VERITA’ E LIBERTA’ DI PAROLA

"Cosa bella è la parresia, fatta di verità e tensione": dallo Ione di Euripide. Libertà di parola e di pensiero nella società contemporanea e le conseguenze del suo esercizio.

inserito il 06 06 2015, nella categoria Etica, Laicità, Libertà, Tavole dei Fratelli

PARRESIA Lib parola

Tavola del fr:. C:. A:. C:.

1) Che rapporto c’è tra libertà di parola e di pensiero e la verità?

Con il termine “parresia” gli antichi Greci indicavano il libero accesso alla parola di tutti i cittadini della polis.

Il termine deriva da “pan“, tutto, e “rhema“, discorso, e pertanto significa letteralmente “dire tutto”.

Il concetto di parresia, nella sua concezione originaria, è quindi qualcosa di più della semplice libertà di opinione e di parola, ma riveste un significato più ampio e di rilievo etico e morale, in quanto sottintende che la parola venga usata con franchezza, che si dica ciò che effettivamente si pensa e si crede vero.

Nello Ione di Euripide, la parresia è posta a fondamento della democrazia, in un rapporto che potrebbe definirsi circolare; è vero che non può esservi parresia senza democrazia, perchè solo questa forma di governo permette di consentire a tutti di esprimere la propria opinione, ma è anche vero che non può esservi democrazia senza parresia, perchè le basi fondamentali del vivere democratico sono costituite proprio dalla possibilità, per tutti, di prendere la parola, ma anche dall’obbligo, soprattutto di chi detiene il potere, di dire la verità.

Non è un caso che nella Fenice lo stesso Euripide individui un nesso strettissimo tra parresia e libertà individuale, affermando che chi non ne possa godere si trova nelle stesse condizioni di uno schiavo: “a partire dal momento in cui non c’è parresia, allora tutti sono in preda alla follia del padrone“.

Con una sola espressione, come abbiamo visto, si indica non solo la libertà di parola, ma anche il modo con cui essa deve o dovrebbe essere utilizzata: per dire la verità.

Si tratta,. quindi, di un termine che ha tanto un significato politico, quanto un significato etico e morale.

Ma tutti gli uomini sono in grado di dire il vero?

Ci piacerebbe pensare che sia così, ma si tratta di una visione sicuramente utopistica, perchè a molti di noi difettano le capacità di discernimento, ma soprattutto il coraggio necessario per esprimere liberamente il nostro pensiero.

Per questo già nell’antica Grecia, in coincidenza con la crisi delle istituzioni democratiche, il concetto di parresia come base della democrazia viene presto sostituito da quella che Focault, riferendosi ad un’altra tragedia di Euripide (l’Oreste), chiama “parresia cattiva“, che potremmo approssimativamente tradurre con “retorica“, naturalmente nella accezione più negativa e non come sinonimo di “arte oratoria”.

Chi parla in pubblico non dice più la verità, ma parla per persuadere il prossimo, dice ciò che la maggioranza vuole sentirsi dire; in questo modo, chi sa usare meglio l’arma della retorica conquisterà il potere, e non avrà bisogno di ricorrere a guerre o violenze, essendogli sufficiente la parola.

Caratteristica essenziale di chi pratica la parresia (o, per dirla con Focault, la “parresia buona“), diventa dunque il coraggio.

Soltanto chi ha il coraggio delle proprie azioni, e soprattutto di sopportarne le conseguenze, può praticare l’arte della vera parresia, ossia del parlare con franchezza.

Secondo Platone la parresia si identifica con un discorso vero, che può essere tenuto solo da un uomo audace (il filosofo), che non abbia paura di dire la verità, a dispetto di qualunque pericolo, anche di vita (l’esempio, naturalmente, è quello di Socrate e della sua morte).

PARRESIA SOCRATE

Naturalmente l’analisi dei rapporti tra libertà di parola e di pensiero, e verità, non può prescindere dal significato che si attribuisce al secondo termine del rapporto, la verità.

Se parliamo ad esempio delle religioni rivelate o dei regimi politici autoritari, fra verità e libertà di pensiero e di parola vi è un’insanabile antinomia.

Non può esservi libertà di parola e di pensiero laddove vi è una verità rivelata o imposta.

Per noi Massoni, che siamo uomini del dubbio, la verità non può consistere in un dogma, in qualcosa di estraneo alla nostra coscienza ed imposto dall’esterno.

Al contrario, la verità si identifica con il dubbio stesso, perchè il fatto stesso di esercitare il pensiero critico certifica la nostra esistenza, che è l’unica verità di cui possiamo essere ragionevolmente certi (il “cogito ergo sum” di cartesiana memoria).

D’altra parte, se la parola può in qualche modo essere limitata o repressa, nessuna potestà o forma di governo potrà mai evitare agli uomini di pensare o obbligarli a pensare ciò che essa vuole.

Con la conseguenza che qualsiasi forma di punizione o costrizione conseguente alla libera manifestazione del pensiero ha l’effetto non di rafforzare il potere dello Stato sui cittadini, fungendo da monito per coloro che vogliano seguire l’esempio dei dissenzienti, ma, al contrario, trasforma questi ultimi in martiri, inducendo nei cittadini sentimenti di commiserazione o addirittura desiderio di vendetta e di rivolta.

In questa prospettiva la libertà di parola è sicuramente un mezzo per veicolare la verità; se infatti il pensiero è l’unica qualità insopprimibile dell’uomo, ed è la sola che ne certifica l’esistenza, solo la libertà di esprimerlo senza vincoli o limitazioni di sorta può condurre alla ricerca della verità.

PARRESIA 3

2) La libertà di parola e di pensiero nella società  contemporanea e le conseguenze del suo esercizio.

Mentre riflettevo sull’argomento di questa tavola, due notizie di cronaca, apparentemente futlli o relegabili tra le “note di colore” dei giornali, mi hanno colpito particolarmente e, inevitabilmente, hanno indirizzato il mio pensiero.

La prima riguarda il “boicottaggio”, da parte di alcune associazioni gay capitanate dal cantante Elton John, dei prodotti degli stilisti Dolce e Gabbana, “rei” di avere espresso opinioni contrarie alla fecondazione in vitro da parte delle coppie omosessuali ed in difesa della c.d. famiglia tradizionale.

La seconda riguarda il rifiuto, da parte della stragrande maggioranza degli studi legali americani, di patrocinare la causa di quelle associazioni che, in nome di principi religiosi o comunque di convinzioni etico-sociali, si opponevano alla legalizzazione dei matrimoni fra coppie omosessuali.

Contrariamente a quanto potrebbe superficialmente ritenersi, ciò che a mio avviso accomuna le due vicende, e le colora di sfumature inquietanti, o quanto meno preoccupanti, non è il loro significato letterale o primario (ossia la giusta lotta per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali), ma il loro significato simbolico o secondario, che la dice lunga sulla stato della libertà di opinione e di parola nella nostra civiltà che, forse a torto, definiamo moderna ed evoluta.

Come suggerito da un’esilarante vignetta che mi è capitato di leggere in rete, infatti quelli che boicottavano Dolce e Gabana erano, con ogni probabilità, gli stessi che in occasione dei tragici fatti di Parigi si erano affrettati a dichiarare pubblicamente che “anche loro erano Charlie”.

Allo stesso modo quegli stessi studi legali che (giustamente, vista la professione che si sono scelti) non avevano avuto alcuna remora a difendere gli aderenti ad associazioni che predicavano la segregazione razziale, hanno deciso, per non risultare impopolari, e quindi perdere clienti, di un difendere una causa, quale quella dei difensori della “famiglia tradizionale”, indifendibile di fronte all’opinione pubblica “politicamente corretta”.

Verrebbe da dire, come fece Montanelli, con lo pseudonimo di Marmidone, in un articolo apparso nel 1959 sull’Europeo, che “la libertà c’è: quello che manca è l’abitudine ad usarla“.

Vale a dire che ci riempiamo la bocca con dichiarazioni a favore della libertà di parola e di pensiero, ma poi pretendiamo che essa venga usata solo per esprimere opinioni conformate e conformiste, chè, altrimenti, non si tratta di opinione, ma di offesa, o, nella migliore delle ipotesi, di retrogradezza.

PARRESIA 2

Ci manca insomma il coraggio delle nostre opinioni, e spacciamo per “verità” ciò che è semplicemente “senso comune”, il che è un paradosso perchè il senso comune è di quanto più mutevole e più lontano dalla verità possa esistere.

La vicenda del giornale satirico Charlie Hebdo (la cui redazione fu sterminata a Parigi da un attentato di integralisti islamici, offesi da alcune vignette su Maometto – ndr) è sicuramente un emblema di questo atteggiamento ipocrita nei confronti della libertà di opinione e di parola.

Come sappiamo, nei giorni immediatamente successivi all’attentato nella sede del giornale satirico francese, tutto il mondo politico, sociale e culturale si è unito in messaggi di cordoglio e solidarietà, inneggiando ai disegnatori e giornalisti uccisi (fra cui alcuni massoni – ndr) come a martiri della libertà di stampa.

Sennonchè, quando l’American Pen Club ha deciso, con una motivazione dall’elevato valore simbolico, di attribuire proprio a Charlie Hebdo un prestigioso premio in onore della libertà di stampa, circa duecento scrittori ed intellettuali si sono ribellati e, in una lettera aperta, hanno criticato l’assegnazione del premio, in quanto essa darebbe valore e diffusione a “materiale discriminatorio ed offensivo, dirett0 a diffondere sentimenti antislamici” (una di loro, la scrittrice americana Joyce Carol Oates, ha addirittura paragonato Charlie Hebdo al Mein Kampf!).

Mi pare evidente che chi ha criticato la scelta di attribuire a Charlie Hebdo un premio così importante non ne abbia colto il valore profondamente simbolico.

Indipendentemente dal contenuto delle famigerate vignette ritenute insultanti e blasfeme, ed anzi proprio in forza di quello, ciò che, a mio avviso, si è voluto dire e ribadire con forza è che la libertà di parola e di opinione non può incontrare alcun limite.

La satira di Charlie Hebdo assurge a simbolo della libertà di pensiero e di opinione proprio perchè estrema, blasfema, disturbante, volutamente provocatoria, sicuramente criticabile; anzi più il contenuto è criticabile, più occorre che esso possa essere diffuso.

Il fatto che il nostro pensiero possa turbare, offendere o sconvolgere qualcuno, non può rappresentare un ostacolo alla sua espressione: dobbiamo seguire l’esempio di Socrate e della sua “parresia filosofica”, ed avere il coraggio di esprimere il nostro pensiero anche se scomodo o semplicemente di minoranza.

PARRESIA 1

Se ammettiamo che la libertà di pensiero e di parola possa incontrare dei limiti, corriamo il rischio che essi siano sempre più rigidi, ma soprattutto ne permettiamo la determinazione da parte di chi detiene il potere politico per farlo, assoggetandoci ad una “dittatura della maggioranza”.

Naturalmente chi esprime il proprio pensiero deve accettarne le conseguenze; ad ogni libertà corrisponde una responsabilità.

Libertà di parola, infatti, non significa libertà di offesa o di calunnia o di diffamazione; tuttavia tali reati non vanno impediti praticando la censura, ma puniti dopo che sono stati compiuti.

Il motivo, molto meglio di come potrei fare io, ce lo spiega Pietro Verri in questo dialogo sulla libertà di stampa (“Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità“, Dialogo secondo):

D.  – Ma col nome della libertà di stampa, intendete voi dunque che a ciascuno debba essere lecito animare la plebe al tumulto con un libello sedizioso, calunniare e insultare colla satira qualunque galantuomo?

R.Ho già detto che la libertà consiste nel poter fare tutto quello che non pregiudichi la libertà di un altro uomo. Ora chi muove a tumulto sicuramente pregiudica alla libertà de’ Cittadini, chi toglie la fama calunniando o insultando toglie un bene prezioso e pregiudica alla libertà del danneggiato. La Stampa deve essere libera, come libera è la parola; ma chi se ne serve per commettere un delitto debb’essere punito secondo le forme delle Leggi“.

D.Ma perchè proscrivere dunque la censura, la quale previene i delitti della stampa? Non è egli meglio prevenire i mali, che castigarli?“.

R. Impedirete voi che si accenda un fuoco perchè non seguano incendi? Se volete prevenire tutti i mali, impedite che gli uomini non operino: questo sarebbe lo stato di morte. Impedite che gli uomini non  parlino per prevenire la bugia, la contumella, la calunnia? Prevenite i delitti coll’impedire l’ozio,  col castigare prontamente, con premiare le buone azioni, col dilatare per mezzo dell’educazione il senso morale. Ma è la politica degli ignoranti e de’ Tiranni quella di ammortire le azioni, convien dirigerle con buone leggi, ma non vincolare giammai la molla della attività“.

Ho detto

C:. A:. C:.

4 Giugno 2015 e.v.

 

 

 

 

 


1 Comment for this entry

  • FRANCESCA GIULIANA CIALINI

    CONCORDO CON OGNI PAROLA SCRITTA.
    SENTO PROFONDAMENTE QUANTO SCRITTO, SOPRATTUTTO ALLA LUCE DELLE IGNOBILI CENSURE CONDIZIONAMENTI A CUI SIAMO SOTTOPOSTI ANCHE QUI…
    I miei complimenti … sono stati interpretati i miei sentimenti e il mio sentire con una esposizione magistrale… buona continuazione…

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