LA GRANDE MADRE MEDITERRANEA

La Terra è femminile, l’origine, il principio dell’umanità: la Grande Dea dalla quale discende ogni cosa. La Dea Madre quindi rappresenta la natura in tutti i suoi aspetti positivi (fecondità nei raccolti e fertilità) e negativi (tempeste, siccità…). Questa cultura subì un’inversione nel Mediterraneo con l’invasione dei DORI, provenienti dall’altopiano del Pamir e saldamente patriarcali.

inserito il 29 01 2016, nella categoria Femminino, Scienza, Storia, Tavole dei Fratelli

Grande Madre

Tavola del fr:. F:. C:.

Questa tavola è, per la sua parte preponderante, un abstact di una conferenza tenuta dal Prof. Pierluigi Montanari; ho ritenuto l’argomento interessante e per tale ragione lo sottopongo a voi.

 

Le forme più antiche di culto religioso, contrariamente a quanto si presume, non erano di carattere politeista ma monoteista.

I reperti più antichi che testimoniano la presenza di divinità femminili risalgono al 23.000 anni AC e si tratta delle famose Veneri di Villendorf, presenti in Europa, poi similari anche nella valle dell’INDO, nell’Asia Centrale e nel bacino mediterraneo, quindi diffuse ovunque.

Sono statuette di terra che non hanno piedi; piantate nella terra, nell’atto del loro sorgere: è la nascita dalla Grande Matrice, la terra, di coloro che saranno matrici a loro volta.

Il potere di generare, di nutrire e di popolare il mondo, identifica la donna con la Terra con la quale ha in comune il potere di generare e l’imprevedibilità catastrofica che fa parte del ciclo di momenti evolutivi, concettualmente identificata con la “crudeltà”.

La Terra è femminile, l’origine, il principio dell’umanità: la Grande Dea dalla quale discende ogni cosa.

In greco antico il termine terra è onomatopeico e si traduce con GHE’ (gamma eta epsilon) che ricorda il grido dell’essere vivente al momento del suo venire al mondo.

Occorre osservare che l’uomo ha impiegato millenni prima di capire il rapporto di causa effetto tra un atto compiuto e un particolare evento della sua esistenza, quello della nascita dopo nove mesi o meglio dopo 10 lunazioni.

La donna è al centro e protagonista dell’evento più importante e fondamentale della comunità, quello della nascita.

L’essere femminile rappresentava un mistero agli occhi del maschio in quanto capace, unicamente lei, di generare, misteriosamente, nuove creature.

I cretesi (Plutarco e Platone) parlando del luogo in cui erano nati lo chiamavano “cara terra materna” e non patria.

Allo stesso modo all’epoca della prima colonizzazione i Greci chiamavano “metropolis” la loro città di origine.

La Dea Madre quindi rappresenta la natura in tutti i suoi aspetti positivi (fecondità nei raccolti e fertilità) e negativi (tempeste, siccità…).

La maggior parte di questi simulacri della madre venivano posti nel sottosuolo, ove le correnti terrestri maggiormente si propagano, si pensi alle Vergini Nere, le madonne dal volto scuro venerati in terra d’oriente.

La dea era associata al ciclo lunare e per analogia ai cicli rigenerativi delle fasi lunari: la morte era vista come un momento necessario alla rigenerazione della vita.

La sepoltura rappresentava il ritorno al grembo materno dal quale erano stati generati.

La grande madre veniva venerata in forma trinitaria (concetto palesemente trasposto nel cristianesimo) di donna fanciulla, gravida e anziana; tre dimensioni che si identificavano nelle tre fasi lunari mensili: la vera trinità è quindi femminile; impubere (luna crescente); fertile (luna piena) e infeconda (luna calante), poi alcuni giorni di completa assenza per poi ritornare in forma nuova di fanciulla.

Solo intorno al V millennio pare essersi formata l’idea di un culto maschile che s’identifica con la vegetazione.

I riti della nascita e della morte venivano rappresentati con la fedeltà di quello che accadeva in natura e quindi con il sacrificio di un giovane uomo.

La Dea madre generante era eterna e non poteva soccombere al sacrificio; era questo necessariamente un ruolo che spettava al maschio/vegetazione.

Nasce e si sviluppa quindi la prima forma di ierogamia, il matrimonio sacro tra la dea e un giovane dio delle stagioni.

Grande Madre 1

La supremazia femminile non muta nemmeno a seguito della presa di coscienza dell’uomo maschio che senza il suo apporto non poteva avvenire nessuna nascita.

Questo momento di coscienza segna l’inizio di una trattativa sulla necessità del ruolo e della partecipazione del maschio.

E’ solo allora che il “paredro” cioè “colui che ti giace accanto” ottiene salva la vita, non viene più sacrificato ma tuttavia, in segno d’inferiorità, veniva mutilato ad un’anca, con il suo zoppicare manifestava visivamente la sua inferiorità rispetto alla Compagna Dea.

Uno dei più antichi resoconti sul procedere delle società matrilineare è testimoniato dalla mito greco di Edipo, il giovane principe uccide il padre e si congiunge con la madre regina.

Due ipotesi, la prima è che il giovane principe Edipo è figlio carnale del vecchio re e di Giocasta, ipostasi della Grande Dea, la seconda è che Edipo non è geneticamente figlio dei monarchi ma è figlio come tutti i viventi della Grande Madre rappresentata da Giocasta, regina.

Ci supporta questa lettura la filologia della parola parricidium: solamente in epoca classica coincide con l’assassinio del padre biologico, in epoca precedente nelle leggi di Numa Pompilio, si bollava di parricidio l’assassinio di qualunque uomo libero in quanto fratello e figlio della stessa madre terra.

Il passaggio dalla caccia all’agricoltura, conferisce poi un nuovo potere alla donna, quella dell’approvvigionamento del cibo, un tempo prerogativa solo dei maschi.

E’ la donna che, con il suo contatto con la vegetazione entra in contatto con il mondo ultraterreno (la Pizia e la Sibilla Cumana); la conoscenza delle erbe le consente di comunicare con il mondo ultraterreno.

Si stabilisce e si consolida ancora una discendenza materna, si veda Penelope, regina, è la custode della discendenza al trono di Itaca.

Nel mediterraneo questa cultura matrilineare si consolida e continua fino all’età del bronzo caratterizzando anche la cultura minoica sviluppatasi a Creta dal III millennio e terminata intorno al 1500 ac.

Al centro della religione minoica vi era una Dea, la Potnia dal tema pot sum = possum sono potente.

Quando il patriarcato prende piede vi è un’inversione degli ordini e se prima non c’era il concetto dell’esclusività del sesso posto che erano poi le donne a prendersi unicamente cura della prole, ora è necessario instaurare il controllo della paternità.

Ma la cultura matriarcale era così radicata che la discendenza del potere attraverso linea femminile continuò .

In Egitto i faraoni salivano al trono attraverso la linea matrilineare e nelle dinastie più recenti, il sovrano cercò sempre di legittimare se stesso sposando la sorella o la nipote e a volte la figlia.

Anche l’ultimo faraone d’Egitto Tolomeo XIV per poter regnare legittimamente sposò sua sorella di sangue, Cleopatra.

Questa cultura subì un’inversione nel mediterraneo con l’invasione dei DORI, provenienti dall’altopiano del Pamir e saldamente patriarcale.

L’effetto di questo imporsi di nuova cultura si manifestò nella lenta operazione di relegazione delle divinità femminili nel mondo della notte, nel buio e preposte al culto della morte e dei morti, acquisendo un ruolo solo apparentemente secondario.

Nella mitologia greca ritroviamo le Moire, le Erinni, le Furie, le Arpie, le Chere.

Una delle immagini più spettacolari delle Chere è descritta da Omero durante lo scontro tra Ettore e Achille; Zeus pesa la Chere (il destino) dei due eroi su una bilancia, alla presenza di tutti gli Dei per sapere quale dei due dovrà perire.

Il piatto con la Chere d’Ettore scende verso l’Ade e Apollo il dio solare lo abbandona.

Omero ci fa intuire che le Chere esercitavano sulla vita e sulla morte, un potere che era superiore a quello degli stessi dei e che la decisione era inappellabile.

La dea non fu più l’unica divinità pur conservando la sua regalità.

A lei doveva unirsi un uomo non necessariamente nobile che diventava re e governava.

Il passo successivo dalla sovranità alla deificazione è breve, nasce Zeus re d’Olimpo in un nuovo mondo che si contrappone volutamente a quello delle dee, creature della notte e del buio.

Al diritto femminile materno si contrappone quello maschile paterno in un periodo temporale che parte dai poemi omerici fino all’epoca letteraria.

Accanto a Proserpina, signora dei morti, figlia di Demetra-Cibele, una delle ipostasi della grande madre, si pone un Dio maschile che rapisce Proserpina per portarla nel regno dei morti ma in realtà è Proserpina che continua a comandare regolando con la sua ascesa alla terra l’alternarsi delle stagioni inverno e primavera, nascita e morte.

Il mondo dei poemi omerici si presenta una realtà sociale politica e militare in cui queste visioni di vita convivono distinte e riconoscibili; risalgono al IX secolo a.C. ma parlano di fatti precedenti di almeno cinque secoli.

Ricordiamo in questi la presentazione di Ulisse Odisseo e del suo aspetto; zoppicante perché storpio all’anca, non è altro che il retaggio di un paredro sopravvissuto; basti pensare ai suoi incontri con Circe e con Calipso, che non sono altro che ipostasi della Dea Madre che il poema omerico cerca di combinare con la nuova visione patriarcale della società dei Dori.

Atene, il punto di riferimento di tutta la cultura classica è sotto la protezione di una dea Pallade Atena, ma essa non solo è vergine, è nata dalla mente di Zeus, personifica la mente intelligenza divina del Dio maschio sovrano degli uomini e degli dei ma e questo è il punto, essa è senza madre, chiara contrapposizione del mondo che precedeva.

Il passo letterario in cui i due mondi si confrontano e finalmente si armonizzano è costituito dall’ultimo episodio delle Eumenidi di Eschilo rappresentata in Atene nelle grandi dionisiache del 458 a.C.

La terza tragedia della trilogia prende il nome dalle Erinni, dee che impersonano la vendetta, le quali erano chiamate anche Eumenidi (ossia “le benevole”) quando erano in atteggiamento positivo. In questa terza parte dell’Orestea viene narrata la persecuzione delle Erinni nei confronti di Oreste, che culmina nella celebrazione di un processo presso il tribunale dell’Areopago.

Oreste ha ucciso la madre per vendicare l’assassinio del padre Agamennone.

Tale giudizio, che vede le Erinni stesse come accusatrici, Apollo come difensore e Atena a presiedere la giuria, termina con l’assoluzione di Oreste, grazie al voto di Atena, che vota a suo favore perché non ha madre.

Nel medio oriente la rottura con la religione femminile avviene traumaticamente nel 632 dc con la presa di Medina da parte di Maometto che pone fine alle guerre tribali e inaugura il grande monoteismo islamico, contestualmente alla presa di Medina Maometto si reca nei templi e distrugge fisicamente, di qui l’iconoclastia, tutte le statue femminili delle Dee nere presenti nei templi e adorate fino a quel momento.

Non è casuale se la discendenza nel popolo ebreo venga determinata in linea femminile e non maschile.

Di simili processi di trasformazione culturali antropologici anche il nostro ordine ne porta traccia, pur identificandosi come un culto solare, la Massoneria riserva un ruolo alla figura femminile.

Peraltro la conservazione simbolica del ruolo femminile, legata alla luna, alla sua mutevolezza delle forme, secondo quella logica trinitaria della fanciulla, della madre e della vecchia, si manifesta nella sua forma rappresentativa più ancestrale.

 

Ho detto

 

F:. C:.

 

28 Gennaio 2016 e.v.

 


1 Comment for this entry

  • Marina Piano

    Un argomento a me caro quello della Dea Madre, colei che governa ancora la mia terra! L’Antica Terra di Sardegna, l’archeologa lituana Marija Gibutas, ne “Il linguaggio della Dea” descrive abilmente come la Dea Madre venisse adorata Nell ‘Antica Europa promo delle varie ondate Kurgan circa 8000 anni fa, e come durante il neolitico appunto la cultura dominante fosse mutuale, uomini e donne collaborato ero reciprocamente per il benessere della comunità, per produrre beni comuni, nenia accumulare si utilizzava ciò che era necessario, la teoria della trasformazione culturale di Riane Eisler riportata ne “Il Calice e la Spada” afferma che periodicamente l’ordine delle cose muta, chissà se è arrivato il tempo di recuperare la mutualità, dove non hanno senso le quote rosa o celesti o gialle o del colore che vi pare, e dove si lavora insieme per co-costruire il bene relazionale, il bene comune.
    Mi piacerebbe esserci questa volta

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