Obbedienza e Responsabilità del Maestro Scozzese

Tavola del fr:. F:. C:.

Nel parlare di obbedienza ragionata potrei subito entrare in argomento trattando l’apparente e solo apparente contrasto tra i due termini: ricevere un comando significa eseguire e trasmettere un movimento o una volontà, da un ingranaggio ad un altro o da un uomo ad un altro uomo.

“Ragionata” significa che all’ingranaggio o all’uomo viene primariamente riconosciuta una certa autonomia rispetto al comando\ordine ricevuto, cioè la capacità di formulare un giudizio autonomo sul comando.

Ciò implica la riconosciuta facoltà/dovere, di entrare nel merito e nella sostanza di quell’ordine, di quella  volontà che gli viene trasmessa.

Argomento interessante e denso di implicazioni.

Dunque il ragionamento implica innanzitutto la comprensione della volontà ricevuta, secondo luogo ma non necessariamente conseguente, la libertà di determinarsi secondo quella volontà o secondo una volontà contraria, manifestata o solamente pensata.

Di nuovo un frattura tra due piani, il pensiero e l’azione, ne parleremo dopo.

Altro piano di analisi che implica la riflessione sull’obbedienza ragionata è quello del libero arbitrio ovvero, la capacità del soggetto di determinare le proprie azioni e di scegliere, quindi, se conformarsi a quella volontà trasmessa o non conformarsi.

Questi ultimi due piani di ragionamento circa la volontà da eseguire o, più sinteticamente, “il comando”, implicano ulteriori aspetti; quello dell’etica e quello della responsabilità.

Di nuovo due piani, uno interiore, quello del pensiero e l’altro, esteriore, che riguarda il mondo dell’agire; il pensiero e l’azione.

Pensiero e prassi dunque coscienza e responsabilità.

Posso infatti non condividere sul piano etico la volontà che mi è stata chiesta di eseguire e, in questo caso, la questione rimane limitata al piano della mia coscienza; non condivido il comando perché lo ritengo contrario a miei principi e/o a principi superiori, tuttavia, lo eseguo perché lo ritengo imperativo e perché ne temo le conseguenze immediate, la questione si pone sul piano dell’agire.

Pur non ritenendo su un piano di coscienza tale volontà in asse con i miei principi, che possono anche corrispondere a principi etici superiori o universalmente riconosciuti, l’eseguire o il non eseguire detta volontà comporta implicazioni sul piano della responsabilità.

Identica questione si pone nell’esame della scriminante del militare.

Tale principio viene applicato ogni volta che sussistono, oggettivamente, come nel caso del militare o, soggettivamente, quando il soggetto che “disubbidisce” adduce motivi a giustificazione, per valutare il grado di responsabilità e se o meno sussistono cause di giustificazione.

Nei processi per crimini di guerra l’esecuzione del comando, quando viene ritenuto contrario a principi di umanità o ad altri principi etici universali, genera responsabilità in colui che lo esegue, anche se l’azione conseguente è l’effetto diretto di esecuzione di un comando e quindi su quel piano “è obbediente”.

Il soggetto quindi pur obbedendo, disobbedisce.

L’obbedienza “deve sempre” essere necessariamente “ragionata”; salvo che si parli di macchine o di animali, all’uomo viene sempre riconosciuto il libero arbitrio e la capacità di rapportare l’obbedienza su due piani, uno particolare e inerente al particolare fenomenico (l’ordine ricevuto nella sua specificità) l’altro, di livello superiore, nel quale confluiscono principi generali e di valore etico universale o di ispirazione ad un determinato gruppo sociale quali ad esempio quelli di ordine costituzionale per il popolo italiano.

Nella nostra istituzione il fratello deve obbedienza ma sempre ragionata, ovvero è sempre chiamato a valutare le sue azioni, sia che il suo agire sia motivato dall’esterno, quando gli viene chiesto, sia quando è frutto della sua volontà,  in rapporto ai principi costituzionali e ai principi generali dell’ordine massonico, quei principi etici universalmente riconosciuti quali la fratellanza, l’uguaglianza e la libertà; principi che appartengono all’etica del mondo moderno.

Ecco che già in questi tre principi cardine si rivela la soluzione; il massone è libero ovvero è in lui riconosciuto il dono massimo del libero arbitrio e quindi è chiamato ad attuare il suo agire in uno con la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza; si compie in questo percorso il principio di responsabilità.

L’obbedienza del massone dovrà sempre rapportarsi ai principi superiori e il ragionamento che è chiamato a compiere il massone sarà sempre di conformare la propria obbedienza affinchè la stessa non possa e non debba mai violare l’uguaglianza, la fratellanza e l’altrui libertà.  

Scelgo ora, manifestando il mio libero arbitrio, di portarvi su un altro piano.

Che l’obbedienza sia sempre obbedienza in termini di “conformarsi” ad una volontà è chiaro, così come pare altrettanto chiaro che lo strumento attraverso cui si propaga e si manifesta la volontà è la parola.

La parola è il manifestarsi esteriore del pensiero quindi è dal pensiero che dobbiamo partire.

Il pensiero si manifesta all’uomo e per l’uomo nella parola, nel verbo dunque.

Anche il pensiero trascendente si manifesta all’uomo o per segni, che rimandano comunque alla parola, o per mezzo della parola, direttamente.

La parola custodita da Hiram, da Hiram re e da Salomone è il pensiero del grande architetto dell’universo, a loro manifestato e consegnato per la costruzione del mondo perfetto.

La parola perduta è il nostro punto di partenza, la parola è il nostro punto di arrivo.

La parola è dunque lo strumento ma pure il principio assoluto, cui ognuno si deve conformare, così che la parola che in noi si manifesta quale volontà da eseguire sia nel contempo ordine e principio supremo, cui dobbiamo sempre conformarci.

Quando siamo in “comunione” cioè in armonia spirituale, con il tempio, in noi “l’ordine” altro non è che la comunanza della parola; non c’è più bisogno di astrarre e valutare la parola umana e il principio che la ispira, alla ricerca di una coincidenza, perché siamo in comunione; il nostro pensare e agire è una diretta promanazione della parola.

E’ assolutamente necessario ripercorrere il cammino della parola, di cosa significa per il pensiero occidentale e attraverso quale percorso sia giunta a noi.

Mi sono chiesto come la “parola” possa coniugarsi con la “ragione”, come e nuovamente, il comando, la volontà di quella parola, possa nuovamente essere “ragionata”

Nel Vangelo di Giovanni, Genesi, libro che leggiamo in apertura ai lavori si legge; in principio era il verbo e il verbo era Dio   “e ν  aρχh  hν  o  λόγος,  καi o λόγος hν πρoς τoν θεόν”

Ebbene Giovanni traduce la parola con Logos (λόγος) che significa “ragione”.

Cicerone è il primo latino a tradurre Logos con “ratio”, ragione ovvero come ragionamento; una parola che è insieme sia volontà creatrice ma anche ragione creatrice, capace di comunicarsi all’uomo come ragione.

Il cammino della parola, quella parola originaria, viene pertanto traghettato dal pensiero mediorientale in occidente, prima attraverso il pensiero greco diventa ragione, logos, poi entra, attraverso quel ponte, nel pensiero occidentale fino a diventare uguaglianza, fratellanza e libertà.

La bellezza di tutto ciò è la capacità che ha avuto la parola di rendersi sempre attuale, di permetterci di leggere il mito, quello di Hiram, secondo una chiave di volta in volta necessaria al compimento del disegno di miglioramento dell’umanità.

Attraverso questo percorso, noi siamo in grado di continuare a leggere il mito di Hiram e di trarre fonte di ispirazione continua e soprattutto attuale, contemporanea.

Sarebbe inaccettabile per noi, oggi, dover leggere come vera storia la morte di Hiram, la sua richiesta di vendetta.

Inaccettabile applicare il precetto del cavaliere che deve armarsi e sconfiggere con la spada il nemico. 

Come è possibile conciliare la manifestazione di una volontà creatrice attraverso la parola senza ritenere che la stessa debba essere per un verso indiscutibile, in quanto espressione diretta della perfezione e per l’altro inconciliabile, in termini comprensibili, con il libero arbitrio del singolo uomo, assolutamente imperfetto per sua natura.

Il ponte gettato tra due culture, un’antica e mitologica, quella del pensiero antico testamentario e delle religioni mediorientali, e una moderna, quella del pensiero greco, consente alla parola creatrice di diventare “comprensibile” per l’uomo e non più relegata a mito inintellegibile.

Ecco allora che per il cavaliere scozzese l’obbedienza ragionata significa in ultima analisi non semplicemente l’adeguarsi alla parola ma la capacità di comprenderle la parola perché questa si manifesta necessariamente e sempre secondo ragione.

Ho detto.

F:. C:.

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