, da imponenti scalinate e aree destinate a offrire un suggestivo scenario per le grandi occasioni ufficiali. Ma il vero cuore dell’organizzazione teatrale è racchiuso negli ampi retroscena, nello spazio abbondante per i camerini, i laboratori, le mense, i guardaroba e, per finire, gli sterminati magazzini in cui è possibile stivare fondali di 15 metri di altezza, per non parlare delle tonnellate di attrezzature di ogni tipo.

LEROUXGaston Leroux, nel 1910 era un mediocre scrittore parigino. La sua famiglia, della buona borghesia, era originaria della Normandia e lo aveva mandato a Parigi per studiare giurisprudenza, materia questa per la quale non provava alcuna predilezione. Era un tipo piacevole, massiccio, gioviale e schietto, un “bon viveur” insomma. Morendo, il padre gli aveva lasciato un milione di franchi, una vera fortuna per l’epoca. Lui riuscì a sperperarla in baldorie nel giro di sei mesi.

Gaston però non si perse d’animo e, per mantenersi, iniziò a scrivere per i giornali. Affascinato da Victor Hugo e dal suo gobbo di Notre Dame, da “Dracula” di Bram Stoker e da “Frankenstein” di Mary Shelly, pubblicò nel 1911 un sottile volumetto. L’idea gli venne quando visitò l’Opéra e udì per la prima volta le voci che circolavano tra il personale di servizio di questo teatro, secondo le quali, anni prima, lì era vissuto un fantasma. Gli oggetti e alcuni avanzi della mensa sparivano senza spiegazione, si verificavano misteriosi incidenti e… qualcuno aveva pure notato una strana figura, sempre nell’ombra, che poi fuggiva silenziosamente verso i piani bassi, dove nessuno aveva il coraggio di seguirla.

Leroux, ahimè, non disponeva della fama e del prestigio né di Victor Hugo, né degli altri autori sopra citati; il suo racconto, in breve tempo, scomparve nell’oblio. Come fu, allora che questa storia imboccò la strada dell’immortalità?

carl-laemmle-smallFu un puro caso. In particolare fu un piccolo e intraprendente ebreo tedesco, di nome Carl Laemmle, che era emigrato negli Stati Uniti da giovane e nel 1922, (viva il sogno americano!) era arrivato alla presidenza della Universal Pictures di Hollywood. Proprio in quell’anno si concesse una vacanza a Parigi e, sempre in cerca di nuove idee, ebbe qualche contatto con rappresentanti della modesta industria cinematografica francese. In quell’occasione conobbe Gaston Leroux, il quale era a conoscenza che la Universal stava preparando la prima versione cinematografica del colossal “Notre Dame”, impiegando come protagonista uno strano attore: Lon Chaney, il quale possedeva un volto talmente mobile che poteva assumere qualsiasi forma ed espressione, perfetto quindi per interpretare il deforme e orrendo Quasimodo.

Carl, come tutti i grandi uomini di spettacolo, sapeva che, per attirare il pubblico nei cinema, bisognava spaventarlo a morte, e poiché era sempre in anticipo su tutto, stava già pensando al progetto del film successivo da affidare a Chaney, prima che qualche studio rivale glielo sottraesse.

Inutile dire che il libretto con la storia del fantasma di 11 anni prima, di cui Gaston gli fece omaggio, gli spalancò uno scenario radioso.

In breve, l’attore Lon Chaney, dopo “Il gobbo di Notre Dame”, interpretò “Il fantasma dell’Opera”, che ebbe un successo ancora maggiore, questa volta travolgente: il pubblico era terrorizzato, le signore strillavano e qualcuna sveniva.

Alla Universal presero la palla al balzo e, con una magistrale mossa pubblicitaria, fecero in modo che i sali venissero distribuiti gratuitamente nei foyer dei cinematografi.

andrew-loyd-weberTra coloro che negli anni videro il film e, in tempi più recenti, si interessarono a quella leggenda c’è stato pure un compositore inglese di nome Andrew Lloyd Webber, uno dei 100 uomini più ricchi del Regno Unito, autore di musicals immortali quali “Gesus Christ Superstar”, “Evita” (chi non ricorda “don’t cry for me Argentina”), “Cats” (come dimenticare Barbra Streisand nella bellissima “Memory”).

Webber rimase profondamente colpito dalla storia del fantasma e, con una percezione di infinita acutezza, meditò a lungo sul libro di Leroux e sul copione del film, distillandone gli aspetti più dolci e struggenti, pur rimanendo nell’ambito della tragedia.

Egli capì che, all’interno di una vicenda horror, basata sull’odio e sulla crudeltà, si potevano far emergere i valori di un amore ossessivo e non corrisposto tra un personaggio disperatamente sfigurato, che si è imposto l’esilio dal resto del mondo, e una giovane, bella cantante lirica che finisce per preferirgli un attraente corteggiatore aristocratico.

E così Lloyd Webber costruì con amore, su queste fondamenta, quello che si è rivelato il musical di gran lunga più popolare e di successo del mondo. Un teatro del West End di Londra continua a rappresentarlo ininterrottamente dalla data della “première”: il 9 ottobre del 1986.

Ho detto

 

G:. P:.

 

5 Aprile 2018 e.v.

 

 

 


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