Privacy, un diritto da ridefinire

Immagini tratta da ItaliaOggi

Tracciati, seguiti, controllati sempre più da vicino. In pochi decenni, per non dire in pochi anni, il tradizionale concetto di privacy è stato ampiamente travolto dalla tecnologia, e si rende più che mai necessaria una sua ridefinizione, per la quale la Massoneria potrebbe svolgere un compito fondamentale, se lo vuole ed è disposta a battersi per questo, sulla base dei suoi innati principi di libertà, eguaglianza e rispetto dei diritti individuali, diritti che tendono da tempo ad essere sempre più omologati ed appiattiti in nome di un grande Moloch informatico che ci classifica e controlla in modo sempre più persuasivo.

Ormai veniamo “profilati” anche nella condizione più intima della nostra della nostra quotidianità: ad esempio perfino quando andiamo in bagno a fare la pipì e la popò.

Un algoritmo ed un nuovo hardware applicato al wc, ideato dalla Stanford University, ci riconosce grazie alla scannerizzazione della forma del nostro ano, e quindi associa alla nostra identità le analisi in tempo reale delle nostre urine e delle nostre feci, nonché il tempo e la fluidità nell’espellerle, inviando il tutto ad un database in cloud che potrà essere poi consultato dal nostro medico.

In occasione dell’attuale pandemia stiamo inoltre per essere tracciati in tutti i nostri contatti e spostamenti.

Del resto lo stanno già facendo da tempo i sistemi di geolocalizzazione abbinati ai nostri smartphone ed alle “scatole nere” inserite dalle Assicurazioni nelle nostre automobili.

Basterà quindi una simile app per consentire anche ad ogni moglie o marito di scoprire le scappatelle del proprio coniuge, o ad un genitore di monitorare le frequentazioni dei propri figli. Ma è libertà questa?

Esistono già algoritmi in grado di “programmare” la nostra vita sessuale e sentimentale, accoppiandoci di fatto al partner con il profilo (ricavato sempre dal web) più compatibile con il nostro, valutando anche le prospettive di soddisfazione sessuale. Un simile algoritmo è già in commercio da tempo.

In una mostra avvenieristica, attualmente in corso a  Philadelphia, “Designs for Different Futures”, è stato presentato un oggetto, emblematicamente denominato “AlterEgo” (sigh), simile ad una cuffia, destinato a rendere obsoleta “Alexa”, in quanto non avrà più bisogno di alcuna interazione verbale per servirci, ma saprà quasi leggere i nostri pensieri, captando e selezionando i micromovimenti facciali ed oculari che facciamo quando, appunto, pensiamo semplicemente di dire qualcosa (un acquisto da fare, un’operazione domestica da affidare ad un elettrodomestico, un appuntamento da ricordare… ), senza però fiatare.

Lo stesso sistema provvederà a trasmettere la nostra disposizione via bluetooth ad un altro aggeggio dotato di intelligenza artificiale idonea a decifrarla e ad esaudirla. Tutto questo senza che noi emettessimo una singola parola…

In tempi relativamente brevi potrebbe cambiare anche la branca medica dei trapianti di organi, non più tratti da persone decedute, ma realizzati tramite una stampante 3D biologica.

Allettati da questa e da altre simili lusinghe scientifiche, non ci accorgiamo però di quanto, come umani, stiamo cedendo giorno per giorno alla nuova specie “Sapiens” dell’intelligenza artificiale, da cui dipendiamo sempre di più (e che ci sta letteralmente sostituendo in molte attività lavorative).

Un algoritmo elaborato da due ricercatori di Oxford ha stimato che il 47% dei lavori negli Usa è ad alto rischio di sostituzione da parte di un robot dotato di intelligenza artificiale (dal 99% degli attuali operatori dei call center al 96% degli chef, dal 98% dei cronisti sportivi all’86% dei veterinari; andrà meglio agli archeologi, solo lo 0,7% di loro rischia di essere sostituito da colleghi artificiali).

Il problema cruciale non sarà quindi la creazione di nuovi posti di lavoro, sarà quello di creare nuovi mestieri che gli umani sappiano fare meglio degli algoritmi.

Tutto questo porta con se preoccupanti incognite anche sotto il profilo democratico e sociale.

Ormai si può dire che le grandi compagnie di internet, che profilano tutti i nostri dati, qualche volta ci conoscono più a fondo di noi stessi.

Per contrastare una simile situazione, ribadendo e se occorre ridefinendo il concetto di “privacy” ed i diritti ad esso collegati, ci sarebbe bisogno di una battaglia di principi in grado di risvegliare la società dal torpore digitale in cui si crogiola. Servirebbe la capacità di fomentare un movimento di idee e di passioni simile, ad esempio, a quello che, grazie anche alla massoneria, ha permesso di introdurre nel nostro paese la legislazione laica del divorzio.

La posta in gioco civile è in ogni caso decisamente alta. Le grandi società del web non si limitano certo a catalogare e orientare solo i nostri acquisti on line. Da tempo sanno sempre più far leva sulle nostre predisposizioni mentali – decifrate tramite tutte le tracce che lasciamo con i nostri messaggi su internet – per incidere sui nostri convincimenti politici, in senso positivo verso determinati leaders, e sempre più spesso, al contrario in senso negativo e dispregiativo (fino a rasentare un “odio” furbescamente indotto) verso le loro controparti politiche.

Non è una prospettiva futura. E’ già presente, o addirittura è già passato prossimo, come lo scandalo “Cambridge Analytics” ha rivelato in occasione delle ultime elezioni americane.

C’è di più. La Cina, prima di indirizzare il suo potente apparato di controllo informatico della popolazione (profilazione, tracciamento, riconoscimento facciale, ecc.) al contenimento della pandemia, stava già realizzando una specie di schedatura capillare dei suoi cittadini, attribuendo a ciascuno di essi una sorta di punteggio (tipo patente a punti) in base al quale avere accesso o meno a servizi pubblici, permessi, carriere… siamo già abbondantemente ben oltre il Grande Fratello di Orwell (“1984”).

Del resto già ora, a cominciare dagli Usa (ma credo che la stessa cosa avvenga ormai anche in molti altri paesi europei) la nostra “web reputation” costituisce un elemento selettivo nelle prenotazioni di viaggi, alberghi, autonoleggi, ecc.

Il vero problema è chi determina questa nostra “reputazione” (di consumatori, ma evidentemente anche di cittadini)? Con quali criteri? E soprattutto senza darcene il benchè minimo riscontro confutabile.

Nessuno di noi, infatti, sa chiaramente come è “classificato” dal web (così come pochi conoscono la propria reale reputazione bancaria da cui deriva il fantomatico “merito creditizio” che sta mortificando le aspettative di molti piccoli imprenditori, messi in crisi dal coronavirus, che speravano e sperano nei prestiti promessi e garantiti dallo Stato, prestiti che però le banche stanno sistematicamente negando ai più).

Ed allora uno degli obiettivi pratici di un’eventuale battaglia massonica per la ridefinizione del diritto alla privacy, potrebbe essere proprio quello di obbligare chiunque ci classifichi o ci profili tramite il web, a renderci edotti, noi per primi, di tale profilazione, consentendoci, in caso di risultanze negative o difformi, di esprimere controdeduzioni (come avveniva per esempio nel vecchio bollettino dei protesti, in cui gli stessi insolventi potevano accludere ad ogni segnalazione anche le proprie giustificazioni).

Questo renderebbe probabilmente più complicato e forse anti-economico l’attuale disinvolto e incontrollato trattamento dei nostri dati. Dati sui quali qualcuno si è arricchito e continua a farlo, si può dire totalmente a nostre spese.

Sì, perché quei dati bene o male ci appartengono, anche se li dispensiamo a piene mani, senza pensarci, ogni volta che utilizziamo un’email, ogni volta che condividiamo un post su un canale social, o consultiamo un sito web… Senza nessuna spesa, certo, ma quando un servizio come questi è gratuito, ciò significa che la “merce” siamo inevitabilmente noi stessi.

A questo punto emerge un’altra possibile forma di resistenza da parte di noi massoni… astenersi o ridurre il più possibile la cessione di dati sui noi stessi tramite il web.

Questo certo significherebbe una scomoda rinuncia a diversi servizi di cui attualmente usufruiamo tramite la rete internet.

Un sacrificio eccessivo? Forse inutile? Dipende sempre dalla posta in gioco e dal valore che attribuiamo a certi principi… Non dimentichiamo che i nostri antenati, per vivere da massoni, hanno dovuto affrontare ben più scomode e pericolose forme di resistenza e forzata clandestinità.

Attenzione comunque per ora è ancora una libera scelta… ma potrebbe non essere lontano il giorno in cui essere connessi ad internet (e quindi sottoposti al controllo della rete, pur con tutti i suoi indubbi vantaggi) diventi un obbligo di legge (in parte, praticamente, lo è già per molti rapporti con la pubblica amministrazione, per il diritto allo studio, per le pratiche fiscali, eccetera).

A quel punto, fra l’altro, la “riservatezza” dei piedilista delle nostre logge diventerebbe quel che si dice volgarmente “Un Segreto… di Pulcinella!!!” (*).

a:. mu:.

24 Maggio 2020

Michel Onfray

ONFRAY: UN CLIC DOMINERA’ IL MONDO

Un’altra autorevole e profonda riflessione su quanto sta accadendo, in termini di restrizioni della privacy individuale e dei diritti all’autodeterminazione ad essa collegati, ci viene dal sagace pensatore francese Michel Onfray, esponente del postmoderno epicureismo e della cosiddetta “sinistra dionisiaca”, il quale non ha dubbi nel ritenere che la società si stia spingendo (anzi venga spinta) sempre di più verso un totalitarismo informatico di cui Amazon, Facebook, Netflix, Google, Apple (esplicitamente a suo dire) sono le attuali “Signorie”.

Per passare dallo Stato Democratico (o almeno dalla sua parvenza) a quello Totalitario del Grande Fratello, secondo Onfray, si passerebbe attraverso sette fasi:

  1. la distruzione progressiva della libertà di pensare a quello di consumare allegramente;
  2. l’impoverimento della lingua (un popolo che non sa esprimersi, che non sa utilizzare le sfumature del linguaggio per raggiungere compromessi utili alla convivenza civile, è un popolo condannato ad assorbire pseudo-verità precostituite da altri).
  3. l’abolizione della verità (e già oggi assistiamo al’indottrinamento delle masse tramite fakenews);
  4. la soppressione della Storia (vale il vecchio detto “chi dimentica la Storia è condannato a riviverla”, ma ancora peggio si sta perdendo soprattutto la memoria delle esperienze che ci hanno preceduti e che dovrebbero aiutarci a distinguere cioè che è nocivo per la nostra società).
  5. la negazione della natura (dimentichiamo o rimuoviamo anche ciò che è nocivo per la nostra specie e per l’intero pineta in cui viviamo).
  6. la propagazione dell’odio (diretta conseguenza dell’impoverimento della lingua e dell’abolizione della verità, vedi sopra).
  7. l’aspirazione al dominio di potentati economici sempre meno controllati e controllabili (anzi essi stessi in grado di controllare i singoli cittadini-utenti dei loro servizi).

In questo momento la fase più preoccupante per il nostro immediato futuro sembra essere quella forse meno evidente: l’impoverimento della lingua.

Una fase pericolosa perché riguarda soprattutto le nuove generazioni e rischia così di inquinare inesorabilmente il futuro prossimo.

Per impoverire la lingua, secondo Onfray bisogna: usare un linguaggio a doppia valenza, distruggere parole, piegare la lingua all’oralità, eliminare i classici. Nascono così neolingue – tipiche di ogni dittatura – che riducono ogni concetto a slogan. E’ quello che sta accadendo da tempo con il web.


Amara, anzi amarissima, la diagnosi di Michel Onfray:
“la scuola repubblicana che insegnava a ragazzi e ragazze a leggere, scrivere, far di conto e pensare senza guardare alle loro origini sociali è morta nel maggio del ’68.  È stata sostituita da un dispositivo ludico nel quale l’apprendimento di contenuti è stato abbandonato in favore della sollecitazione di un ipotetico genio infantile. Dobbiamo adattarci alla realtà: tutto questo è segno del decadimento della nostra civiltà e dell’avvento di un altro mondo che avrà più a che vedere con Orwell e Huxley che con Dante e Cartesio”. 

“Oggi, invece, fascismo non si vede come un tempo quando si presentava armato con manganelli ed elmetti, ma di tanto in tanto assistiamo ai suoi effetti. Il Big brother orwelliano è più scaltro di tutti i servizi di polizia e di intelligence mai esistiti, perché noi stessi siamo allo stesso tempo vittime e carnefici di questo dispositivo di sorveglianza e di controllo. Non è mai esistita tanta servitù volontaria sul nostro pianeta quanta ce n’è oggi”. In effetti non c’è schiavo peggiore di chi si crede un padrone dei mezzi e dei servizi informatici che sta usando e che vengono messi al suo servizio, spesso senza alcun costo o a prezzi irrisori (segno evidente che la posta in gioco e ben altra e diversa dallo scambiarsi messaggini tramite internet).

La lotta contro l’autoritarismo è materia per caratteri temprati – sottolinea Onfray – per caratteri che abbiano il senso dell’interesse generale e la capacità di mettere da parte la propria felicità (o anche semplicemente parte delle proprie comodità – ndr) in nome dell’ideale superiore della virtù civica, come fece Catone il Vecchio”.


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