IL LUME ETERNO

inserito il 14 01 2021, nella categoria Alchimia, Esoterismo, Iniziazione, Scienza, Storia, Tavole dei Fratelli

Una parafrasi alchemica dell’Iniziazione Massonica in alcune lettere scritte nel 1752 dal Principe Raimondo di Sansevero al Cavalier Giovanni Giraldi, accademico della Crusca fiorentino.

Tavola del fr:. G:. C:. (per g.c. della R:. L:. Savonarola n. 104 all’Oriente di Ferrara).

Fiamme vaganti, luci infernali – diceva il popolo – passavano dietro gli enormi finestroni che danno, dal pianterreno, nel vico Sansevero […] Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, romori sordi e prolungati suonavano là dentro […] Che seguiva, dunque, ne’ sotterranei del palazzo? Era di là che il romore partiva: lì rinserrato co’ suoi aiutanti, il principe componeva meravigliose misture, cuoceva in muffole divampanti […] porcellane squisite e terraglie d’ogni sorta; lì mescolava colori macinati per la stampa tipografica e faceva gemere torchi fabbricati, secondo le sue stesse norme, per imprimere in una volta sola parecchi colori sul foglio […] Quell’uomo fu di grande ingegno e di grandissimo spirito: se non mi sbaglio, si valse dell’una cosa più per diletto proprio che per altro, e dell’altra usò per burlarsi di tutti. È anche, e specie per questo, ch’egli ha meritato di passare alla posterità” (Salvatore Di Giacomo).

Tattica, invenzioni militari, invenzioni pirotecniche (il verde-mare, il verde-smeraldo, il rubino, il pavonazzo, il giallo che oggi ammiriamo nelle girandole furono scoperti da lui, come pure i razzi col fischio e gli altri, dei quali pare perduto il segreto, «con un ben chiaro e distinto canto di uccelli, il quale senz’altro estraneo aiuto era dallo stesso fuoco prodotto») invenzioni idrauliche, architettoniche, artistiche; studî di lingue antiche e moderne, di filosofia, teologia, storia e antiquaria, non gl’impedirono di trovar il tempo per isbizzarrirsi con la lettera apologetica e con la invenzione del nuovo alfabeto dei Quipu, dell’antico essendo rimasto soltanto il nome e il ricordo” (Luigi Capuana).

Da ragazzo erano più o meno queste le parole che sentivo dai miei nonni napoletani in riferimento ad un principe vissuto in città più di 200 anni prima: Raimondo di Sangro Principe di Sansevero (1710-1771). Rampollo di una famiglia di ascendenza Carolingia, Grande di Spagna, rifiutò sempre gli sfarzi e le frivolezze di corte per dedicarsi agli studi ed alla sperimentazione, accolto tra gli Accademici della Crusca con l’appellativo di “Esercitato”, fu anche Gran Maestro della Massoneria Napoletana ed abile comandante militare come dimostrato durante la battaglia di Velletri dove, al comando del Reggimento di Capitanata, agendo in difformità rispetto agli ordini dei “supervisori” inviati dal re di Spagna, ricacciò gli Austriaci (1744).

Ma, come la fantasia del ragazzo si lascia trasportare dai miti e dalle leggende, così la razionalità dell’adulto cerca all’interno di questi miti la verità nascosta. Per il Nostro Principe questa ricerca non è affatto facile perchè “egli non ha lasciato un nome nella storia del sapere, ma ha dato luogo a leggende più o meno maravigliose, perché facea un segreto dei suoi trovati, amando destare la sorpresa dei suoi coetanei. Così egli trovò il modo di colorire i marmi, ma non pubblicò il metodo di cui si avvaleva […] Mancando adunque di opere pubblicate, resta la tradizione, dalla quale sceverando il maraviglioso e l’esagerato, si deve dire che il Principe di Sansevero fece molte cose per farsi ammirare dai coevi, ma curò poco il giudizio dei posteri” (Luigi Settembrini).

Una cosa però è lì davanti a tutti: La Cappella di Santa Maria della Pietà nel centro storico di Napoli con all’interno il mausoleo della Famiglia Di Sangro. Questa è un’opera unica sia per il livello artistico, sia per il significato allegorico che nasconde. È proprio lo sforzo di conoscere e comprendere il significato di quello che assomiglia più ad un tempio esoterico-massonico che ad una cappella votiva mi ha portato ad approfondire in maniera più “scientifica” la mia conoscenza d’o Princepe.

Ho iniziato, quindi, quindi dapprima a leggere saggi sul personaggio e sulle sue opere e successivamente ho approcciato le poche, e difficilmente reperibili, opere scritte dal Di Sangro stesso. Mi sono quindi capitate per le mani 7 lettere scritte dall’Esercitato ad un altro Accademico della Crusca, il Cavaliere Giovanni Giraldi di Firenze nel 1752. In esse il nostro Principe parla di una scoperta casuale ma di assoluto valore: un lume perpetuo!

Un lume perpetuo? Non poteva essere! Ho deciso quindi di leggere quelle lettere per vedere le spiegazioni scientifiche, o pseudo tali, che il principe avrebbe addotto. Già dalle prime pagine mi sono accorto che la cosa non era proprio in quei termini, che il tutto aveva una chiave di lettura decisamente alchemica. Ma andiamo con ordine.

Una notte il nostro Principe diede fuoco accidentalmente a del materiale che aveva fatto cuocere nel forno di un vetraio. Con suo sommo stupore questo materiale bruciò costantemente per 6 ore finchè non lo spense prima di andare a dormire. A stupore si aggiunse stupore quando nel pesare il materiale si accorse che esso aveva mantenuto esattamente lo stesso peso che aveva prima di bruciare: una quarta parte d’oncia meno sette grani (d).

Il giorno dopo furono infruttuosi tutti i tentativi fatti per incendiare nuovamente la materia.

Qualche giorno dopo il Principe decise di dare fuoco ad un altro campione di detto materiale ma, tale operazione non gli riuscì fintanto che non ne utilizzò lo stesso quantitativo della sera prima.

Da qui inizia l’esame del comportamento della fiammella. ‘L lume per istar fermo e non agitarsi bisognava che fosse collocato in un sito perfettamente perpendicolare e che per ben ciò riuscire era uopo livellar prima il tavolino e far poi che il tubetto cadesse a perpendicolo sopra il medesimo, la fiamma in quelle condizioni diventa fermissima”. Dopo 3 mesi di accensione ininterrotta della fiamma il principe si rese conto che il peso della materia non aveva avuto la minima diminuzione di quello che avea allor che tre mesi innanzi l’accesi, anzi, la materia dava a divedere d’esser cresciuta forse più d’un grano nel peso.

La fiammella del lume, inoltre, diveniva sempre più traballante, fino a rischiare lo spegnimento, quanto più si inclinava la lampada e tornava stabilissima quando la stessa veniva rimessa dritta.

Successivamente il Di Sangro pose il lume all’interno di una lanterna di cartone che successivamente ricoprì “ma tosto la fiamma cominciò in sì fatta maniera a dibattersi che s’io non riapriva la chiusa apertura il lume si sarebbe certamente spento; quantunque non combaciando bene l’orlo inferiore del cartone colla tavola ci si potea facilmente l’aria introdurre ed essere capace di far rimanere acceso qualunque lume d’altra specie di questo. Feci poi in una delle parti laterali del lanternone un buco, alto più della base della fiamma quattro o cinque dita e grosso da poterci entrare un dito. Tornai allora a serrare l’apertura superiore e osservai che la fiamma cominciò immediatamente a dibattersi, ma non già con violenza tale che avesse dato indizio di volersi spegnere; e che nel tempo istesso (cosa veramente strana) non rimase più verticale, ma inclinata verso il buco laterale, senza cessar mai il suo sensibilissimo dibattimento. Appena però fu riaperta da me la parte superiore del detto lanternone, ecco che tosto la fiamma riprese la sua direzione verticale e lasciò di più dibattersi. Turai poscia il detto buco e ne feci un altro, che stava quasi a livello colla base della fiamma. Riserrai allora col cartone l’apertura di sopra e subito cominciò a vedersi un dibattimento molto più forte del passato della fiamma, la quale si torse in modo che facea presso a poco angolo retto col lucignolo; e la punta di essa si slungava a gran forza verso il buco, a guisa della fiamma di quelle lucerne delle quali si servono gli orefici per saldare; […] il dibattimento crebbe in pochi istanti a tal segno ch’io, per tema che il lume non si fosse spento, tornai di bel nuovo a riaprire la parte superiore; e così tosto la fiamma si raddrizzò e diventò tranquilla, siccome era prima. Serrai quindi il detto buco e ne feci un altro tre dita in circa più sotto la base della fiamma. Turai allora l’apertura di sopra; ma se non ero pronto a riaprirla si sarebbe tosto spenta la fiamma, siccome appunto accadde quando, senz’avere io fatto ancora alcun buco nel cartone, chiusi l’apertura superiore. Or non è questa una stravaganza ben singolare, che con tutta l’apertura del buco, per la quale già entra l’aria, questo lume vanga a spegnersi? E che ciò accada quando il buco è più basso della base della fiamma? Aprii successivamente più buchi nelle tre facce di cartone; anzi, per abbreviare il racconto, ci feci delle aperture così grandi che liberamente ci entrava per ciascuna di esse la mia mano; ma perché quei buchi eran sotto al livello della base della fiamma furono sempre inutili perché, serrandosi l’apertura di sopra, s’andava tosto la fiamma ad estinguere, s’io non accorrea subito a torre quel cartone che copriva l’apertura superiore”.

Purtroppo anche questo secondo lume gli si spense accidentalmente durante le sue sperimentazioni e, non sapendo come ottenere nuovamente il combustibile decise di non accendere il resto del materiale che aveva a disposizione.

Allora cos’è questo materiale capace di bruciare in maniera perenne senza consumarsi? Si trattava di materiale estratto dalle ossa dell’animale più nobile che sia sulla terra, e le migliori sono appunto quelle della testa, inviate in vetreria affinchè fossero tenute in forno per qualche giorno, della consistenza di butirro molle in tempo di ‘state. In particolare viene spiegato che la fiamma viene generata dalla combustione dei fosfori, così come accade per i fuochi fatui, ma, in questo caso, essi non sono stati estratti dai fluidi di scarto (urine) o dal materiale in putrefazione, ma ottenuti dalle ossa del cranio depurati e sceveri da tutte quelle altre particelle inerti, dalle quali erano circondati e che facean contrasto e mettean freno alla loro somma attività.

Il principe continua affermando di conchiudere che laddove la suddetta fiammella, eccitata che sia, non avesse la virtù d’attrarre a sé successivamente ad ogni istante un nuovo alimento dalla circonvicina atmosfera la sua durata sarebbe brevissima e quasi momentanea: a dir vero, pochissimi istanti bastano senz’altro a consumare quel piccolo numero di particelle accensibili ond’essa è prodotta. Quinci avviene che estinta ch’è una volta, non resta più atta a riaccendersi: imperocché trovandosi in essa già consumate fin da’ primi istanti del suo accendimento quelle tali poche parti accensibili che da principio contenea, si rimane poi inerte del tutto e senz’alcuna disposizione a nuovamente accendersi. […] dunque tutto il resto, che converte poi successivamente in fiamma, non esce più dalla sua propria sostanza, ma l’è estraneo, comecché le sia omogeneo. Il lume, quindi, brucia materiale che non proviene dalla materia da cui si è sprigionato ma dall’ambiente circostante.

Queste lettere furono scritte nel 1750 quando il Principe di Sansevero era Gran Maestro della Gran Loggia Nazionale di Napoli e, in altre opere, il Principe stesso ammise di scrivere in tal gergo […] che appena può essere a Voi intelligibile cui i miei sentimenti sono stati sempre aperti (e). Allora nulla è come sembra e bisogna cercare tra le righe quale fu veramente la sua scoperta.

Cos’è il materiale grezzo utilizzato da Principe se non il recipiendario che, per mezzo della morte e purificato dall’Athanor (il forno del vetraio), diviene capace di accendersi permanentemente trasformandosi in Iniziato? L’iniziato si infiamma al minimo contatto con le altre fiammelle ed è capace di rimanere accesso in eterno.

Per continuare a brillare, però, necessita del continuo apporto di combustibile dall’esterno, dai fratelli di loggia. Non solo ma questo continuo apporto di combustibile riesce anche a determinare l’accrescimento della materia di partenza, dell’iniziato. Di che tipo di combustibile necessita quindi l’iniziato? Tornando al nostro Principe egli specifica che la materia del mio lume riceve il compenso del piccolissimo peso che perde da tanti corpiccioli che nuotano nell’aria e, specialmente dai vitrosi e dai sulfurei, dai quali, per cagione delle solfatare e del monte Vesuvio, tanto abbonda il nostro Paese.

“Il preciso rimando all’area napoletana può essere interpretato come riferimento a quella particolare presenza magico-ermetica che a Napoli si era concretizzata nella fusione tra la Tradizione egizio alessandrina e quella Italica e pitagorica” (f). Ricordiamo che il palazzo dei Principi Di Sangro sorge su uno dei decumani della Napoli greca e confina con piazzetta Nilo che deve il nome alla folta comunità di Alessandria d’Egitto che si era trasferita a Neapolis nei primi secoli dopo Cristo.

Tornando al nostro lume, dalle lettere si deduce chiaramente che la fiammella brucia al meglio quando si trova su un piano ben livellato e viene mantenuta perpendicolare ebbene sono proprio una perpendicolare ed una livella gli strumenti che il Primo e Secondo Sorvegliante utilizzano per indirizzare la crescita degli iniziati. Altra cosa a mio avviso importantissima è il combustibile che

mantiene viva la fiamma, esso deve essere di livello superiore, deve provenire dall’alto, o, almeno, da un livello superiore rispetto alla base della fiamma, deve, in buona sostanza, rispondere alle aspettative dell’iniziato, se ciò non dovesse succedere la fiamma iniziatica sarebbe destinata inesorabilmente allo spegnimento.

La vita iniziatica di ognuno di noi, quindi, dipende dai Fratelli di Loggia e dalla qualità dell’apporto che essi sapranno dare e ciò è ancora più importante se si considera che, se il lume iniziatico si dovesse spegnere, non potrà essere mai più riacceso, la vita iniziatica, il lume di quel Fratello saranno irrimediabilmente persi.

In un altro passaggio delle lettere il Nostro Principe afferma che il lume che mandava non era troppo brillante; però bastava a potersi leggere col suo soccorso qualunque scrittura, l’iniziato quindi non solo necessita del nutrimento fornito dall’ambiente circostante ma è esso stesso utile tanto da poter diventare esso stesso guida per gli altri.

La fiamma iniziatica di ogni Fratello va nutrita, non solo saziando la sete di conoscenza o appagando le curiosità culturali di ognuno, ma, soprattutto, attraverso quell’integrità morale che dovrebbe contraddistinguere il comportamento di ogni Libero Muratore. Attraversando le Colonne ogni Fratello dovrebbe avere la percezione di trovarsi in un ambiente, sicuro, virtuoso, in cui sia piacevole abbandonarsi agli Architettonici Lavori e dove, realmente, non si senta il tintinnare

dei metalli: il Libero Muratore lavora incessantemente per scavare oscure e profonde prigioni al vizio ed edificare templi alla virtù. Purtroppo non sempre è così, siamo uomini ed in quanto tali imperfetti, ma il dovere di ogni Massone, è quello di non accettare la propria imperfezione, di non arrendersi ad ad essa, è quello di fare ogni sforzo per mascherarla, per tenerla fuori dalle Colonne.

Cari fratelli se non riuscissimo a mantenere alta la qualità del nutrimento delle nostre fiammelle rischieremmo di farne spegnere qualcuna. È mia opinione che, se ben tegolato, chiunque ci chieda la luce è alla ricerca di un qualcosa che nel mondo profano non è riuscito a trovare e che, se un Fratello decidesse di mettersi in sonno, lo farebbe perchè saremo stati noi a non riuscire ad alimentare adeguatamente la sua luce, a non riuscire a rispondere alle aspettative che aveva nei confronti della Libera Muratoria.

Fratelli qui tutto deve essere giusto e perfetto, dalla celebrazione del Rituale, alla Tavola scolpita, al nostro comportamento.

In un periodo come questo, dove siamo sotto attacco da molti fronti, dove molti Fratelli vacillano per paura di trovarsi coinvolti senza motivo e senza colpa in questioni di rilevanza nazionale che potrebbero comprometterne la carriera e la vita profana, non possiamo né dobbiamo prestare il fianco alle accuse che ci vengono mosse, non possiamo permetterci di essere noi stessi, con la nostra imperfezione, a dare una spallata a questi ultimi, a farli cadere fuori dalla Libera Muratoria.

Questa tavola ha toccato solo uno degli aspetti, forse quello più semplice da cogliere, delle lettere del Principe di Sansevero. Queste ultime, infatti, sono molto articolate e complesse e sicuramente qualcuno che ha maggior dimestichezza con l’arte ermetica riuscirà a scovare tanti altri spunti che a me sono sfuggiti.

L’anno dopo la pubblicazione delle lettere sul Lume Perpetuo, Raimondo di Sangro Principe di Sansevero venne scomunicato e fu costretto dal Re Carlo III di Borbone a sciogliere la Massoneria Napoletana. Non rientrò mai più nella Libera Muratoria pur continuando i suoi studi alchemici fino, come narra la legenda, a rimanerne ucciso.

Ho detto!

G:. C:.

12 Gennaio 2021 e.v.

(a) Salvatore Di Giacomo – Celebrità Napoletane

(b) Luigi Capuana – Libri e Teatro

(c) Luigi Settembrini – Lezioni di Letteratura Italiana

(d) Facendo i conti della serva sono 123 (?!) grani

(e) Raimondo di Sangro – Lettera apologetica

(f) Paolo Galiano – Raimondo De Sangro e gli Arcana Arcanorum


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