DI CHI E’ LA MIA VITA?

La scelta sul fine vita: errore o peccato? Il tema del suicidio è affrontato in modo etico/filosofico e giuridico, sin dai tempi dell’antica Grecia. Solo verso il 6° secolo il suicidio venne condannato senza appello dal Cristianesimo. L'eutanasia, si intreccia inevitabilmente con l’idea del dolore, della sofferenza e del senso della vita e della morte.

inserito il 06 04 2017, nella categoria Etica, Filosofia, Libertà, Religione, Scienza, Tanatologia, Tavole dei Fratelli

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Tavola del fr:. N:. P:.

Il mondo in cui viviamo è continuamente sottoposto al cambiamento, sempre più rapido, vorticoso e inarrestabile.

Cambiamenti repentini che abbracciano tutte le dimensioni dell’umanità.

Queste vanno dalle continue rivoluzioni tecnologiche, basti pensare all’information technology, che modificano il nostro modo di utilizzare gli strumenti con i quali agiamo sul mondo, fino a scardinare certezze di ordine morale ed etico che ci parevano, fino a poco tempo fa, immutabili.

Certezze morali che avevano radici antichissime e che per questo ci parevano fisse e sostanzialmente difficilmente scardinabili.

La nostra vita empirica, così come quella morale, si è fatta fluida, liquida, sempre in costante mutamento, fino all’impossibilità di stabilire dei confini certi, dei riferimenti solidi.

Gli ultimi accadimenti di cronaca, hanno portato alla ribalta dell’opinione pubblica, come peraltro periodicamente avviene, la questione del fine vita e con esso il dibattito sulla legittimità morale, giuridica e sociale dell’eutanasia e del suicidio.

La questione del suicidio ha origini antichissime, sin dal giorno in cui l’uomo scoprì che oltre ad uccidere gli animali ed i nemici, poteva uccidere anche se stesso, si iniziò a dibattere sulla legittimità o meno del gesto.

Il tema del suicidio è affrontato in modo etico/filosofico e giuridico, sin dai tempi dell’antica Grecia.

Per Platone il suicidio, se può essere desiderato, non può essere compiuto in quanto l’uomo deve soffrire per potersi congiungere con la propria anima e la divinità, allo stesso modo il suicida non aveva il diritto ad una degna sepoltura ed era rifiutato dalle Polis greche.

Differentemente tutta la filosofia Stoica esalta il suicidio come massima espressione della libertà umana: ogni vita che non meriti più di essere vissuta, trova espressione completa nel suicidio. Per Epicuro il suicidio è una affermazione delle libertà dell’uomo.

Diceva Seneca:” Ringrazio Dio che nessuno può esser trattenuto in vita contro la sua volontà”.

fine vita socrate

Per le religioni monoteiste, fu chiaro sin da subito l’importanza di condannare il suicidio come un atto violento contro la Divinità: il nostro corpo, così come la nostra vita, non ci appartengono, sono un dono e come tale non ne possiamo disporre a piacere.

Dante colloca i suicidi nel settimo girone dell’inferno, questi sono trasformati in piante orrende ricoperte di spine velenose. E’ chiaro in questa immagine che il peccato del suicida è stato quello di aver rifiutato il corpo come dono di Dio e di aver così spezzato quel legame tra corpo e anima che lo stesso Dio sancisce per l’eternità.

Ma agli inizi il cristianesimo non condannava in modo esplicito il suicidio, anzi, di fronte al dolore e alla sofferenza, era accettato, solo verso il 6° secolo il suicidio venne definitivamente condannato senza appello.

Il suicidio, così come l’eutanasia, è essenzialmente una psicodinamica, come tale vive del contrasto vita/morte, contrasto profondo e conflittuale ma è la morte ad essere il necessario e ineluttabile arrivo.

Come spesso accade i temi etici ci appassionano e ci scaldano, tuttavia, passata l’enfasi del momento tutto ritorna come prima e le questioni quotidiane riprendono il sopravvento rispetto ai temi morali ed etici.

L’atavica riluttanza della nostra politica ad affrontare questi temi, fa il resto.

Fatto sta che l’Italia è l’unico paese europeo a non essersi ancora dotato di un quadro normativo sul fine vita in cui inquadrare all’interno di un perimetro legislativo la questione morale dell’eutanasia, del suicidio assistito e della sospensione delle terapie.

A dire il vero, anche da noi, sfruttando questa zona grigia nelle normative, si applica una sorta di accompagnamento verso la morte, ma ciò è lasciato al singolo individuo, a situazioni non regolamentate e pertanto spesso differenti tra loro e in alcuni casi discriminanti.

Ma un inquadramento giuridico del diritto all’eutanasia, comporta necessariamente una legittimazione morale per tutta la società?

La risposta a questa domanda assume connotati ontologici, per cui la risposta non può che essere negativa, inoltre una definizione giuridica in tal senso, quando anche il giudizio morale restasse sospeso, comporterebbe profonde modifiche agli attuali ordinamenti statali in senso permissivo.

All’interno del comune sentire della collettività, il tema dell’eutanasia, si intreccia inevitabilmente e necessariamente, con l’idea del dolore, della sofferenza e del senso della vita e della morte, il passaggio da un piano gnoseologico a quello ontologico, rende difficile affrontare con serenità e libertà di pensiero la complessità degli aspetti legati al fine vita.

fine vita tasto off

La stessa discussione filosofica, con argomentazioni a favore e contro, difficilmente riesce a trovare una sintesi comune.

Se è pur vero che occorre aiutare l’uomo contemporaneo a riflettere e ad accettare come ineluttabile la dimensione della sofferenza, anche come strumento di crescita e di maturazione, è altrettanto vero che il concetto, anzi l’idea del diritto sacrosanto della libertà del singolo individuo-cittadino, non può prescindere dal diritto alla vita e della vita, così come dal diritto alla morte e della morte.

Se è vero che la nostra tradizione ed estrazione culturale e religiosa costituiscono un fondamentale della nostra civiltà occidentale, anche da un punto di vista giuridico, è altresì vero che l’inalienabile diritto alla libertà del singolo non solo ne è la base portante, ma a maggior ragione l’idea di LIBERTA’ del singolo dovrebbe avere la preminenza su ogni dimensione morale, etica o religiosa.

Nessun individuo è libero di scegliersi i propri genitori, i propri tratti somatici, i geni o dove e quando nascere, ma ciò non può necessariamente significare che questo implichi la non libertà di disporre della propria esistenza, e della propria vita e di potervi porre fine quando la stessa si fa umanamente insostenibile.

La sacrosanta libertà della scelta, del proprio destino, dell’essere artefice e attore della propria esistenza, se vale in assoluto, deve valere anche difronte alla scelta ultima.

Ogni individuo è parte del TUTTO e al TUTTO si rifà, ma resta pur sempre una parte, un singolo, è la realizzazione del singolo che completa il TUTTO, e anche il gesto ultimo e più estremo fa parte del TUTTO.

Quale significato potremmo dare alla nostra esistenza se non ne fossimo gli artefici, se non potessimo incidere direttamente in essa, se fossimo solo inconsapevoli pedine di un progetto più grande in cui il libero arbitrio fosse solo una chimera, una menzogna, fossimo prestati a questo mondo per qualcosa che ci è sconosciuto, anche la morte ne fa parte, sia che si tratti di morte naturale, accidentale o voluta per proprie mani.

Se giuridicamente parlando, la parte legislativa deve inserire in un ampio quadro normativo tutti i vari aspetti legati all’eutanasia o al suicidio assistito o altro, nonché la depenalizzazione dell’atto medico, l’aspetto etico e morale dovrebbe tener conto in primis del sacrosanto principio e diritto della LIBERTA’ del singolo individuo, che si esplica come realizzazione della propria esistenza e quindi anche, nel caso, della propria morte.

LIBERTA’ intesa come il massimo strumento e baluardo del singolo e conseguentemente della società come insieme delle parti, contro le morali rivelate e le etiche confessionali degli stati.

La laicità dello stato, quando si tratta di questioni morali ed etiche, è messa a dura prova, ma uno STATO che si fonda sul diritto e che vuole mantenere il diritto di chiamarsi STATO, non può non fondare il proprio ordinamento giuridico, anche e soprattutto quando questo deve diramare questioni etiche, sul sacrosanto principio della LIBERTA del singolo per la propria autodeterminazione anche nel senso della privazione della vita.

I diritto del singolo di poter porre fine alla propria esistenza, fa parte di questa autodeterminazione, anzi si può intendere come la massima autodeterminazione dell’individuo.

Unico principio in grado di garantire l’unicità e l’irripetibilità dell’essere.

Ogni comunità, stato o nazione si fondono necessariamente su un substrato culturale ed etico che parte da lontano, tuttavia la LEGGE di uno STATO moderno dovrebbe avere la preminenza su tutto.

L’humus etico di un civiltà rappresenta il sentimento generale di quella, ne rappresenta la somma dei sentimenti morali di ogni singolo componente, ma non è e non può essere necessariamente vero per ogni singolo e come tale non può essere imposta  ne ante rem ne in rem.

Quante volte ci siamo sentiti dire che ci vuole più coraggio a vivere fino all’ultimo una vita di sofferenze e di dolore piuttosto che “farla finita”.

Vero, anzi verissimo, ma ciò non lo è in assoluto, o almeno non lo è per tutti.

Quante volte ci viene detto che la nostra vita è il frutto di un dono, e come tale non ci appartiene fino in fondo.

Vero, anzi forse verissimo, ma ciò non lo è in assoluto, o almeno non lo è per tutti.

Il comune sentire dei molti, non è il sentire del singolo e come tale non può essere imposto a tutta la collettività.

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L’etica comune è per quanto dominante e in continuo divenire, solo l’etica comune, e come tale non può esserlo per ogni individuo preso singolarmente, la decisione di porre fine alla propria esistenza si inquadra in un atto del singolo e non della collettività. ( A meno che il fine vita non abbia motivazioni esistenziali, economiche , affettive etc  e qui è tutto un’ altro discorso)

Ogni essere rappresenta per sé e per il tutto una singolarità.

Non mi è facile pensare che, per quanto insopportabili siano le sofferenze fisiche e psicologiche, per quanto atroce possa essere i dolore di un individuo, questi affronti con leggerezza la possibilità di porre fine alla propria esistenza, tuttavia questo stesso individuo dovrebbe essere lasciato libero di scegliere, soprattutto di fronte ad un gesto ultimo.

La vita è la cosa più grande e meravigliosa che ci possa capitare, ma quando questa è sentita come qualcosa che non merita più di essere vissuta, c’è qualcosa di ancora più grande: la libertà di scelta.

Se è vero che non ho scelto di nascere, è pur vero che posso scegliere di morire, scelta intima, personale, definitiva, verso la quale niente e nessuno ha il diritto di opporsi.

Mi preme ricordare che in Italia il suicidio non è trattato un come reato, chi tenta di porre fine alla propria esistenza senza riuscirci, non viene successivamente incarcerato.

Allora non sarebbe forse utile avere un trattamento medico idoneo che permetta di farlo nel miglior modo possibile?

La parola suicidio spaventa enormemente di più della parola EUTANASIA, e nel nostro paese sono molto di più le persone che di fronte al dolore e alla sofferenza si tolgono autonomamente la vita rispetto a quelli che decidono di farlo in un contesto definito, ma costretti a farlo fuori dai nostri confini.

Caso mai un giorno mi dovessi trovare a non sopportare più una vita fatta di dolore e sofferenza fino a ritenerla non più degna di esser vissuta, non so come mi comporterei.

Tuttavia mi piacerebbe credere di essere libero di poter scegliere.

 

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6 Aprile 2017 e.v.

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