GIORDANO BRUNO, FILOSOFO “OLTRE”

Nessun filosofo affronterà la coscienza ed il sentimento religioso della sua epoca, come fece in nome della libera ragione e della filosofia razionalistica Bruno. Anticipando Darwin minerà il finalismo dogmatico della Chiesa. Nei suoi scritti mostrerà stima e rispetto per il Cristo nella sua autentica personalità, mentre sarà acido e satirico quando anche la figura del Cristo storico sarà travisata dallo stesso dogmatismo clericale.

inserito il 19 09 2018, nella categoria Filosofia, Giordano Bruno, Scienza, Tavole dei Fratelli

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Tavola del fr:. E:. B:.

Prima di dare corso alla lettura della tavola, ritengo utile fornire alcuni chiarimenti sulla stessa.

Attenendomi al tema, mi sono limitato a sviluppare quasi esclusivamente argomenti relativi all’”otrepassamento dei limiti” da parte di Bruno, sia per quanto riguarda il suo pensiero, tutte le sue idee, la sua filosofia e sia per quanto riguarda il suo carattere ed i suoi comportamenti che tanto condizionarono la sua complicata esistenza.

 Non ho pertanto parlato della vita, dei viaggi, degli innumerevoli soggiorni nelle varie città europee, della prigionia, delle varie vicissitudini processuali e della esecuzione capitale sul rogo.

Altresì ho tralasciato qualsiasi argomento sulla mnemonica o mnemotecnica e sulla magia, arte a quanto sembra molto praticate da Bruno. Ho sfiorato appena l’argomento “ermetismo” che comunque ha parecchio influenzato l’opera sia di Bruno come quella di quasi tutti i pensatori, filosofi, scrittori ed artisti del medioevo e del rinascimento oltre a Padri della Chiesa come Lattanzio che considerava Ermete Trismegisto un profeta, seppur pagano, quale antesignano del dogma trinitario e nel cui pensiero vi scorgeva presunte allusioni profetiche al Cristianesimo.

 Mi sono, invece, dilungato in alcune descrizioni ed aneddoti del suo comportamento e dei suoi atteggiamenti allo scopo di far ben comprendere la sua particolare personalità ed il suo carattere poiché  convinto che solo con la comprensione di questi sia possibile  rendersi ragione appieno di chi era e che ha “fatto” Giordano Bruno.

 Un’ultima cosa che mi preme dire: Galileo Galilei, pur con prove scientifiche certe basate su precisi studi matematici e meccanici intorno alle sue teorie circa il movimento della terra, preferì ritrattare, onde evitare la pena di morte; il nostro Giordano Bruno con prove dovute più all’intuizione del suo ingegno che a certezze scientifiche ancora in fase di studio, sempre attorno al movimento della terra, non riuscendo a staccare queste scoperte dalla sua visione della “religione del mondo”  preferì la tortura e la morte, all’abiura.

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In una conferenza tenutasi a Camerino nel 1906, il dott. Sensini, così descriveva Giordano Bruno: “Bruno precorse il suo tempo, subendone poi eroicamente l’ultima reazione, come aveva lietamente sopportate le lunghe e tormentose vicende del suo vivere originate in massima parte dallo spirito di ribellione che accompagnò indissolubilmente il suo pensiero e la sua azione. Dal giorno che il suo spirito razionalistico lo spinse ad uscire dal chiostro, dalla “prigione angusta e nera” egli fu solo, inerme, povero, dapprima  sconosciuto, in urto con tutte le forze sociali del suo tempo: la Chiesa, lo stato, la cattedra, il confessionale, l’Accademia, l’opinione delle masse. .. Lo sorresse la sua agitazione interna: fu la stessa agitazione che lo portò per le terre d’Europa a cercare invano l’impossibile corrispondenza tra la realtà e la sua idea. Insofferente agli ostacoli anziché sfuggirli, va loro incontro, li sfida, li provoca, li ribatte. Nessuno nella storia del pensiero umano, nel tendere alla realizzazione del proprio ideale, giunse a tanto: impetuoso, irrequieto, ardente; un demone interiore sembra che lo frughi, lo rimescoli, lo sospinga alla lotta che in effetti lo compiace. A lui ripugna la solitudine, la giocondità riposta nei pensieri contemplativi. Si apre la via tra gli ostacoli stessi e li converte in forza per nuove battaglie. Odia ed ama, ma sono terribili i suoi odi ed i suoi amori; non conosce né tregua né misura nell’odio e si getta sull’avversario con furia selvaggia di chi vuole distruggerlo ed adopera ogni arma per vincere: la ragione, il sillogismo, l’ironia, il vituperio” (1)

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Ed il Firpo nel suo “Il processo di Giordano Bruno” dirà: “….era la persona meno indicata, per carattere e temperamento, ad assumersi un compito così difficile, delicato e rischioso. Irritabile, litigioso …. e qualcosa di più, in verità, andando soggetto ad accessi patologici di rabbia durante i quali pronunciava cose terribili che atterrivano la gente …. Bruno non aveva quel fascino magico della personalità a cui aspirava e ciò rese vana l’azione del suo messaggio a causa delle sue esplosioni colleriche.”

Il suo genio lo portava a sentirsi isolato nella massa e questo gli faceva dire “con ciò un solo, benché solo, può e potrà vencere, ed al fine avrà vinto, e trionfarà contra l’ignoranza generale… ….perchè in fatto tutti gi orbi non valgono per un che vede e tutti gli stolti non possono servire per un savio(cena dial. I).

 Ed ancora, Bruno, nella lettera diretta al Mathew ed ai Dottori di Oxford, si dichiara: “dottore di un teologia squisita, professore di una sapienza più pura ed innocente di quella comunemente spacciata, risvegliatore dei dormienti, domatore dell’ignoranza generale presuntuosa e caparbia, non italiano, non britannico, maschio o femmina, vescovo o principe, uomo di toga o di spada, monaco o laico, ma cittadino e domestico del  mondo, figlio del padre sole e della terra madre “.

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Certamente la modestia era virtù a lui sconosciuta e dopo un violento scontro con uno dei più insigni teologi oxoniensi, John Underhill, in occasione di alcune lezioni tenute ad Oxford (2) , discorrendo, nella “Cena delle Ceneri” andrà oltre dicendo “andate in Oxonia e fatevi raccontare le cose intervenute al Nolano, quando pubblicamente disputò con que’ dottori in teologia in presenza del principe Alasco polacco ed altri della nobiltà inglese. Fatevi dire come si sapea rispondere a gli argomenti; come restò per quindeci volte qual pulcino nella stoppa quel povero dottor…….Fatevi dire con quanta inciviltà e discortesia procedea quel porco, e con quanta pazienza e umanità quell’altro, che in fatto mostrava essere napolitano nato e allievato sotto più benigno cielo”  (cena dial. IV).

In effetti, dopo poche lezioni fu accusato di plagio nei confronti di Ficino e costretto ad interrompere le lezioni e tornare a Londra. Il contrasto fra Bruno ed i teologi puritani, però, verteva soprattutto sulle concezioni copernicane-ficiniane relative alla teoria per cui “la terra gira e i cieli stanno fermi” alle quali veniva data anche un’interpretazione ermetica della divinità dell’universo stante il fatto che le teorie copernicane venivano esposte  nel contesto di una serie di citazioni tratte dal “De vita coelitus comparanda”  di Ficino.

Lo stesso Copernico, vicino ad uno dei suoi diagrammi del nuovo sistema, aveva citato le parole di Ermete Trismegisto, contenute nell’Asclepius, sul sole come Dio visibile.

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A tale proposito, anche se non c’è da pensare che i dottori di Oxford scagliassero contro Bruno il loro “Anticyram navigat” (sei matto) siamo a conoscenza, di come essi realmente la pensassero grazie a questa straordinaria pagina scritta da George Abbott, scoperta e poi pubblicata solo nel 1960 da Robert McNulty, : “quando quell’omiciattolo italiano, che si definiva Philoteus Iordanus Brunus Nolanus, magis elaborata theologiae dactor ecc. con un nome certamente più lungo del suo corpo, visitò nel 1583 la nostra università al seguito del Duca Alasco, non stava nei panni per il desiderio di compiere qualche memorabile impresa, di divenire famoso in quel celebre ateneo. Ritornandovi non molto tempo dopo, quando con molta più audacia che saggezza ebbe occupato il posto più alto della nostra migliore e più famosa scuola, rimboccandosi le maniche come un giocoliere e facendoci un gran parlare di chentrum & chirculu & circumferenchia (tale infatti la pronuncia del suo paese natio) egli intraprese il tentativo, fra moltissime altre cose, di far stare in piedi l’opinione del Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi, mentre in verità era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo ………. e poiché  Iordanus continuava ad essere idem Iordanus gli fecero sapere che avevano già avuto troppa pazienza e che li aveva già abbastanza infastiditi e cosi con grande onestà da parte di quell’ometto la questione ebbe termine ”.

Un caso quasi analogo poi, avvenne nel suo secondo soggiorno a Parigi, ma di questo ascoltiamo cosa dice Frances A. Yates nel suo “Giordano Bruno e la tradizione ermetica”: “… l’altro grande episodio sbalorditivo del secondo soggiorno parigino di Bruno fu il dibattito pubblico presso il Collège de Cambray ove egli convocò i dottori di Parigi per sentirlo enunciarecentoventi articoli sulla natura ed il mondo contro i peripatetici”…”

Il reverendo Cotin (tale era il nome del bibliotecario dell’abbazia di Saint-Victor) era molto interessato a questa apparizione pubblica dello sconcertante frequentatore abituale della sua biblioteca e dal suo diario apprendiamo che i giorni in cui Bruno convocò “les lecteurs royaux et tout à l’ouir dedans Cambray” furono il 28 e 29 maggio 1586, cioè “les mercredy et jeudy de le sepmaine de Pentecoste”.

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Le tesi vennero sostenute da Hennequin, il discepolo di Bruno, che si trovava “en la grande chaire”, mentre il Nolano “estoit en une petite chaire, prè l’huis du jardin”. Si trattava probabilmente di una misura precauzionale, nel caso che si fosse presentata la necessità di scappare, come di fatto avvenne.

L’orazione di apertura contiene passi identici quasi parola per parola ad altri corrispondenti de “La cena delle ceneri”: “…perciò non dobbiamo seguire le autorità sciocche ed inconsistenti, ma i sensi disciplinati ed il lume dell’intelletto. La concezione di un universo infinito è più degna della maestà divina che non quella di un universo finito. I più celebrati professori di scienze sono tenuti a giudicare di queste affermazioni in presenza della maestà del vero, comportandosi non in malafede e dogmaticamente, ma secondo uno spirito equanime e tollerante”.

Stando al racconto di Cotin, quando il discorso fu terminato, Bruno si alzò incitando chiunque lo volesse, a difendere Aristotele ed ad attaccare lui.

Nessuno aprì bocca ed allora egli si mise a gridare ancora più forte, come se avesse già la vittoria in pugno. Ma in quel mentre si alzò un giovane avvocato di nome Rodolphus Calerius che in un lungo discorso difese Aristotele contro le calunnie di Bruno, dopo aver premesso che i “lecteurs”  non avevano preso prima la parola stimando Bruno indegno di qualunque replica.

Egli invitò quindi Bruno a rispondere e a difendersi, ma questi rimase in silenzio e fece per andarsene. Allora “les escoliers tenoyent aux mains Brunus”, dicendogli che non lo avrebbero lasciato andare fino a che non avesse ritrattato le sue calunnie contro Aristotele.

Alla fine egli riuscì a liberarsi dalla loro presa, impegnandosi però a tornare il giorno successivo per rispondere all’avvocato… “Mais Brunus n’y comparut pas, et dès lors n’est  plus veu demeurant en caste ville“. .. In pratica fuggi da Parigi.

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Ed allora, si chiede la Yates, “perché Bruno provocò un dibattito così rischioso  per lui ? In parte forse per una innata incapacità di starsene zitto e buono in disparte. Il carattere di Bruno è assai difficile da definire; da un lato vi troviamo una continua ricerca di pubblicità ed un atteggiamento millantatorio, dall’altro, invece, un senso di missione certamente genuino”.

Iordanus continuava ad essere idem Iordanus. L’oltrepassamento dei limiti per lui era cosa caratteriale e quindi costante.

Ad ogni buon conto, Bruno nei confronti di tutte le sue formulazioni ed interpretazioni fu fermo ed irriducibile, come in tutte quante le sue speculazioni ed idee che espresse sempre in piena ed assoluta libertà di pensiero.

Ecco, così era Bruno, così il suo carattere, così veniva considerato Bruno e tutto questo gli costò il rogo.

Se la Chiesa del XVI° secolo voleva creare un martire, ebbene, con G. Bruno ci riuscì a perfezione e tutt’oggi quest’aurea di martire che ha preferito morire piuttosto che rinunciare alle sue convinzioni scientifiche e filosofiche persiste.

In effetti il suo nome è più conosciuto, per quell’alone di sofferenza e sacrificio che lo circonda, che per uno studio approfondito del suo pensiero e della sua monumentale opera filosofica che, possiamo dire, abbia inaugurato il mondo moderno. Senz’altro le sue idee e le sue teorie, dovrebbero fornire argomenti più solidi e significativi, per un giusta e meritevole memoria.

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A questo, punto per meglio comprendere e valutare il pensiero filosofico e morale di Bruno, è d’obbligo soffermarci brevemente, sull’ambiente e sul periodo storico nel quale visse e come questi abbiano influenzato le sue opere. Sarà necessario inoltre confrontare i concetti filosofici fondamentali del periodo precedente con quelli che al momento si stavano presentando e sviluppando e che contribuirono all’elaborazione e formazione del suo pensiero.

Siamo in un momento non facile dal punto di vista religioso: ci troviamo in periodo post Concilio Tridentino, in piena controriforma ed il tentativo di conciliare la Città di Dio con quella dell’uomo è cosa audace se non impossibile.

La Chiesa reagisce indiscriminatamente con violenza contro tutti coloro che cercano di infrangere l’ordine precostituito, lo stesso Bruno, Tommaso Campanella, Paolo Sarpi miracolosamente sfuggito allo “stilum Romanae curiae”, G. Cesare Vanini ecc., e Bruno dirà: “Il proceder ch’usa adesso la Chiesa, non è quello ch’usavano gli Apostoli: perché quelli con le predicazioni e con gli esempi di buona vita convertivano la gente, ma….ora chi non vuol essere Catolico, bisogna che provi il castigo e la pena, perché si usa la forza e non l’amore… (Documenti-Spampanato)

Bruno è l’uomo che nella sua stupenda opera rappresenta forse più di ogni altro questo grande periodo storico, periodo di totale trasformazione e rinnovamento letterale, artistico, filosofico, scientifico e del quale non è possibile comprenderne l’anima ed il pensiero senza un confronto con il Medioevo che per altro ne costituisce la base e che soprattutto dal punto di vista intellettuale, fu un periodo estremamente tormentato e complesso.

Fu attraverso un processo di demolizione e ricostruzione manipolata del pensiero classico, mediato ed elaborato sotto i dettami della fede cristiana, che la filosofia medievale porterà il pensiero cristiano all’assoluta egemonia. L’essenza del pensiero filosofico del Medioevo, della Scolastica, quindi, fu la sottomissione della scienza e della morale alla teologia; lo spirito e la vita dell’uomo erano asserviti ad una doppia autorità: quella del dogma e quella di Aristotele.

La sottomissione dello Stato alla Chiesa veniva legittimata dalle Sacre Scritture i cui dettami e prescrizioni, attraverso deduzioni politiche divenivano, per il popolo, leggi indiscutibili e non mediabili, così  come i dogmi attraverso vari sillogismi pretendevano dettare le regole della morale.

Spesso i fatti venivano intenzionalmente alterati ed inseriti nel contesto sociale, in modo tale da permettere all’autorità il totale controllo sulla libera ragione. Il dogma e la filosofia aristotelica erano le guide da seguire. Il dogma stabiliva fin dall’inizio la conclusione a cui doveva giungere ogni questione; Aristotele sotto le spoglie di un padre della Chiesa, invece, dettava le dottrine scientifiche che avrebbero fatto concordare la scienza naturale, con le presunzioni sovrannaturali della Chiesa.

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Nessun pensiero libero od azione era o doveva essere indipendente dalla teologia e l’eresia era ritenuta colpa civile e difficilmente chi ne era accusato sfuggiva al rogo. Direi che il clima religioso e culturale che si respirava all’epoca è stato anche ben descritto da Umberto Eco nel “In Nome della Rosa” ed in modo particolare quando fa dire a Padre Jorghe, che voleva distruggere i testi delle commedie greche: “il riso uccide la paura e senza la paura non ci può essere la fede, senza la paura del demonio non c’è più necessità del timor di Dio”.

Senza dubbio il quadro sopra descritto rappresenta un Medioevo come un’età assolutamente oscura, tenebrosa, ma ciò può anche non ritenersi del tutto vero poiché fu anche un’epoca straordinariamente feconda di vita intellettuale ed artistica alla quale dobbiamo tra le altre cose, l’arte gotica, la scolastica, la vera scolastica non pedantesca che permise all’Occidente di riprendere, o più giustamente di prendere per la prima volta contatto con l’opera filosofica dell’antichità.

Fu il Medioevo a salvare l’opera classica, furono i benedettini, con la loro opera magistrale di conservazione, a darci la possibilità di disporre dei testi della cultura greca e quando l’opera di studiosi come Marsilio Ficino e la sua Accademia, riscoprirono o scoprirono questa cultura, si aprì una nuova era con il fiorire di nuove idee, di un nuovo pensiero non più ristretto nei confini delle concezioni dogmatico religiose.

Inizia così il Rinascimento. Di fronte all’Aristotele della Chiesa si presentano il vero Aristotele, Platone e gli altri filosofi greci, con tutta la bellezza del pensiero ellenico che la filosofia di Bruno seguirà costantemente, non nascondendo, anzi vantandosi di questi suoi legami con il pensiero antico, fino a dire: “… sono cose antiche che rivegnono; sono veritadi occulte che si scoprono; è un nuovo lume che dopo lunga notte spunta a l’orizzonte et emisfero della nostra cognizione et a poco a poco s’avvicina al meridiano della nostra intelligenza(De l’infinito).

Questo periodo,  il Rinascimento, viene così sinteticamente descritto dal Prof. Zefiro Ciuffoletti in una conferenza su G. Bruno, a Firenze: “è stato quella grande operazione culturale che ha tentato di sintetizzare due grandi civiltà: il classicismo, cioè il mondo antico ed il cristianesimo, quel tentativo gigantesco, immenso, che ha liberato, attraverso la separazione delle sfere, energie spirituali, artistiche, filosofiche, creative, che l’umanità non ha più mai così grandi avute, togliendo quel tutto unico, quella visione teocratica del mondo, quella visione dipendente del mondo di cui purtroppo a tutt’oggi abbiamo ancora un esempio nell’Islam”.

Gli antichi filosofi non avranno segreti per Bruno, ogni pensiero, di questo periodo sarà ricordato, discusso, criticato e sarà facilmente riscontrabile nelle sue opere come punto di partenza di ogni sua teoria come quando citerà Eraclito nel “De la Causa Principio…”l’anima del mondo è il principio formale costitutivo dell’universo….Essa mutando questa forma sede e vicissitudine è impossibile che si  annulli, perché non è meno sussistente la sostanza spirituale che la materiale…Per il che non vi suonerà mal ne l’orecchio la sentenza di Eraclito, che disse tutte le cose essere uno il quale per la mutabilità ha in se tutte le cose…”

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Molto importanti saranno per Bruno la teorie di Pitagora e dei pitagorici di cui farà suo il concetto essenziale dell’uno, del numero, dell’essere e reale unico, oltre che parte delle teorie sulla metempsicosi. Iniziando come Platonico, si accostò ai neoplatonici sia maggiori come Plotino, che minori come Secondo del quale nel De la Causa Principio et …. cita argutamente un moto contro la donna “uno impedimento di quiete, danno continuo, guerra cotidiana, priggione di vita, tempesta di casa, naufragio de l’huomo”.

Dimostra inoltre una grande ammirazione per i filosofi e scrittori arabi di cui ha una profonda conoscenza ed i cui nomi si riscontrano spesso nelle sue opere come quando nella Cena delle Ceneri ricorda Alchazal come colui che disse “che il fine delle leggi non è tanto quello di cercare la verità delle cose et speculazioni, quanto la bontà dei costumi, profitto della civiltà, convitto dei popoli et pratica per la comodità della umana conversazione, mantenimento di pace, et aumento di Repubbliche”,  pensiero che Bruno farà suo in modo assoluto.

Ci sono poi gli “scrittori” medioevali come Raimondo Lullo e Nicolò Cusano. Del primo ebbe grande stima, dimostrando di provare profonda simpatia nell’ arte espressa nella sua opera Ars magna, in cui venivano descritte le leggi della memoria. Per inciso c’è da dire che in nome di quest’arte e nella sua pratica, Bruno in diverse occasioni ebbe sì notevoli vantaggi, ma anche problemi assai gravi (vedi Oxford, Moncenigo). Del secondo studiò in maniera molto approfondita le opere ed ebbe tale ammirazione  da accompagnare sempre il suo nome col titolo di divino <<divino inventore dei più bei segreti di filosofia>> ed ancora “Dio buono, dov’è chi possa essere assomigliato al famoso Cusano, il quale quant’è più grande, a tanto meno persone è accessibile? Se il vestito da prete non avesse turbato il suo grande ingegno, non pari a ingegno pitagorico ma di gran lunga superiore io riconoscerei e dichiarerei il suo(orazio valedictoria); le teorie del massimo e del minimo che si trovano nei testi bruniani già erano esposte in quelle del Cusano, dove si iniziavano a scorgere anche i princìpi delle stesse teorie formulate da Copernico, un secolo dopo. In effetti il Cusano riteneva la terra non essere il centro del mondo, in quanto, nello stesso, l’esistenza di un centro assoluto era teoricamente impossibile. (de Docta Ignorantia)

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Ultimo, ma non ultimo, Marsilio Ficino, traduttore del famosissimo “Corpus Hermeticum” che tanto influenzò il pensiero e l’arte del rinascimento e che diede una tale fama ad Ermete Trismegisto, il cui ritratto è persino possibile ammirare nel famoso pavimento a mosaico della Cattedrale di Siena. ù

Senz’altro Bruno fece suoi molti concetti degli “Hermetica” ed in seguito sarà facile comprendere le analogie del suo pensiero con quanto dice Ermete Trismegisto al figlio Tat, nel Corpus Hermeticum XII: “Ermete:…..Gli esseri viventi non muoiono, ma, essendo corpi composti, si dissolvono; e questa non è morte, ma la dissoluzione di un miscuglio. Se si dissolvono non è per andare incontro alla distruzione, ma ad un rinnovamento. Che cos’è infatti l’energia della vita? Non è movimento? E che c’è nel mondo che sia immobile? Niente. (3)

Tat: Ma almeno la terra non sembra immobile?

Ermete: No. Al contrario, sola fra tutti gli esseri, essa è soggetta ad una moltitudine di movimenti ed è insieme stabile. Sarebbe assurdo supporre che questa nutrice di tutti gli esseri sia immobile, essa che dà nascita a tutte le cose, perché senza movimento è impossibile generare. Tutto ciò che è nel mondo, senza eccezione, si muove, e ciò che si muove è anche vivo.

Tat: Nella materia c’è anche Dio, Padre?

Ermete: E dove potrebbe essere posta la materia, se esistesse al di fuori di Dio? Non sarebbe una massa confusa, se non fosse spinta ad operare? E, se è spinta ad operare, chi la spinge? Le energie che operano in essa sono parti di Dio. Sia che tu parli di materia o di corpi o di sostanza, sappi che queste sono energie di Dio, di Dio che è il tutto. Nel tutto non c’è niente che non sia Dio.”.

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Bruno fu un autentico monista panteista, ermetico, tanto da creare sulla scorta delle sue teorie, un autentico sistema filosofico, ripreso in seguito da Baruch Spinoza, tendente alla riduzione della pluralità degli esseri ad un unico principio, ad un’unica sostanza evidenziando l’immanenza e l’unicità della sostanza prima, quale Dio, l’Uno, il Motore immobile, la causa causarum, il principio invariato ed invariabile, eterno. L’essere, quindi, è la sostanza e l’origine di ogni cosa e quest’essere è Dio da cui tutto deriva e tutto ritorna, non esiste quindi il dualismo tra divino e non divino, sacro e materiale.

I concetti per cui divinità ed universo, creatore e creatura, infinito e finito, potenza ed atto, causa ed effetto si identificano, sono assolutamente ed indiscutibilmente monisti. Dirà il Rossignoli: “ la dottrina del Bruno, non è altro che il panteismo degli antichi filosofi greci della scuola Ionica, ma in quella forma dinamica che piacque ad alcuni stoici, facendo di Dio l’anima del mondo”.

Bruno cercherà di salvare e rendere attuale, liberandola con le nuove scoperte della scienza, quell’”antiqua vera filosofia” che le  dottrine di Aristotele e i principi del cristianesimo  avevano esclusa.

Con i principi della sua nuova cosmologia cercherà di ristabilire gli equilibri perduti ricongiungendo in un universo unitario, infinito, omogeneo: cielo e terra, forma e materia, sensibile ed intellegibile.

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Per Bruno l’unità del Tutto nell’Uno sarà un tema costante: “Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e infinito; dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente” ed ancoraIl sommo bene, il sommo appetibile, la somma perfezione, la somma beatitudine consiste nell’unità che complica il tutto……e magnificata da tutti i viventi la infinita, semplicissima, unissima, altissima e absolutissima causa, principio et uno.”(De la casa, princpio et uno)

Assimilando il pensiero degli antichi filosofi, facendo sue le teorie di Pitagora ed i pitagorici, per cui tutte le realtà si riducono ad un solo elemento, primigenio, universale, egli distrugge l’idea del dualismo aristotelico imperante, a favore di un monismo panteista quasi mistico, grazie alle influenze platoniche che non lo abbandoneranno mai. Nell’Uno si confondono il finito e l’infinito, lo spirito e la materia; Dio è essenza di tutte le cose, si fa tutto ed è tutto quello che può essere: universo, mondi, monade, numero, minimo e massimo, unità infinita che si estrinseca nel multiplo.

I concetti della divinità e dell’universo si immedesimano e si confondono, venendo l’universo concepito come un tutto uno mosso da forze interiori unite ed ordinate, rese vive da un’intelligenza onnipotente o Anima del Mondo che è l’intimo principio del moto, diventando essa l’artefice che dall’interno crea e sviluppa tutte le forme dei fenomeni naturali dell’universo agendo nella totalità di ogni singolo luogo, di ogni singola parte.

Quindi ogni  parte, ogni cosa esistente ha un’animaè una cosa, un principio efficiente ed informativo da dentro, dal quale, per il quale e circa il quale si fa  la composizione, e forma diverse  composte comunque sempre di un’unica sostanza avente origine e che si riconduce ad un unico essere, “una originale et universale sostanza, che è a fondamento di tutte le diversità presenti nell’universo.

Ecco l’oltrepassamento dei limiti.

Questo farà dire Sac. Dott. Giuseppe Benini in una conferenza tenuta ad Imola nel giugno del 1907: “Ecco perciò di bel nuovo Dio confuso co’l mondo, ecco la causa identificata con l’effetto, ecco il più pretto panteismo. Analogamente a ciò, il Bruno afferma che l’infinità di Dio nell’infinito è la sua presenza da per tutto. Dio esiste in tutto, perché la natura che è il tutto, è Dio; ecco il panteismo: Dio non esiste sopra tutto o fuori del tutto, come la natura non esiste fuori di ciò che è naturale; ecco accennata la negazione di un Dio personale, distinto dal mondo. Or quali saranno le conseguenze di tale dottrina nell’ordine morale e religioso?……Mostruose dunque sono le conseguenze di si fatta dottrina, siccome quella che mina la base della moralità delle azioni umane, togliendo la ragione del merito o del demerito, abbatte il soprannaturale e snatura il concetto del fine dell’uomo”.

E, così, Bruno, anticipando Darwin, minerà il finalismo, quel concetto, per cui l’uomo era stato creato da Dio con un fine ultimo che avrebbe dovuto raggiungere esclusivamente attraverso il dogma e le verità di fede dettate dalla Chiesa sotto il primato di un papato, che ritenuto infallibile, rappresentava Dio sulla terra.

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Il punto di partenza della nuova filosofia bruniana sarà comunque l’elaborazione di una originale cosmologia che avrà il merito di distruggere le teorie esistenti del geocentrismo. La vecchia concezione dell’universo sarà rivoluzionata, la terra non sarà più considerata falsamente immobile, non vi sarà più la separazione aristotelica tra mondo sublunare e mondo celeste, finalmente ci sarà un cosmo unico, omogeneo, infinito, popolato da innumerevoli mondi.

Per Bruno è un’assurdità l’opposizione posta da Aristotele tra la terra ed il cielo, per cui questo  sarebbe inalterabile, formato da materia pura, diversa non solo dalla terra, ma anche dagli altri elementi, considerati  espressione meno perfetta della creazione.

Al sistema tolemaico ed antropocentrico sorto dal tronco della fisica aristotelica, che aveva scisso l’operato divino ed il divenire naturale, tenuto sino allora come verità indiscutibile e che aveva già trovato il primo elemento di contrasto in Nicolò Cusano, subentrava il copernicano che, sostituendo la concezione geocentrica del mondo con quella eliocentrica, darà il via all’indagine naturale e scientifica, che avrebbe sconvolto ed annullato completamente la teoria cosmologica  che aveva dominato incontrastata per tanti secoli.

Non dobbiamo poi dimenticare che molti secoli prima la Scuola italica non aveva avuto del sistema cosmico un’idea molto diversa dalla copernicana e Pitagora che al pubblico ripeteva essere la terra immobile, insegnava invece ai suoi allievi prediletti, anche se con diverso distinguo, la mobilità terrestre e la pluralità dei mondi. (4)

Copernico (1543) aveva indicato un nuovo percorso dando una svolta importantissima nel campo astronomico, dimostrando per la prima volta attraverso calcoli matematici e geometrici il movimento di rotazione della Terra attorno al sole. In poche pagine era riuscito a proporre tutti gli elementi necessari per spazzare via la cosmologia geocentrica, ma forse poco convinto e terrorizzato dalle eventuali conseguenze della sua scoperta giunse sino a dichiarare, paradossale ed assurdo l’eliocentrismo, che in effetti aveva lasciato increduli i primi lettori del suo “De Rivoluzionibus”.

L’astronomo polacco probabilmente non aveva la forza interiore per dare il via ad una radicale innovazione, si ferma all’interno di una cosmologia tradizionale, chiusa e delimitata e non trae, quindi,  dalle sue scoperte e dal suo pensiero tutte le conseguenze possibili che, compiendo il passo decisivo, gli avrebbero permesso di distruggere una volta per tutte i limiti ed i confini dell’universo.

Le osservazioni di alcuni “solleciti matematici” ed uno studio basato esclusivamente su calcoli e misure, per Bruno, non sono sufficienti a cogliere fino in fondo tutte le giuste conseguenze delle teorie copernicane, “per che lui più studioso de la matematica che de la natura, non ha possuto profondar e penetrar sin tanto che potesse a far toglier via le radici de inconvenienti e vani principi, onde perfettamente sciogliesse tutte le contrarie difficoltà.

Spetterà, a lui, il compito di fare per primo, della mobilità della terra, il nucleo di una completa teoria cosmologica, ampliando e facendo concordare le nuove dottrine in un sistema filosofico organico.

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Volgendo il suo sguardo ed il suo pensiero sull’infinità dell’universo, al puro e semplice dato astronomico, unì il dato cosmologico dell’infinità dei mondi all’eternità ed unicità della materia e della legge che la governa,  dimostrando come questi non possano avere alcun limite assoluto, non possano esservi <<sfere fisse>> che debbano separare le regioni del mondo. Rigettando tutte quelle idee ormai non più credibili ed accettabili fece sue con meravigliosa intuizione le nuove concezioni fisiche e morali aprendo nuovi orizzonti alla speculazione razionale ed alle altre nuove conquiste del pensiero scientifico ormai libero da vincoli  morali e religiosi, aprendo di fatto la via alla filosofia meccanicistica della natura che con lo sviluppo della matematica fornirà gli strumenti d’indagine scientifica per la prima decisiva vittoria dell’uomo sulla natura. (Bacone, G. Galilei, Cartesio)

L’dea della coincidenza tra infinità esteriore ed infinità interiore porterà Bruno, con grande coraggio e lungimiranza, a concepire un sistema filosofico universale, che abbraccia la natura e l’uomo in una proporzionata corrispondenza di leggi, che dipendono tutte da un solo principio. A questo punto, Bruno ben conscio delle implicazioni rivoluzionarie che avrebbero comportato, sul piano religioso, le sue radicali interpretazioni sulla cosmologia eliocentrica, rivendicherà con totale fermezza l’autonomia del sapere razionale e della filosofia, nei confronti della fede e della teologia, ponendo netti confini tra filosofia e religione.

L’una cessa dove l’altra comincia: la scienza vede dio, l’uno infinito, nella natura, la teologia lo vede al di sopra di essa, avendo ciascuna un dominio che non è possibile confondere. E questo, confermato anche dal Cardinale Baronio  (1538-1607)che diceva: “la Bibbia insegna come si vadi in cielo e non come vadi il cielo”. Fede e ragione, madre del libero pensiero, sono due concetti fra loro incompatibili; nella loro eterna rivalità la prima avrà il primato nel campo del sentimento, la seconda nel campo della ragione.

Il concetto medioevale della divinità crollava sostenuto dall’assoluta inconciliabilità della dottrina copernicana con il dogmatismo aristotelico/tomistico di fronte al quale iniziava ad affermarsi l’osservazione ed il dubbio.

Tutto sembra rinnovarsi, si destava lo spirito del libero esame ed iniziava l’investigazione profonda ed indipendente del fenomeno e delle nuove meraviglie ed armonie del creato e Bruno affermava “così siamo promossi a scoprire l’infinito effetto de l’infinita causa, il vero e vivo prestigio de l’eterno vigore, et abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l’abbiamo appresso, anzi di dentro, più che noi medesimi siamo dentro a noi”. Ecco il nostro: V:.I:.T:.R:.I:.O:.L:..

L’uomo è cambiato, non è più il pio spettatore passivo delle meraviglie della creazione divina, colui che venera Dio al di sopra della creazione, ma l’uomo che opera, cerca di far proprio il potere dell’ordine divino e di quello naturale.“. (Yates)

Egli, anziché elevarsi sino al Creatore, cerca l’argomento per discuterlo, negarlo. Questo fece Bruno, mise in discussione le divinità religiose entrando in un aspro conflitto con la Chiesa, le sue istituzioni e tutte le idee e principi della scolastica  ormai nettamente superati.

Alle religioni ed alle sacre scritture non venne più riconosciuto alcun valore scientifico, riconoscendole ed accettandole solo come un qualsiasi altro elemento di condizionamento sociale.

Ancora una volta l’oltrepassamento dei limiti fu totale e l’effetto sulla Chiesa devastante.

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Nel 1624 Padre Marin Mersenne, dell’ordine dei minimi, nel suo L’impiété des déistes, arriverà a dire di Bruno: “un des plus méchans homme que la terre porta jamais” e lo accusa di “ n’avoir inventé une nouvelle facon de philosopher qu’afin de combattre sourdement la religion chrétienne

Il filosofo, lo scienziato, l’uomo colto in genere ed in grado di poter agire sulle proprie azioni e comportamenti, non ha bisogno di una fede o dogma per comportarsi in modo utile e corretto nei confronti di se stesso e della società  “la fede si richiede per l’istituzione dei rozzi popoli che devono essere governati e la dimostrazione (scienza) per li contemplativi, che sanno governare sè et altri, e quando il proprio spirito, il proprio pensiero, la propria intelligenza sono costretti entro limiti già definiti dovendo sottostare al dogmatismo ed alle prescrizioni di un credo, per cui la ragione viene sottomessa ed annullata sarà detto dal filosofo “iniquum, mercenarium, vile, contra libertatis humanae dignitatem”.

Nessuno ha il diritto di criticare o controllare le opinioni altrui. La vera religione deve essere immune da controversie e dispute, è una questione interiore, una prerogativa dell’anima. Bruno non mostrerà dubbi né contraddizioni nella sua avversione per le varie forme religiose, il suo giudizio su queste e sui loro effetti sarà totalmente negativo: “Humanam turbant pacem Saeclique quietem, Extiguunt mentis lucem, neque moribus prosunt “, esse turbano la quiete e la pace della società umana, oscurano la luce della mente, senza portare alcun beneficio alla società. Qualsiasi persecuzione religiosa, qualsiasi guerra portata avanti in nome della religione è cosa iniqua ed infrange le leggi dell’amore.

Per tali convinzioni escludendo ogni dettame religioso, dogmatico, fideista, esaltando la natura, egli auspicava, come dirà nello Spaccio della Bestia, che ogni istituzione umana venisse diretta dalla ragione in modo da formare una morale unica universale avente quale unico scopo l’amore, l’altruismo, la comprensione e la carità fra gli esseri umani.

Nessun filosofo affronterà la coscienza ed il sentimento religioso della sua epoca, come fece in nome della libera ragione e della filosofia razionalistica Bruno.

Dirà il Tocco: “Dato però che ogni fede religiosa per Bruno indichi dal punto di vista astratto e filosofico, un grado inferiore nella vita dello spirito, in quanto il terrore ultramondano posto a guida delle azioni umane può solo dare perniciosi effetti poiché il “fosco velo del pazzo sentimento circa l’orco et avaro Caronte….il più dolce della nostra vita rape et avelena”  il cristianesimo doveva specialmente ripugnare al filosofo fra ogni altra religione, come quella che tiene in maggior pregio la morte della vita, marchiando col nome di peccato quanto non è puro bisogno, ma un obbligo di natura, che mette in cielo non le virtù operose e gloriose, ma le mortificazioni ascetiche; che più del sapere apprezza la semplicità di spirito e dell’umiltà fa tale conto da spegnere l’appetito di gloria, il più efficace sprone a magnanime imprese”.

Pur nutrendo la speranza per una riforma nell’ambito di un contesto religioso esistente, tralasciando una soluzione più audace, che lo portava a sostenere la religione magica egiziana del mondo, essere, non solo la più antica, ma anche l’unica vera religione, che era stata oscurata e corrotta  dal Giudaismo e dal Cristianesimo, un ritorno al principio di questo cristianesimo sarà quindi, da Bruno, ritenuto impossibile in quanto considerato causa della degenerazione originaria dei costumi, delle scienze  e delle opere.

Nei suoi scritti mostrerà stima e rispetto per il Cristo nella sua autentica personalità, mentre sarà acido, satirico e non mostrerà alcun sentimento di indulgenza quando la figura e la personalità del Cristo storico saranno travisate e sostituite da immagini e rappresentazioni inserite in un contesto di pretto dogmatismo che lo porteranno ad esprimersi in maniera fortemente negativa nei confronti della Chiesa Cattolica.

Sarà appunto contro questi temi dogmatici ed alcune di queste rappresentazioni come l’incarnazione e la transustanziazione oltre ad alcuni culti, che Bruno negli scritti simbolici e nei preludi quali la Cabala e lo Spaccio indirizzerà la sua ironica e sferzante satira come quando Momo, nello Spaccio, parlando con Giove dirà dell’eucarestia: “Intendo o Giove, che chi mangia il lepre si fa bello; facciamo dunque, che chiunque mangierà di questo animale celeste, o maschio o femmina che sia, da brutto divenga formoso, da disgraziato grazioso, da cosa feda e dispiacevole, piacevole e gentile, e sia beato il ventre e stomaco, che ne cape e digerisce, e sempre nello stesso fa dire ad Iside a proposito del culto degli uomini per i santi “Finalmente la loro adorazione si termina ad uomini mortali da poco, infami, stolti, vituperosi, fanatici, disonorati… i quali da vivi non valsero per sé e non è possibile, che morti vagliano per sé o per altri

 Ma Bruno, una forte avversione, la rivelerà anche nei confronti della riforma in genere e tutte quelle forme religiose, calvinismo, anglicanismo compresi, in netto contrasto con il cattolicesimo, che dichiaravano di combattere apertamente e che “pretendendo di riformarlo” non fecero altro che aumentarne i difetti. Quindi,  in modo particolare si scaglierà contro il protestantesimo e soprattutto sugli effetti che produceva una religione che introduceva nuovi  dogmi tipo quello della giustificazione per la fede indipendentemente dalle opere, “dicono che il far bene è bene, il far male è male, ma non, per ben che si faccia, o mal, che non si faccia, si viene ad essere degno e grato a’ dei, ma per sperare e credere secondo il catechismo loro. Vedete Dei, se si trovò mai ribalderia più aperta di questa… “. I protestanti per il filosofo “mentre dicono che vogliono riformare le difformate leggi e religioni, vengono per certo a guastar tutto per tanto, che ci è di buono e confirmar et inalzar a gli astri tutto quello che vi può essere o fingere di perverso o vano”, fino a far dire a Mercurio nello Spaccio “gran sacrificio agli dei e beneficio al mondo di perseguitarli, ammazzarle e spegnerli dalla terra, perché son peggiori che li bruchi e le locuste sterili”.

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Non ci devono comunque portare a fraintendimenti, ne farci trarre in inganno le lodi e la stima con le quali Bruno esaltava  Lutero e le popolazioni germaniche nella famosa Orazio Valedictoria, a Wittemberg, al momento del suo congedo dall’omonima accademia, in quanto non riguardavano assolutamente i concetti religiosi, bensì la guerra che questi aveva mosso al potere ecclesiastico ed al papato, al quale aveva inflitto un terribile colpo conquistando la Chiesa di mezza Europa.

A tale proposito, vale la pena leggere alcune righe di questa famosa Orazione “Ma chi è colui che passavo sotto silenzio? Quando quel forte armato di chiavi e di spada, di frodi e di potenza, di astuzie e di violenza, d’ipocrisia e di ferocia, volpe e leone, vicario del tiranno infernale, avvelenava l’universo con un culto superstizioso e un’ignoranza più che brutale, sotto colore di sapienza divina e semplicità grata a Dio; quando alla voracissima bestia non c’era chi osasse contrastare e resistere per disporre il secolo indegno e perdutissimo a migliore e più felice forma e stato, qual altra parte d’Europa o del mondo poté darci quell’Alcide…. Qui voi vedeste quel Cerbero tricipite, insigne per quella triplice tiara, tratto fuori dall’orco tenebroso; qui egli vide il sole. Qui quello stigio cane fu costretto a vomitar l’aconito. Qui l’Ercole vostro e della vostra stirpe trionfò delle adamantine porte dell’inferno, di quella città circondata di triplice muro, stretta dai nove giri dello Stige. Sì, o Lutero, vedesti la luce, la contemplasti, udisti il divino spirito che t’incitava, obbedisti al suo precetto, all’avversario, da cui indietreggiano principi e re, t’opponesti inerme, l’assalisti con la parola, lo contrastasti, l’impedisti, gli resistesti, lo vincesti, e del nemico superbissimo portasti ai superi le spoglie e il trofeo.”.

Come per la riforma, anche la religione ebraica fu poi oggetto di forte ostilità da parte di Bruno, che con il suo spirito e la sua idea per una religione razionalistica i cui scopi e finalità erano la fraternità tra i popoli senza distinzioni di credo e di razza, lo induceva al rifiuto assoluto del fanatismo ed intolleranza israelita. Egli respingeva e si ribellava all’idea di uno Iehova biblico che personificava passioni umane quali l’odio, la vendetta, lo sterminio degli idolatri, l’esaltazione di stragi.

Ecco cosa fa dire a Sofia nello Spaccio a proposito delle colpe dei padri che ricadono sui figli : “è vero che mai ho trovato tal giudizio se non tra’ fieri barbari, e credo che prima fusse trovato tra’ Giudei per esser quella una generazione tanto pestilente, leporosa e generalmente perniciosa, che merita prima esser spinta che nata “.  (III parte, II°dialogo)

Tanto nello Spaccio come nella Cabala non risparmia parole come “gli Ebrei son convitti per escremento de l’Egitto…. non quella generazione la quale mai ebbe un palmo di terra che fusse naturalmente o per giustizia civile il suo”  e critiche violente contro il giudaismo del quale, comunque non si pensi avesse un’avversione antisemita, antropologica e storica, ma esclusivamente religiosa.

A questo punto possiamo affermare che Bruno, anche sotto l’influenza dall’ermetismo imperante  nel XV° e XVI° secolo, non fu teologo, fu semplicemente un filosofo razionalista nel senso più vasto della parola. Nell’ evoluzione morale ed intellettuale del suo pensiero, nonostante il suo impeto spesso impulsivo e passionale, propose idee e pensieri filosofici basati su questioni esistenziali concrete (la verità, la giustizia, l’ingegno, l’industria, la fortuna, l’ozio, la fatica, la ricchezza, l’avarizia, la povertà, la mano ecc.) e  realtà di ordine universale ormai divenute certezza e prendendo sempre una netta posizione a favore dell’amore, della dignità e libertà dell’uomo al quale solo spettava il diritto di esprimere sempre le proprie idee senza alcuna barriera ideologica. La sua filosofia era la sua religione: era la religione del mondo. Egli voleva essere inteso esclusivamente in veste di filosofo naturale che ricerca, attraverso le <vestigia>, in una gnosi più vasta, la divinità  nella totalità dell’infinito universo e dei mondi innumerevoli.

Tutto questo lo condusse inizialmente al confronto ed in seguito a quello  scontro esiziale con la religione.

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Per finire è impossibile non fare almeno un accenno alle due meravigliose opere simboliche, nelle quali egli espone con grande  profonda intensità le sue nuove idee etiche: lo “Spaccio della bestia trionfanteedHeroici furori”.

Lo Spaccio è uno scritto che con una visione universale, un risvolto ottimistico, a volte ilare ed irriverente, riguarda la vita umana nel suo complesso soprattutto dal lato umano e sociale ed è considerato uno dei massimi capolavori della filosofia moderna.

La religione dello Spaccio è intrinsecamente civile, naturale, ermetica e senza questa riforma etico-religiosa non è possibile lo svolgimento del sapere, della conoscenza. Era questa, in effetti, la caratteristica dell’antica sapienza che doveva risorgere in cui si saldavano opere, sapere, costumi, scienza, legge, religione.

Riaffermare la verità, ricostruire la giustizia umana, divina, naturale ed i loro rapporti intimamente connessi, significava innanzitutto, riannodare i legami infranti tra Dio, uomo e natura. Giove, che simboleggia ognuno di noi come manifestazione positiva della divinità, in questa specie di favola, decide di riformare una buona volta il cielo, nel tentativo di ritornare alla rettitudine morale attraverso un profondo esame di coscienza, che diventa assolutamente necessario poiché è necessaria una completa riforma interna per ottenere buoni risultati nel mondo esterno “Disponiamoci, dico, prima nel cielo che intellettualmente è dentro di noi, e poi in questo sensibile che corporalmente si presenta agli occhi”.

La Bestia Trionfante, complesso di tutti i vizi opposti alle virtù, sarà quindi completamente spacciata. Nel  nuovo ordinamento il primo posto verrà assegnato alla verità che governa tutte le cose e che prenderà nell’Orsa il posto della “difformità, falsità ipocrisia, impostura ecc.”, ed a seguire, con un continuo movimento di ascesa e discesa  tutti i vizi verranno rimossi ed espulsi dal cielo ed al posto di ognuno di essi ascenderà e si insedierà una virtù. Nello Spaccio, quindi, si riuniscono in modo indissolubile verità, giustizia, ordine, condizioni prime e necessarie per la renovatio mundi bruniana.

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Gli Heroici furori, nel quale viene rappresentato il massimo sforzo dell’uomo per uscire dal suo stato di essere finito, singolare testimonianza psicologica, in cui Bruno, attraverso varie poesie d’amore, quali espressioni della parte intellettuale dell’anima, invece, apre ad un universo di  aspirazioni e lotte interne del singolo individuo, che attraverso un’etica, privilegio di pochi eletti, cerca nella propria vita intima quanto questa possa offrire di alto e profondo.

L’esistenza umana è un complesso di grandi contrapposti, l’uomo dovrebbe raggiungere l’ideale supremo muovendosi in mezzo a questo tumulto di opposti, che generano una ricchezza ed una pienezza interiore che nessun stato di quiete potrebbe dare.

Il furore nobilita l’anima eroica e rende l’uomo in grado di ricevere in sé “questa divina luce che lo innalza e lo converte in Dio”,quale  mezzo per cui l’anima elevandosi con furiosa passione dovrebbe raggiungere il massimo bene ed il sommo vero ed è proprio in questo tentativo di tensione che Atteone, dopo aver visto, Diana nuda, sarà punito e sbranato dai suoi stessi cani.

Qui Bruno, nel tentativo di rappresentare l’eros filosofico, in uno splendido esempio di oltrepassamento dei limiti, prende spunto dal racconto mitico di Ovidio e reinterpretandolo, da mito fortemente negativo ne fa una lettura diametralmente opposta, poiché nulla è più positivo che sfondare i limiti nel ricercare l’essenza della natura attraverso l’amore per la conoscenza, salvo poi scoprire che uomo, natura e divinità sono la stessa cosa. Egli contempla il tutto come unovede l’Anfitrite, il fonte di tutti i numeri, de tutte specie, de tutte ragioni che è la monade, vera essenza de l’essere de tutti e se non la vede in sua essenza, in absoluta luce, la vede nella genitura che gli è simile, che è la sua immagine: perché dalla monade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l’universo, il mondo “.

L’identità, Dio-Natura-Uomo c’è sempre stata e sempre ci sarà, ma la conoscenza di questo è una meta che solo pochi veri cercatori di luce saranno in grado di raggiungere.

Ho detto

E:.B:.

19 Settembre 2018 e.v.

 

NOTE

(1)   per quanto riguarda esclusivamente il carattere vedi anche Paul Valéry: “ LA FOLLIA DI GIORDANO BRUNO ”

(2)   sull’argomento vedi anche Hilary Gatti “ESSAYS ON GIORDANO BRUNO” pag. 31.

(3)  dirà Bruno nell’Epistola Esplicatoria dello Spaccio della Bestia Trionfante: la composizione si dissolve, si cangia la complessione, si muta la      figura…….rimanendo sempre quel che sono in sustanza gli elementi…..e però né per sé né per accidente alcuno può essere detta morire.

(4)   vedi anche Paolo Antonio Foscarini: “ LETTERA SOPRA L’OPINIONE DE’ PITTAGORICI E DEL COPERNICO; DELLA MOBILITA’ DELLA TERRA E STABILITA’ DEL SOLE E DEL NUOVO PITTAGORICO SISTEMA DEL MONDO “

 

POSTFAZIONE

Termino, trovando interessante e piacevole leggere come Giove, nello Spaccio, dia una descrizione della incipiente vecchiaia da cui sia lui che Venere ormai erano incalzati:

Ecco, a me si dissecca il corpo e mi s’umetta il cervello; mi nascono i tofi e mi cascano gli denti; mi s’inora la carne e mi s’inargenta il crine; mi si distendeno le palpebre e mi si contrae la vista; mi s’indebolisce il fiato e mi si rinforza la tosse; mi si fa fermo il sedere e trepido il caminare; mi trema il polso e mi si saldano le coste; mi s’assottigliano gli articoli e mi s’ingrossano le gionture: ed in conclusione (quel che più mi tormenta), perché mi s’indurano gli talloni e mi s’ammolla il contrapeso, l’otricello de la cornamusa mi s’allunga ed il bordon s’accorcia”.

Tu ancora, mia sorella, se non credi ad altri, dimandane al tuo specchio; e vedi come per le rughe che ti sono aggionte, e per gli solchi che l’aratro del tempo t’imprime ne la faccia, porgi giorno per giorno maggior difficultade al pittore, s’egli non vuol mentire, dovendoti ritrare per il naturale. Ne le guancie, ove ridendo formavi quelle due fossette tanto gentili, doi centri, doi punti in mezzo de le tanto vaghe pozzette, facendoti il riso, che imblandiva il mondo tutto, giongere sette volte maggior grazia al volto, onde (come da gli occhi ancora) scherzando scoccava gli tanto acuti ed infocati strali Amore: adesso, cominciando da gli angoli de la bocca, sino a la già commemorata parte, da l’uno e l’altro canto comincia a scuoprirsi forma di quattro parentesi, che ingeminate par che ti vogliano, strengendo la bocca, proibir il riso con quelli archi circonferenziali, ch’appaiono tra gli denti ed orecchi, per farti sembrar un crocodillo. Lascio che, o ridi o non ridi, ne la fronte il geometra interno, che ti dissecca l’umido vitale, e con far più e più sempre accostar la pelle a l’osso, assottigliando la cute, ti fa profondar la descrizione de le parallele a quattro a quattro, mostrandoti per quelle il diritto camino, il qual ti mena come verso il defuntoro”.

 E:.B:.

 

Dice Giove: … ecco, il mio corpo si secca ed il cervello s’inumidisce, mi vengono, alle giunture, concrezioni calcaree causate dall’artrite e mi cascano i denti; mi s’ingiallisce la pelle e i capelli diventano bianchi; mi cascano le palpebre e mi cala la vista; mi manca il fiato ed aumenta la tosse; sto male seduto e mi viene difficile camminare; mi tremano le mani e le costole si toccano; mi si assottigliano le articolazioni e si ingrossano le giunture e in conclusione (e questa è la cosa peggiore) i talloni mi si induriscono e mi si allunga lo scroto, i testicoli mi cascano ed il pene si accorcia.

 Tu ancora, o Venere, se non credi agli altri, chiedilo al tuo specchio e pensa come per le rughe che ti son venute e per i solchi che l’aratro del tempo ti ha impresso nel volto, metti giorno per giorno in difficoltà il pittore, se non vuole mentire, dovendoti ritrarre al naturale.

Nelle guance, dove quando ridevi, si formavano due fossette per cui il riso, che ti rendeva accattivante a tutto il mondo, aggiungeva sette volte maggior grazia al tuo volto, che (come pure dagli occhi) scherzando scoccava i così penetranti e infuocati strali Amore: adesso cominciando dagli angoli della bocca, sino alla sopra menzionata parte (le guance) dall’uno all’altro lato, cominciano a prendere forma quattro parentesi, che come gemme che si stanno aprendo, sembra che vogliano, stringendoti la bocca, proibire il riso con quegli archi rotondi che appaiono dalla bocca agli orecchi, da farti sembrare un coccodrillo. Lascio poi, che tu rida o no, nella fronte, il disegnatore interno che ti sta prosciugando l’umore vitale che facendoti tendere sempre di più la pelle sulle ossa, assottigliando la cute, ti rende più evidenti le rughe a quattro a quattro, indicandoti attraverso esse il cammino che ti porta dritta verso la morte”.

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