LA COPPA DELLE LIBAGIONI

Arturo Reghini non parla di una “Coppa delle libagioni” e nemmeno di una “Coppa dei giuramenti”, bensì descrive un unico ”Calice dell’Oblìo”, poter intraprendere il “Viaggio”, mondato da tutti i ricordi del mondo profano.

inserito il 02 03 2017, nella categoria Iniziazione, Mitologia, Ritualità, Simbolismo, Tavole dei Fratelli

COPPA LIB

Tavola del fr:. G:. P:.

Nella mitologia, che è giunta fino a noi grazie più alle tradizioni che alla storia, scopriamo che gli antichi Dei accompagnavano l’agape con frequenti libagioni di raffinati vini di cui, purtroppo, si sono perse le peculiari proprietà organolettiche. Possiamo solo immaginare che, in tutti i casi, si trattasse di bevande squisite, dedicate, per l’appunto, alle divinità, tanto da essere qualificate come “néttari”.

Dalla notte dei tempi sono note le conseguenze di quello che succede quando dimentichiamo per un po’ di tempo, nel suo recipiente, un liquido dolce: quest’ultimo fermenta per effetto dei lieviti, sempre presenti nell’aria circostante. Il prodotto quindi che si ottiene, al termine di trasformazioni chimico/fisiche, è un liquido nuovo, meno zuccherino ma, grazie ad una ancestrale alchimia microbiologica, ricco in alcol.

Che si tratti di una bevanda povera come la birra, che proviene da cereali e acqua aggiunta, o che si tratti di un prodotto di origini più nobili come il vino, la sua ingestione comporta nel soggetto altre trasformazioni umorali, proporzionali ai quantitativi assunti. Sorvolando sulle considerazioni di carattere medico sugli effetti nefasti dell’alcolismo, preferisco riportare un pensiero, meno scientifico ma sicuramente più poetico del platonico Apulejo:

“Il primo calice è per la sete

Il secondo, per la gioia

Il terzo, per il piacere

Il quarto, per la follìa”

Sono innumerevoli le occasioni in cui, nei millenni, Dei e mortali hanno portato alle labbra una coppa per le libagioni, celebrando così una ritualità consolidata nei secoli e sempre beneaugurante. Il “poeta maledetto” Charles Bukowski ci dà, in proposito, un esempio dissacrante della propria filosofia etilica:

“Se succede qualcosa di bello, si beve per festeggiare

Se succede qualcosa di brutto, si beve per dimenticare

Se non succede niente, si beve per far accadere qualcosa”.

 Tornando poi col pensiero alla mitologia, scopriamo che non è del tutto corretto parlare semplicisticamente di “nettare degli Dei”, perché in quest’ambito esistono almeno due varianti della bevanda: la prima è nota come Ambrosia, dal greco àmbrotos: immortale. Solo gli Dei, in quanto immortali, potevano assumerne, mentre era considerato empio sia chi l’avesse offerta a un umano, sia colui che ne avesse bevuto. La Dea Teti, unendosi con Peleo, aveva generato Achille che, in qualità di semi-dio, potè essere immerso in ambrosia acquisendo, almeno al 98%, l’immortalità.

 

La seconda variante in uso presso l’Olimpo era il “Nepente”  di cui troviamo tracce nell’Odissea. Qui si parla infatti di una pianta di origini orientali (Turchia o, forse, Egitto) la quale, sapientemente mischiata al vino, dava sollievo, addormentava il dolore… fino al completo oblìo. Tutto fa pensare, alla luce di più recenti acquisizioni di botanica farmaceutica, trattarsi di un derivato ottenuto dal papavero oppiaceo.

Sempre dalle antiche tradizioni apprendiamo che scopo principale di un’agape era quello di cementare sempre più una amicizia fraterna, rinvigorendo quei legami di solidarietà che si vengono a formare all’interno di una grande famiglia. Il termine “agape”, di origine greca, è etimologicamente riconducibile alla parola “amore”; i cristiani dei primi secoli infatti identificavano con esso una cerimonia tradizionale, incentrata su un banchetto, il più possibile allargato nella partecipazione, connotato da un profondo carattere eucaristico.

La grande famiglia massonica non fa eccezione in questo e, in occasione dei due solstizi, celebra altrettante àgapi, durante le quali il M:. V:. invita i FF:. RR:. a unirsi a lui nei rituali brindisi. Addirittura la terminologia dei materiali impiegati per l’occasione risale a secoli addietro. Alcuni esempi:

Piattaforma:                                                 tavolo

Velo:                                                               tovaglia

Bandiera:                                                       tovagliolo

Cazzuola:                                                       cucchiaio

Cannone:                                                       bicchiere

Tirare una cannonata (fuoco!):                   bere

Zappa:                                                           forchetta

Pietra Grezza:                                               pane

Polvere Forte:                                                vino

Polvere Debole:                                             acqua

Sabbia:                                                           sale

Vi sono poi alcuni brindisi che, per la loro ufficialità, sono praticamente “obbligatori”: il primo, per il Presidente della Repubblica, poi per il G:. M:. e, a seguire, per il M:. V:. e i due FFRR:. Sorveglianti. Tra i tanti non ufficiali, mi piace qui ricordarne uno fra i più antichi: il “brindisi del guardiano”, suggestivamente ricordato dal Fr:. R. Kipling nella poesia “La vedova di Windsor”, che così si conclude:

“…e poi, per i figli della vedova,

dovunque e comunque Essi si trovino,

se è ciò che desiderano,

auguro un pronto ritorno alle loro case.”

Forse però la coppa delle libagioni assume la sua simbologia più esoterica quando viene utilizzata, all’interno del Tempio, per essere offerta al profano durante la sua cerimonia di iniziazione. Nel rito attualmente praticato egli deve prestare una promessa solenne, bevendo da questo calice due volte: prima, acqua dolcificata, poi, acqua con un amaricante.

Questo è il suo primo e più importante rito massonico, che stabilisce, una volta per tutte, la morte dell’individuo nel mondo profano nonché la sua rinascita, l’inizio del suo nuovo cammino, verso una nuova luce. Il significato legato ai due liquidi è molto chiaro: “se sarai un leale libero muratore, la tua coscienza ti renderà la vita dolce come questo nettare. Se invece tradirai gli ideali massonici, la tua anima sarà pervasa dal rimorso e farà salire tutta l’amarezza di questo fiele.”

Dopo tale giuramento, l’iniziando viene accompagnato e assistito nel superamento di tre fondamentali “prove”, al termine delle quali riceve l’imprimatur di massone neofita e può avviarsi a intraprendere il proprio viaggio come “apprendista L:. M:.”.

Il simbolismo dell’acqua dolce e amara ha fatto sorgere in taluni il dubbio che, negli anni e con le continue riscritture, questo rituale possa avere subìto alcune modificazioni. Nel suo “Considerazioni sul rituale dell’apprendista L:. M:.”, Arturo Reghini non parla di una “Coppa delle libagioni” e nemmeno di una “Coppa dei giuramenti”, bensì descrive un unico ”Calice dell’Oblìo”, quasi a sottolineare che, bevendo da questo, si perda la memoria del passato e si possa così accedere alla dimensione dell’aldilà, sprofondando in un sonno che fa perdere la propria identità, condizione necessaria all’iniziando per poter intraprendere il “Viaggio”, mondato da tutti i ricordi del mondo profano.

Inoltre, sostiene Reghini, il recipiendario dovrebbe bere da questo calice dell’oblìo, solo dopo essere stato purificato nei suoi viaggi dall’acqua, dall’aria e dal fuoco, e quindi immediatamente prima di ottenere la propria iniziazione. In pratica Reghini auspica il ritorno ad un rituale ancestrale, dove i diversi passaggi attraverso cui viene condotto il profano avrebbero, non solo un ordine diverso da quello attuale, ma soprattutto una diversa interpretazione nella simbologia legata all’assunzione del liquido amaro; in particolare Reghini critica il riferimento all’ipotesi di “spergiuro”, come una mera banalità moralistica, quasi paragonabile a una didascalica raccomandazione rivolta a un bambino: “se sarai bravo avrai le caramelle, se sarai cattivo… le sculacciate!”.

Tale rilettura in chiave critica, in verità alquanto suggestiva,  ci riporta al mito orfico delle due sorgenti dell’Ade: la fonte del “Lethe” e la fresca sorgente di “Mnemosine”. Queste acque, rispettivamente dell’oblìo e della memoria, compaiono pure alla fine del Purgatorio, nella “Divina Commedia”: sono i due fiumi Lete ed Eunoe.

La Dea Mnemosine, come sostiene Esiodo, conosce tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Per contro, i defunti sono coloro che, bevendo dalle acque del Lethe, hanno perduto la memoria, da ciò il termine “letale”, che è sinonimo di “mortale”. Dante, al termine del purgatorio, si imbatte in questi due fiumi e qui subisce le necessarie purificazioni che gli consentiranno di andare oltre e accedere, quindi, al Paradiso Terrestre.

Ecco però che, in questo contesto, le acque tornano a essere due, come nell’odierno rituale; inoltre il sommo poeta, al pari di Anchise e di Tiresia, rappresentano figure privilegiate che, assistite dalle Muse, possono abbeverarsi ad entrambe le fonti, acquisendo, grazie a Mnemosine, la conoscenza dei principi, delle origini, l’apparizione del mondo e la nascita degli Dei. Dissetandosi poi alle acque del Lethe, vengono dotate della sovrumana possibilità di varcare i confini con l’aldilà… e tornarne liberamente. Anche l’iniziando, dopo aver bevuto alla fonte della memoria, e quindi con la virtù e la prerogativa di ricordare il proprio mondo passato, beve l’acqua dell’oblìo e rinnova il mito di Tiresia, vivo tra i morti, dimenticando le esperienze profane e passando quindi dall’esistenza umana, schiava del divenire, a quella dell’immutabile eterno e pertanto trascendere la propria limitata condizione raggiungendo, non lo scopo della propria vita, bensì il superamento del mistero della propria morte.

Difficile, a questo punto, schierarsi e sposare con certezza la tesi di Reghini, che prevede una sola coppa delle libagioni con l’acqua amara, per di più connotata di tutt’altro significato, senz’altro maggiormente esoterico rispetto a quello attuale. E’ opportuno, a questo punto, indagare se effettivamente non sia esistito a monte un senso più profondamente iniziatico di questo rituale? Quale significato potrebbe emergere, procedendo a ritroso verso le origini? Risalendo le vie sotterranee e intricate che riallacciano l’attuale tradizione massonica alle remotissime confraternite iniziatiche, dove però le tracce sono ormai divenute labili, quasi impercettibili a mostrarsi in una eventuale ricerca archeologica delle culture passate.

Ciò, tra l’altro, comporterebbe allontanarsi da posizioni ben delineate dal G:.O:.I:. e chiaramente stilate in modo ufficiale negli affezionati rituali azzurri che utilizziamo ogni volta che varchiamo le colonne ed apriamo il “Libro”. La speranza dello scrivente è semplicemente che, dalle considerazioni e dagli interrogativi sopra riportati, possa scaturire una interessante raccolta di impressioni tra meridione e settentrione, ricordando in proposito che il dubbio, da sempre, accompagna il cammino del massone e costituisce il cemento che aggrega le particelle di argilla di cui è costituito ogni simbolico mattone.

Ho detto

G:. P:.

2 Marzo 2017 e.v.


Lasciaci un commento

Cerchi qualcosa?

Utilizza il campo sottostante per cercare nel sito:

Hai cercato qualcosa che non hai trovato? Contattaci e richiedici l'informazione che cerchi!

Link

Ti raccomandiamo di visitare questi siti web