Lo Stemma della Repubblica (lo “Stellone”) disegnato da un massone

inserito il 02 06 2015, nella categoria Fatti e personaggi, Storia

STEMMA REP 1

Inutile negare che in Italia ci sia ancora un forte pregiudizio nei confronti della Massoneria, che pur essendo “matrigna” di quasi tutte le moderne costituzioni democratiche dell’Occidente, in Italia viene assurdamente accusata di essere un potere occulto ed antidemocratico. Accuse che solo l’ignoranza storica e la sistematica disinformazione possono sostenere.

La maggioranza degli italiani ignora infatti il contributo che la Massoneria italiana ha dato ai contenuti della Costituzione Repubblicana ed alla sua simbologia. Un oblio storico tutt’altro che casuale, perpetuato con costanza dal dopoguerra ad oggi dai blocchi ideologici che in tutti questi anni hanno dominato la scena politica italiana – cattolici da una parte, sinistra comunista e post comunista dall’altra – entrambi pregiudizialmente ostili alla Massoneria.

Molti furono infatti i massoni impegnati nella Costituente, uno fra tutti il reggiano Meuccio Ruini, presidente della Commissione cui spettò il compito di redigere il testo definitivo della “Carta” fondante della Repubblica Italiana.

Ma fu un altro massone, di origine piemontese e di religione valdese, ad offrire un contributo ancora più “vistoso” al giovane Stato democratico e repubblicano sorto dalle rovine della guerra. Fu infatti l’artista Paolo Paschetto, l’autore dello stemma della Repubblica Italiana – il famoso “Stellone” – che compare spesso sulla bandiera ed in tutte le sedi pubbliche italiane, oltre che nella maggior parte dei documenti ufficiali che accompagnano la vita di ogni cittadino.

paschetto-ritratto

Paschetto, nato a Torre Pelice, capoluogo delle valli valdesi, enclave del protestantesimo italiano, il 12 Febbraio 1885 (passato all’Oriente Eterno il 9 Marzo 1963, a Torino),  vinse infatti il concorso bandito nel 1946 dal governo De Gasperi, che nominò un’apposita commissione presieduta da Ivanoe Bonomi, nella quale erano presenti anche due costituenti, tra i quali il comunista Enrico Minio, e fra gli altri lo scultore Duilio Cambellotti (va detto, buon amico dello stesso Paschetto).

Ci vollero due anni, e sostanzialmente non uno, ma due concorsi – per scegliere lo stemma definitivo della Repubblica.

Ai concorrenti, che furono complessivamente più di 400, vennero fornite poche, ma sostanziali indicazioni: esclusione rigorosa dei simboli di partito, inserimento della stella d’Italia, riecheggiare il senso della terra e della tradizione dei comuni. Il premio previsto per i primi cinque classificati era di 10.000 lire.

La stella a cinque punte non fu dunque una voluta citazione della simbologia massonica (il Pentalfa) da parte del “libero muratore” Paschetto, come erroneamente si crede, ma un preciso dettato del bando redatto dalla Commissione Bonomi, la quale, per altro, si rifaceva ad un conclamato patrimonio iconografico della storia italiana. La Stella, infatti, aveva sempre avuto un ruolo centrale nella simbologia della nazione: splendeva in molte insegne del Risorgimento e fino al 1890 si trovò al centro dello stemma del nuovo Regno Unitario. Ed anche nei primissimi momenti del nuovo Stato Repubblicano la Stella era già stata adottata come emblema della prima onorificenza della ricostruzione: la Stella della Solidarietà italiana.

Un altro elemento iconografico fondamentale dello stemma della Repubblica, sarebbe stata la “Ruota Dentata d’Acciaio” su cui doveva risplendere la Stella a cinque punte. La Ruota Dentata, come ingranaggio forgiato dall’uomo, doveva simboleggiare il primo articolo della Carta Costituzionale: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

STEMMA rep 2Al bando della Commissione Bonomi risposero ben 341 artisti, che presentarono 637 bozzetti in bianco e nero. Ai cinque vincitori, fra cui Paschetto, venne imposta la preparazione di nuovi bozzetti con l’inserimento di un’ulteriore simbologia imposta dalla Commissione: “una cinta turrita in forma di corona, circondata da fronde della flora tipica nazionale, con in basso la rappresentazione del mare, ed in alto la Stella d’Italia dorata, ed infine un cartiglio con le parole “Unità” e “Libertà”.

Il bozzetto di Paolo Paschetto risultò vincitore. L’artista fu così incaricato, con un’ulteriore dotazione di 50.000 lire, di passare al disegno definitivo da trasmettere al Governo per l’approvazione definitiva. Nel frattempo – siamo nel 1947 – l’opera vincitrice e quelle degli altri finalisti furono esposte in una mostra pubblica, in via Margutta.

Il riscontro del pubblico, e di alcuni esponenti del Governo, non fu però positivo (ci fu anche chi definì la corona turrita dell’Italia “una tinozza”). Si decise così di bandire un secondo concorso, molto pubblicizzato anche attraverso la radio. Vennero presentati in questo caso altri 197 bozzetti, ad opera di 96 artisti.

Anche questa volta risultò comunque vincitore Paolo Paschetto. Il suo elaborato fu quindi sottoposto all’esame dell’Assemblea Costituente, dove, non senza un’accesa discussione, fu approvato nella seduta del 31 Gennaio 1948, mentre la sua adozione definitiva come emblema della Repubblica fu ufficializzata alcuno mesi dopo, per la precisione il 5 Maggio 1948, con il decreto legislativo numero 535 firmato dal Presidente della Repubblica Enrico De Nicola.

All’epoca Paolo Paschetto (allora 63enne) era già un artista conosciuto ed affermato. Aveva già ottenuto in passato importanti incarichi pubblici al Campidoglio, al Ministero degli Interni ed a Piazza Colonna. Si era inoltre distinto per le decorazioni murarie ed i disegni delle vetrate del Tempio Valdese di Roma, ed in altri palazzi privati della capitale. Era stato anche il principale collaboratore artistico della ditta “Nazareno Gabrielli” alla quale aveva fornito, fin dagli Anni Trenta, i disegni per la decorazione degli oggetti in cuoio per i quali l’azienda italiana era divenuta famosa in tutto il mondo. Inoltre fra il 1921 ed il 1845 lo stesso Paschetto aveva disegnato diverse serie di francobolli, come tornerà a fare nel 1962 (un anno prima di morire) con la sua famosa “rondine” della prima emissione italiana di posta aerea.

la rondine

Anche post-mortem (avvenuta nel 1963) un disegno di Paolo Paschetto entrò a far parte di un importante stemma religioso: quello dell’ADI, le Assemblee di Dio in Italia, adottato nel 1969.

ADI

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ALDO MOLA SVELA I “RETROSCENA”

Sui retroscena del concorso che portò la Repubblica Italiana a dotarsi dello stemma disegnato dall’artista massone Paolo Paschetto, ha scritto una serie di annotazioni lo storico Aldo Mola (Il Domenicale, 06.05.2006):

Stringi stringi – afferma A.Mola – la decisione fu questa: metterci dentro di tutto, basta che non fosse la Croce o anche solo un campanile, qualcosa, insomma, che, sia pur vagamente, ricordasse la Chiesa. È questa, in sintesi, la storia buffa dello stemma della repubblica italiana. Eppure il bozzetto finale, approvato il 24 marzo 1948, reca l’approvazione del democristiano Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei ministri”… “Chiamato a esprimere il proprio parere sullo stemma, l’Ufficio Araldico della presidenza del Consiglio, vale a dire un organo di chi lo stava approvando, tagliò corto. Osservò che inizialmente i rami dovevano essere di quercia (simbolo della legge) e di alloro (emblema della vittoria). Già nella scheda per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 la repubblica era stata simboleggiata da un faccino femmineo, turrito e circondato da rami di quercia. All’ultimo momento, però, nello stemma l’alloro fu sostituito con l’ulivo. «Si ritiene doveroso segnalare – scrisse il conte Mario Tosi, cancelliere della Consulta Araldica – che la corona di quercia e di alloro ha significato di gloria eterna, mentre la corona di ulivo e di quercia potrebbe avere il significato funerario di pace eterna». Da toccarsi…”

… “Il 5 novembre la commissione bandì il concorso e, in nome della libertà creativa, stabilì quali dovevano essere le figure del puzzle repubblicano. Entro il 25 dello stesso mese gli «artisti italiani» erano chiamati a partorire proposte, evitando simboli di partito e ispirandosi all’unità, alla concordia e all’amore della Patria. Dovevano introdurre la «stella d’Italia», escludere personificazioni allegoriche e lasciarsi condurre dal senso «della terra e dei comuni». Concorsero in 346 con 637 disegni. Uno sfracello di mediocrità. Berretti frigi, bilance, vanghe, femmine in ogni posa, inclusa una a cavallo con tanto di berretto frigio, motti latini, fiaccole e, come da bando, tante stelle. Alcuni concorrenti proposero la stella a cinque punte (di Savoia? d’Italia? militare? pentalfa massonico?) sovrapposta alla ruota dentata, noto simbolo del Rotary internazionale. Furono tutti esclusi dai venticinque “artisti” che il 29 novembre 1946 vennero selezionati come fosse una finale di miss Italia. Il 2 dicembre la commissione tornò a riunirsi. «Dopo accurato vaglio», in sole due ore individuò cinque possibili aspiranti alla vittoria”…

… “Per il comunista Umberto Terracini, presidente dell’assemblea costituente, l’importante era che ci fosse la repubblica. Quanto al simbolo andava bene uno qualunque: «Quando ci saremo abituati a vederlo riprodotto, finirà con l’apparirci caro». De Gasperi, invece, rimaneva perplesso. Lo stemma di uno Stato ne sintetizza la storia, l’essenza”…

… “A carta costituzionale promulgata, il 21 gennaio 1948, vale a dire un anno dopo l’esposizione dei… mostri, venne bandito un secondo concorso. Per radio. Affluirono 197 disegni di 96 artisti. Roba da asilo infantile. Il 28 gennaio 1948 la nuova commissione scelse all’unanimità un bozzetto. Caso strano, era proprio del Paschetto già vincitore del primo concorso. Il 6 febbraio il consigliere delegato di una grande industria segnalò che «se un allievo di una scuola industriale presentasse un disegno analogo sarebbe senz’altro bocciato». Tuttavia De Gasperi approvò. Così il 5 maggio 1948 la repubblica ebbe lo stemma vigente”…

… “Va detto, peraltro, che Paolo Paschetto (1885-1963) non arrivava dal deserto. Aveva amici fidati nella prima commissione. Di confessione valdese, autore di affreschi nella sala del ministro della Pubblica istruzione e delle vetrate del tempio valdese a Roma, è da ricordare anche perché Benito Mussolini ne pubblicò alcune incisioni nel proprio libello anticlericale “Hus il veridico“, ora ristampato da Arktos di Carmagnola. A quel tempo Mussolini faceva il libero pensatore, l’ateo dichiarato e l’anticlericale, e il valdese Paschetto gli dava corda. L’importante era sparare a zero contro la Chiesa di Roma”…

… “Paschetto, o chi per lui, valeva comunque più di chi ne approvò il bozzetto. Possibile che De Gasperi non abbia capito che, a differenza dello scudo sabaudo, lo stemma della repubblica svanirebbe nel bianco del Tricolore? Possibile non abbia percepito che quell’accozzaglia di simboli possono certo accontentare alcuni, ma che, stella a parte, non comunicano nulla?”…

… “È una curiosa faccenda che fa il paio con l’“inno d’Italia”, tuttora e sempre provvisorio, attribuito a Goffredo Mameli, ma in verità composto dal padre scolopio Atanasio Canata. Nata male, la repubblica ha per norma il provvisorio”.

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