SIMBOLOGIA UNIVERSALE DELL’OCCHIO

Come organo sensoriale è da sempre associato al divino, sia nelle culture politeiste tipiche del passato, sia nelle principali religioni monoteiste, come l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Nell’antico Egitto gli occhi di Horus erano considerati le due “barche” sulle quali il Dio Sole Ra e la Luna compivano i propri viaggi diurni e notturni. Nella Libera Muratoria è il simbolo del Grande Architetto dell’Universo, sintesi del lavoro massonico

inserito il 20 03 2018, nella categoria Esoterismo, Scienza, Simbolismo, Storia, Tavole dei Fratelli

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 La massoneria affonda le radici e basa la propria ragion d’essere sul simbolismo e le allegorie legate agli antichi costruttori di templi e cattedrali e fatte proprie dai massoni moderni. Uno dei simboli che in maniera più efficace e immediata si identifica con questo significato è il cosiddetto occhio onniveggente o che tutto vede, inscritto all’interno di un triangolo equilatero. L’occhio che tutto vede è caro alla Massoneria e questo simbolo, più di altri sintetizza, come vedremo, il concetto stesso del pensiero massonico.

Per capire la valenza anche esoterica e mistica di questo simbolo, è utile fare un passo indietro e ricercare le origini delle sue rappresentazioni.

L’umanità è sempre stata affascinata e catturata da un organo sensoriale che più di tutti nasconde misticismo, fascino e mistero, in virtu’ anche della sua complessità anatomica, vista come del tutto prodigiosa in molte culture antiche.

L’occhio era pertanto considerato come uno strumento portatore di cariche magiche e soprannaturali.

L’uomo, sebbene lo abbia rappresentato in forme o contesti differenti, ha da sempre associato l’occhio al divino, al concetto di rinnovamento e di guida. Questa espressione è presente sia nelle culture politeiste tipiche del passato, sia nelle principali religioni monoteiste, come l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam.

Sin dalle epoche più remote, attraverso graffiti, incisioni e altre forme d’espressione artistica, abbiamo memoria di numerose rappresentazioni dell’occhio quale strumento di culto. Nelle culture pre-colombiane delle Americhe, in quelle africane, così come in Asia, si possono ritrovare tracce, manufatti o monili in cui compaiono occhi umani e ai quali venivano assegnati, nonostante le distanze temporali o geografiche, identici significati. I primi ritrovamenti risalgono addirittura a oltre 8.000 anni prima di Cristo, come i graffiti rinvenuti in alcune caverne delle montagne magrebine o come ad esempio, l’affresco dedicato alla Grande Madre e a sua figlia, risalente a circa il 6100 a.C. ritrovato in Turchia.

Nell’opera, scoperta nella città neolitica di Çatalhöyük – i cui scavi furono condotti dall’archeologo James Mellaart negli anni Sessanta del secolo scorso – compaiono tra le altre, decorazioni composte da file di mani con al centro un occhio. Ancora oggi a distanza di millenni in Turchia quel simbolo è venerato e i turchi sono soliti appendere un occhio, tipicamente di colore blu, sulle porte delle case o sulle culle, come portatore di auspicio o protezione da forze oscure.

La venerazione per l’occhio nasceva contestualmente anche in altre culture estremamente eterogene e lontane fra loro; molti sono i ritrovamenti di monili e affreschi con decorazioni che raffigurano occhi umani nelle antiche città Maya e Azteche. Allo stesso modo, rappresentazioni del tutto simili le ritroviamo in Cina, risalenti al periodo dinastico Shang (1500 A.C.), in Tibet, nel culto della Dea Bianca, le cui mani riportano al centro un occhio, in India e in Vietnam.

La rappresentazione simbolica dell’occhio si è successivamente diffusa anche nelle principali religioni monoteiste; la mano di Miriam (sorella di Mose ed Aronne) per gli ebrei o la mano di Fatima per arabi, rappresentate con le cinque dita e l’occhio al centro.

Nel primo caso le dita rappresentano i cinque libri della Torah ed anche la quinta lettera dell’alfabeto ebraico He (uno dei nomi di Dio).

La venerazione della mano di Fatima (figlia di Maometto) nasce dalla tradizione secondo cui lei, vedendo il marito rientrare in casa con una concubina, immerse la mano nell’acqua bollente senza scomporsi, e senza mostrare alcuna debolezza o piegarsi al dolore.

Per i musulmani è ancora oggi simbolo allegorico di tenacia, forza, serietà e soprattutto autocontrollo, peraltro concetti cari all’espressione del pensiero e dell’agire del massone. Inoltre, la parola araba ‘ayn, che significa occhio, può anche significare nella tradizione islamica un’identità particolare, una fonte o un’essenza. Nella mistica e nella teologia il carattere universale di una cosa è spesso designato con questo termine. Nella poesia elegiaca araba e persiana, l’occhio è anche associato con le sue metafore alle idee di magia, pericolo ed ebbrezza.

L’occhio onniveggente entrò a far parte anche nell’iconografia cristiana, soprattutto nel periodo rinascimentale. Con la nascita della Compagnia del Gesù nel XVI secolo, l’occhio che tutto vede inscritto nel triangolo entra a far parte dell’iconografia dell’ordine e viene rappresentato sulle facciate delle chiese o su dipinti, con riferimento al mistero della Trinità.

Probabilmente però l’immagine e il mito più affascinante, carico di misticismo e di forti parallelismi con la simbologia massonica, è sicuramente quello legato all’occhio del Dio Horus, il Dio Falco figlio di Iside e Osiride, nella tradizione egizia.

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È noto che il falco avesse un ruolo molto importante nell’arte e nella letteratura religiosa dell’antico Egitto. I “Testi delle Piramidi” descrivono il Dio Horus non solo come Dio-Guerriero o Dio-Re, ma anche come Dio del cielo e della fecondità universale. Gli occhi di Horus erano considerati le due “barche” sulle quali il Dio Sole Ra compiva i propri viaggi diurni e notturni, accompagnando in cielo rispettivamente il Sole e la Luna. Lo stesso Ra era dotato di un occhio che “brucia”, simbolo della natura ignea, che era rappresentato da un cobra eretto. I sarcofaghi, così come i luoghi di sepoltura, venivano spesso decorati con il disegno di due occhi che si riteneva permettessero al morto di seguire gli avvenimenti del mondo esterno. Nella tradizione egizia, quindi, l’occhio ha una natura solare e ignea, è fonte di luce, di conoscenza e di fecondità.

Una concezione, questa, che si ritroverà trasposta in Plotino, il filosofo alessandrino neoplatonico del II secolo d.C., per il quale l’occhio dell’intelligenza umana non poteva contemplare la luce del sole, spirito supremo, senza partecipare alla natura stessa del sole-spirito. Il parallelismo tra simbologia massonica ed egizia sembrerebbe evidente. Per gli egizi l’occhio di Horus significava prosperità, vittoria della Luce sulle Tenebre e al tempo stesso Sole e Luna, le polarità opposte che si compensano e permettono di garantire l’equilibrio delle forze della natura.

La massoneria ha fatto proprio questo simbolo sin dalla sua costituzione in Inghilterra nel 1717. Come lo è stato per diverse civiltà del passato, l’occhio che tutto vede rappresenta per il massone il divino e la creazione. Sul piano fisico simbolizza il Sole da cui emanano la Vita e la Luce; la Luce che permette di vedere la via del cammino terreno; rappresenta inoltre il Verbo, la Verità e il Principio Creatore. Sul piano spirituale, o divino, l’occhio è il simbolo del Grande Architetto dell’Universo, che per la Massoneria è la sintesi del lavoro massonico stesso; ciò che si è, e ciò che si fa, sia in Loggia che nella famiglia o nella società, è e deve essere “alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo”, al quale il massone risponde del proprio operato e soprattutto dei propri doveri morali.

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L’occhio, detto anche tetragramma, è raffigurato quasi sempre all’interno di un triangolo equilatero, detto Delta. I tre lati del triangolo si ricollegano alla lotta dell’uomo alla ricerca del proprio equilibrio interiore: i lati obliqui rappresentano il contrapporsi di luce e tenebra e la base la durata e la capacità di conservazione dell’equilibrio. Il richiamo al trascendente è la prima chiave interpretativa di questo simbolo, per gli evidenti riferimenti alla Trinità, ma tuttavia ce ne possono essere numerose altre: il sapere, la conoscenza interiore, il risveglio dell’intelligenza, la forza della ragione a cui niente sfugge, o addirittura significati desunti dalla cabala. Come ha scritto Irene Manguy in Simbolica massonica del terzo millennio: «Se l’occhio sinistro è rivolto verso il passato e l’occhio destro all’avvenire, l’occhio frontale è un simbolo di trascendenza. Esso rappresenta la proiezione del cuore e dell’Eternità in un Eterno Presente. Quest’unico occhio frontale che vede tutto e discerne l’Unità dalla molteplicità è la superiore intelligenza della sefirah Binah. Occhio del cuore, occhio di Luce dello sguardo interiore che sonda l’invisibile, punto centrale dell’essere, intuizione diretta e immediata, luogo ove dimora il principio identico al Sé».

Ho detto

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20 Marzo 2018 e.v.

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