“SONO STATO IO!”

Il senso di responsabilità nella vita iniziatica ed in quella profana.

inserito il 24 10 2017, nella categoria Etica, Società, Tavole dei Fratelli

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Tavola del fr:. R:. Baz:.

Quanto siamo capaci di ammettere le nostre responsabilità per tutte le cose che ci capitano nella vita?

Molti potranno non essere d’accordo con quest’affermazione, perché ritengono che non sempre è tutta colpa nostra e almeno il cinquanta percento è degli altri: i genitori che non ci hanno amato; il coniuge che ha tradito; il figlio che non obbedisce; il capo che opprime.

Essere in grado di riconoscere che gli altri non hanno colpe per quello che siamo, è un percorso che si compie con sofferenza, ma è anche una via di liberazione. Potremo alla fine scoprire, che non siamo vittime degli altri ma della nostra incapacità a esprimere ciò che vogliamo, i nostri desideri, e quando lo sapremo gli altri non ci condizioneranno più e saremo sciolti dalla schiavitù, dall’inferno, “L’enfer sont les autres”.

A volte possiamo sapere, con la mente, che la responsabilità è oggettivamente nostra, che abbiamo sbagliato, ma se il cuore non lo condivide cercheremo al nostro esterno le scuse per evitare il dolore di sentirci colpevoli e di dover pagare per l’errore. Tuttavia finché non riconosciamo la nostra colpevolezza, non è possibile l’azione riparatrice né uscire dal blocco rappresentato dalle proiezioni delle nostre colpe sugli altri, come dice Bert Hellinger, e in questo modo perpetuiamo la sofferenza per quanto accaduto senza fare il movimento necessario per cambiarlo.

Se proviamo a fare l’esperimento di dirci per un momento: «quella volta sono stato io a sbagliare e nessun altro», possiamo percepire nel fondo un senso di verità nonostante il fatto che non accettiamo quest’emozione e che essa non salga fino a diventare presente alla coscienza. Riusciamo a immaginare quale liberazione sarebbe se la accogliessimo interamente?

E’ un itinerario necessario anche se drammatico. Roy Martina, psicologo olandese, afferma che per attivare la legge di attrazione vanno rimossi i blocchi e tra i primi vi è quello di ravvisare che siccome si realizzano tutti i nostri desideri, se non li esprimiamo con la volontà essi ugualmente agiscono inconsciamente e diventiamo pertanto quello che siamo ora.

Ad esempio, se non manifestiamo l’intenzione di diventare benestanti realizziamo il pensiero presente: «Io sono povero» e quindi la povertà diventa colpa nostra; oppure il desiderio: «voglio amici», se non è portato alla coscienza traduce in realtà il pensiero attuale «sono solo» e ancora una volta non possiamo accusare altri che noi stessi della solitudine, e così via.

Per uscire dal blocco ci invita a recitare un mantra: «Poiché non ho manifestato i miei desideri, mi trovo in questa situazione. Scelgo ora di manifestarli e di accettare gli insegnamenti che la vita mi dà.»

Non sempre possiamo seguire i percorsi di sviluppo personale fino in fondo. Qualcuno ci riesce.

Alcuni giorni fa guardavo annoiato, un programma televisivo sul lavoro degli agenti aeroportuali in Australia dove si narravano i casi delle persone respinte alla frontiera per vari motivi.

A un certo punto fui attratto da una persona particolare. Era un anziano con lunghi capelli bianchi che voleva entrare dopo venti anni di assenza. Gli chiedono il motivo del rientro e lui risponde che vuole passare il compleanno assieme a sua sorella. Gli agenti fanno una ricerca negli archivi e vedono che l’uomo ha avuto varie condanne, già scontate, per crimini compiuti fino a dieci anni prima e pertanto potevano considerarlo indesiderato. Gli comunicano che lui è un pregiudicato e gli chiedono nuovamente perché vuole venire in Australia. Lui risponde che ha passato venticinque anni in prigione e dopo i cinquant’anni ha capito che la sua non era una buona vita e gli affetti famigliari erano più importanti dei sogni giovanili di potere e ricchezza.

Gli agenti telefonano alla sorella che conferma che l’uomo sta andando da lei per il compleanno, e poi chiamano l’uomo in ufficio.

Gli dicono: «Non possiamo darle il visto di entrata», e lui risponde quasi sorridendo «va bene». Gli agenti sono sorpresi, e continuano a spiegargli la situazione ma lui non mostra alcuna irritazione, anzi accetta tutto quello che gli viene detto. «Lei deve chiedere un visto all’autorità superiore a noi e ora la respingiamo», e l’uomo risponde ancora una volta «va bene». Poi, si rivolge verso la telecamera con espressione tranquilla e dice: «Questa è la mia vita, sono io quello che ha fatto quelle cose. Nessun altro ha colpa.»

Post scriptum

La capacità di prendere completamente su di sé la responsabilità di ciò che accade ha un valore razionale e può diventare un modo di agire efficiente economicamente.

Riporto questo passo dell’intervista all’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi, pubblicata sul Sole 24 Ore del 22 luglio 2017, pag .3.

Domanda:” Il sequestro del Centro Oil di Viggiano e i ritardi sul progetto di Tempa Rossa di Total: queste due esperienze vi destabilizzano o non mutano la vostra visione sull’attività estrattiva in Italia?…”

Rsposta: “Non c’è nulla che ci destabilizza se non i nostri errori. Credo nell’Italia, non solo perché sono italiano ma perché penso che se le cose non vanno e non si riesce a farle è colpa nostra e non del paese. Perciò ritengo che per ENI la cosa migliore sia prendersi la responsabilità completa di tutte le sue difficoltà italiane e forse così si riesce a risolverne il 30% 40% senza scaricare la responsabilità su nessuno. Più che destabilizzato sono dispiaciuto perché talvolta non siamo riusciti a fare le cose come si doveva fare. Ora la strada migliore è chiedere scusa fuori e lavorare in casa propria per fare meglio le cose. Questo deve valere per tutti e vale molto di più per noi perché siamo italiani.”

 

Jean Paul Sartre

Ho voluto dire “l’inferno sono gli altri”. Ma “l’inferno sono gli altri” è stato sempre frainteso. Si è creduto che io volessi dire che i nostri rapporti con gli altri sono sempre avvelenati, che si tratta sempre di rapporti infernali. Invece è tutt’altro che voglio dire. Voglio dire che se i rapporti con gli altri sono contorti, viziati, allora l’altro non può che essere l’inferno. Perché? Perché, in fondo, gli altri sono ciò che vi è di più importante in noi stessi, per la nostra propria conoscenza di noi stessi. Quando noi riflettiamo su di noi, quando tentiamo di conoscerci, noi usiamo in fondo le conoscenze che gli altri hanno già su di noi, ci giudichiamo con i mezzi che gli altri hanno, ci hanno dato, di giudicarci. Qualunque cosa io dica su di me, sempre il giudizio altrui vi è presente. Qualunque cosa io senta di me, il giudizio altrui vi è presente. Il che vuol dire che, se le mie relazioni sono cattive io mi metto in una totale dipendenza degli altri e allora, sì, io sono in inferno. C’è una quantità di gente nel mondo che è in inferno perché dipende troppo dal giudizio altrui. Ma questo non vuol dire affatto che non si possano avere differenti rapporti con gli altri: questo indica solo l’importanza capitale di tutti gli altri per ciascuno di noi.

“J’ai voulu dire « l’enfer c’est les autres ». Mais « l’enfer c’est les autres » a été toujours mal compris. On a cru que je voulais dire par là que nos rapports avec les autres étaient toujours empoisonnés, que c’était toujours des rapports infernaux. Or, c’est tout autre chose que je veux dire. Je veux dire que si les rapports avec autrui sont tordus, viciés, alors l’autre ne peut être que l’enfer. Pourquoi ? Parce que les autres sont, au fond, ce qu’il y a de plus important en nous-mêmes, pour notre propre connaissance de nous-mêmes. Quand nous pensons sur nous, quand nous essayons de nous connaître, au fond nous usons des connaissances que les autres ont déjà sur nous, nous nous jugeons avec les moyens que les autres ont, nous ont donné, de nous juger. Quoi que je dise sur moi, toujours le jugement d’autrui entre dedans. Quoi que je sente de moi, le jugement d’autrui entre dedans. Ce qui veut dire que, si mes rapports sont mauvais, je me mets dans la totale dépendance d’autrui et alors, en effet, je suis en enfer. Et il existe une quantité de gens dans le monde qui sont en enfer parce qu ils dépendent trop du jugement d’autrui. Mais cela ne veut nullement dire qu’on ne puisse avoir d’autres rapports avec les autres, ça marque simplement l’importance capitale de tous les autres pour chacun de nous.”

Ho detto

R:. Baz:.

19 Ottobre 2017 e.v.

 

 


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