IL PARADOSSO DELLA LAICITÀ “DOGMATICA”

Tolleranza, Laicità, Religione: raramente la Storia è riuscita a creare un equilibrio, sia pure precario, fra questi valori. La Dea della Ragione è stata talvolta più intollerante della Chiesa Cattolica. L’antidoto contro ogni degenerazione resta il Dubbio Laico: un insegnamento che proviene anche dalla Croce, sulla quale perfino (il figlio di) Dio dubitò di se stesso.

inserito il 14 05 2011, nella categoria Etica, Filosofia, Laicità, Tavole dei Fratelli


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Tavola del Fr:. N:. P:.

Nel 1994 sotto la presidenza Chirac, la Francia promulga la famosa legge sulla “laicità dello Stato” che proibisce di fatto qualunque ostentazione di simboli religiosi nei luoghi pubblici (scuole, ospedali, tribunali, etc.).

Questa legge, sempre in Francia,ha avuto dei precedenti illustri; basti pensare a quella del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa nella quale si afferma che: ”la Repubblica non riconosce,non stipendia e non sovvenziona alcun culto”.
Ancora prima nel 1789,quindi in piena Rivoluzione Francese, la celeberrima”Costituzione civile del clero”, obbligava i sacerdoti cattolici al giuramento di fedeltà alla Repubblica, trasformandoli di fatto in funzionari dello Stato.

La conseguenza di tutto ciò porta a sostenere culturalmente l’assoluto agnosticismo dello Stato.

Un importante ministro francese, recentemente intervistato, ha offerto a tal proposito questa immagine:”Voi in Italia avete il cristianesimo, noi in Francia abbiamo la laicità”.

Qui purtroppo, o per fortuna, cominciano i guai, in quanto ciò significa che la laicità, in Francia, è vissuta come una Religione, ovvero, sin dall’epoca della Rivoluzione francese, come la Religione della Repubblica, ovvero dello Stato.

Da qualunque parte si affronti il problema, pare impossibile privarsi di qualche forma di Religione, per quanto laica, divina o statale essa sia.

Occorre tuttavia riconoscere che tale visione della laicità, consentitemi il termine, ”alla francese”, è la naturale conseguenza del torrido clima sociale e politico che si respirava in Francia durante la Rivoluzione.

Si trattò infatti di una rivoluzione in piena regola, con moti violenti e sanguinari, di totale rottura con i valori autoritari rappresentati dall’aristocrazia dell’epoca.

Rousseau,nel “Contratto sociale”, che vide la luce in quei tempi, nel Suo nobile tentativo di costituzionalizzare la Rivoluzione, pone le basi di tutta la concezione dello Stato francese fino ai nostri giorni. Non a caso Rousseau parla di “Volontà Generale”che si esprime attraverso lo Stato e la Repubblica. Lo Stato stesso ha il primato totale ed assoluto rispetto ai valori ed ai diritti dei cittadini. Soltanto la Volontà Generale può dirigere le forze dello Stato secondo il fine per cui questo è stato costituito, cioè il Bene Comune.

Portando alle estreme conseguenze il pensiero di Rousseau, si può dire che i diritti dei cittadini vengono annullati a favore dei diritti assoluti dello Stato, ma che contemporaneamente, lo Stato in quanto Bene Comune e Volontà Generale, è l’unico luogo in cui i cittadini riconoscono e salvaguardano i loro diritti.

Purtroppo questo spirito della Volontà Generale, non mancò in seguito, di generare mostri politici
e sociali. Venne infatti ripresa successivamente da Marx e dalle democrazie di massa del XX secolo
generando le mostruosità dei regimi di massa del comunismo e del nazismo.

Completamente diverso è il discorso relativamente ai paesi anglosassoni ed in parte all’Italia, in cui non si è assistito ad una rivoluzione, ma ad una costante affermazione della laicità attraverso un
percorso storico, politico e sociale ben diverso da quello francese . Rousseau è tanto differente da Locke, quanto la Francia lo è dall’Inghilterra.

Nel contesto anglosassone, difatti, laicità e tolleranza significano soprattutto sottrazione delle differenze politiche, sociali, morali, religiose ed estetiche all’autorità e all’azione politica dello Stato, il quale deve piuttosto garantire, attraverso un sistema costituzionale di diritti, che tali differenze vengano garantite e rispettate nella loro specificità.

Sia che si guardi alla storia francese piuttosto che a quella inglese, sorge il dubbio di quale sia oggi il significato di tolleranza e laicità, e quale posto questi valori occupino all’interno della nostra società. Come può essere definita oggigiorno la tolleranza e dove risiede la laicità?
Laico non significa affatto opposto di credente o ateo, come spesso erroneamente si crede, il laico non è necessariamente ateo, nè un credente, nè un agnostico.

La laicità non è una filosofia o un’ideologia, bensì una forma mentis;ossia la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente, da ciò che può essere oggetto di fede, a prescindere dalla adesione o meno a tale fede.

Laico è colui che sa distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze, in primis quelle dello Stato e quelle della Chiesa. La laicità non si identifica con nessun credo, con nessuna filosofia, o ideologia, ma è la capacità ad articolare il proprio pensiero (ateo, religioso, idealista, marxista, ecc.) secondo principi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede e da nessun pathos del cuore, poiché in tal caso si cadrebbe nell’oscurantismo.

La cultura, come il sapere scientifico o la logica, è sempre laica e non può non prescindere dai criteri di razionalità, e la dimostrazione di un teorema, anche se fatta da un Santo della Chiesa, deve obbedire alle leggi della matematica e non al catechismo.

Ciò non vuol dire che una visione religiosa si sempre negativa, questa difatti può aiutare gli animi a creare una società più giusta, ma il laico sa benissimo che questo non può tradursi in disegni di legge come vorrebbero gli integralisti di ogni credo.

Il laico ha ben presente che il quinto comandamento ingiunge di non uccidere, ma ha anche ben presente che il codice penale punisce gli assassini con il carcere ( o dovrebbe farlo).

Il laico è colui che , come diceva Bobbio, si appassiona fortemente ai valori caldi della vita come l’amore, la passione, l’amicizia, la poesia, la fede, la politica, ma difende strenuamente i cosiddetti valori freddi. Ossia la legge, la democrazia, la libertà, la tolleranza, i diritti senza i quali non è possibile coltivare i primi.

Il concetto di laicità è ben descritto anche nei Vangeli, e non mi riferisco ai Vangeli apocrifi, sarebbe troppo facile, bensì ai Vangeli canonici laddove si dice di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Può questa essere definita la “Magna carta” della laicità?

Credo sia tuttavia opportuno fare una distinzione tra laicità e laicismo.

Se per laicità si intende la capacità di saper distinguere tra il sacro e il profano, laicismo può significare, pericolosamente, ideologia della laicità, con il rischio di trovarsi di fronte ad un assurdo, ossia la negazione di ogni ideologia viene vissuta alla pari di una ideologia religiosa che può divenire, ove le circostanze lo consentano, intollerante e fondamentalista specularmene ai fondamentalismi religiosi.

Il laicismo come ideologia ha spesso dato prova di intolleranza nei confronti dei diritti inalienabili dei cittadini.

Laicità è tolleranza, dubbio rivolto anche alle proprie poche certezze, forza e volontà nel credere a certi valori sapendo che ne esistono altri altrettanto rispettabili, capacità di saper distinguere il pensiero dal fanatismo, di essere liberi dall’idolatria e dalle dissacrazioni, che sono e saranno sempre servili e coatte.

Occorre tener presente che l’intolleranza e il fanatismo possono scaturire sia da una visione clericale del mondo e della vita, cosi come da una visione faziosamente laicista.
Lo stesso concetto di laicità come rifiuto dei dogmi è una contraddizione, in quanto sancisce una visione dogmatica del rifiuto del pensiero altrui in quanto dogmatico.

La stessa visione della Ragione come unica via per giungere a qualche certezza, per quanto labile possa essere, induce ad un pericoloso paradosso, ossia al culto di una nuova divinità, la Dea Ragione.

La Ragione stessa, dopo aver combattuto contro idoli ingannatori, si propone essa stessa come un nuovo idolo travestito da Ragione.

Sembra di essere in un vicolo cieco, l’uomo lotta,combatte e vince battaglie sanguinarie contro idoli ed oscure divinità, per poi trovarsi inevitabilmente ad idolatrare più o meno inconsciamente nuovi miti.

Non a caso ,la strabiliante avventura intellettuale del Settecento (quell’Illuminismo di cui noi siamo figli non a caso anche come Istituzione) si chiude con un grande colpo di scena. Il filosofo I.Kant, forse il maggiore di quel secolo, porta a compimento tre opere fondamentali: La Critica della Ragion Pura, La Critica del Giudizio e La Critica della Ragion Pratica.

Il filosofo,attraverso queste opere, porta davanti al tribunale della Ragione, severo e spietato come lo furono solo quelli dell’Inquisizione, la Ragione stessa, ossia la Ragione innalzata a Divinità.

Ora la Ragione deve sconfiggere l’idolo della Ragione, la laicità abbattere il fanatismo laicista, la tolleranza allontanare ogni forma di lassismo.

Tutto questo per non scoprire troppo tardi di trovarci prigionieri di una nuova Chiesa.

Ma allora se le Rivoluzioni sociali altro non sono se non Rivoluzioni borghesi, ossia come diceva Marx, la sostituzione di una classe dominante con una nuova classe dominante, e se le Rivoluzioni culturali, intellettuali e filosofiche altro non sono se non la sostituzione di divinità intellettuali con altre divinità, fino a fare della Ragione una pericolosa Divinità, a noi cosa resta?

Dobbiamo dunque arrenderci, abbatterci, smettere di credere, di amare, di pensare, di ragionare, di scavare nelle cose e nelle mente dell’uomo, smettere cioè di dubitare e ricercare?

Ecco forse non ci resta che questo. Dubitare. Ma nel senso più creativo del termine, ossia il Dubbio come ricerca costante e continuativa verso nuovi traguardi, nuove scoperte, in un costante divenire di hegeliana memoria, in cui alla tesi si contrappone l’antitesi per giungere alla Sintesi, la quale si ripropone come una nuova tesi in un processo continuo di ricerca.

Ricordo, quando, tanti anni fa da bambino frequentavo la parrocchia e con essa gli insegnamenti del catechismo, che mi restarono fortemente impresse le ultime parole del Cristo morente sulla croce (il Cristo degli uomini non quello della Chiesa che con il primo non ha nulla in comune):”Padre mio padre mio perché mi hai abbandonato”. Ma come, pensavo io, Cristo figlio di Dio, mandato sulla Terra dal Padre, da questi fatto uomo,per la salvezza di tutte le genti, che dubita del proprio Padre-Dio. Ma nella tradizione cristiana il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono la stessa persona, ossia, l’unità del trino.
Ma allora se il Figlio e il Padre sono Uno, è il Padre che in croce fattosi Figlio dubita di se stesso? Dio che dubita di Dio?

Siamo giunti all’apoteosi grottesca.

Altro non mi resta che concludere con due pensieri di due grandi del recente passato, il primo :”dissento radicalmente da quello che tu dici,ma lotterò fino alla morte affinché tu possa conservare il diritto di dirlo”(Voltaire).
Ed ancora:”Per me non c’è politica che non sia contemporaneamente Religione.La politica serve la
Religione. La politica senza la Religione è una trappola per gli esseri umani perché uccide l’anima”.
Si potrebbe facilmente pensare che a scrivere queste ultime parole sia stato qualche fanatico integralista,o se preferite l’attuale Pontefice.
No, sono parole del MAHATMA GANDHI.

Le fonti: reminescenze scolastiche (poche), ritagli di quotidiani (alcuni), internet (tanto).

Un triplice fraterno abbraccio

N:. P:.


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