IL SENSO DEL MARTIRIO

Il martirio si è evoluto di pari passo con la storia dell’umanità e come abbia assunto connotati differenti a seconda dell’epoca storica, della società e della religione di appartenenza del martire. In che rapporto si pongono Martirio e Tolleranza? Si può Tollerare l'Intollerante?

inserito il 04 04 2015, nella categoria Etica, Religione, Società, Storia, Tavole dei Fratelli

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Tavola del fr:. E:. D:.

Il martirio è sempre stato un elemento fondante di tutte le religioni e dei miti pagani, ma anche della storia laica. La storia dell’umanità è legata a doppio filo alla storia di persone che hanno scelto di sacrificarsi in nome di un ideale più elevato, basti pensare al mito di Prometeo che, per donare il fuoco agli uomini, venne punito da Zeus che gli fece squarciare il petto e mangiare il fegato tutte le notti da un’aquila. Nella religione ebraica l’esempio più famoso è sicuramente quello dei X martiri, 10 rabbini condannati a morte dall’imperatore Adriano per espiare la colpa dei 10 fratelli elencati nella Torah, che avrebbero venduto il fratello minore Giuseppe come schiavo.

E’ con l’avvento del cristianesimo (e in particolare del cattolicesimo) che però il martirio diventa quasi una norma, un passo necessario per elevarsi ad un livello superiore, tant’è che venne creato un martirologio, un vero e proprio testo liturgico con l’indicazione del martire e del martirio subito. E’ curioso notare come il simbolo del martire cristiano sia la palma, albero che rimanda (guarda caso) all’oriente, cioè alla terra dove maggiormente si trova questo albero slanciato e vigoroso con possenti pennacchi di foglie disposti a raggio come quelli del sole (luce).

Il suo significato è quello della vittoria, dell’ascesa, della rinascita e dell’immortalità: il termine greco che identifica la palma è difatti “phoinix”, cioè fenice. La domenica precedente a quella di Pasqua è chiamata “Domenica delle Palme” e si ricorda l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Questo simbolo già presente fin dall’epoca paleocristiana è legato a un passo dei Salmi, dove si enuncia che come fiorirà la palma così farà il giusto: la palma infatti produce un’infiorescenza quando sembra ormai morta, così come i martiri hanno la loro ricompensa in paradiso.

Il martirio assume un aspetto differente nella religione islamica; finora abbiamo potuto vedere come il martire sia un individuo al quale sono state cagionate sofferenze e morte. Nell’ Islam i ruoli si ribaltano ed è il martire stesso a cagionare il tormento. Il termine usato nella lingua araba è “Shahīd”, il cui significato letterale è Testimone della fede, cioè colui che accetta di morire in nome della propria fede. Ecco che quindi, secondo alcune letture del Corano, chi commette stragi in nome di Allah, viene considerato un testimone di fede e quindi un martire.

Anche la storia laica moderna è densa di martiri, o quantomeno persone riconosciute come tali dalla comunità di appartenenza o da parte di essa. Uno degli esempi più famosi è sicuramente quello di Sacco e Vanzetti, anarchici Italiani condannati a morte negli USA per un reato che non avevano commesso, sulla base di un processo indiziario.

A loro sono stati dedicati film, canzoni, la loro memoria è stata riabilitata e sono ben presenti nella memoria collettiva del nostro paese.

In Italia purtroppo la lista dei martiri vittime del terrorismo rosso e nero è lunghissima; spesso l’unica colpa delle vittime era l’appartenenza politica (e purtroppo notiamo come un tratto comune sia stato anche l’impunità degli assassini). Fortunamente la memoria di queste vittime viene tramandata di generazione in generazione e si può quindi affermare che, sebbene non codificato, sia stato creato anche una sorta di martirologio laico, la cui tradizione viene tramandata di generazione in generazione.

Il martirio, sia di natura religiosa che laica, si trova quindi ad avere una fortissima valenza: quella dell’identificazione di una comunità. Ad ognuno sarà sicuramente capitato di identificarsi con una vittima di ingiustizia o soprusi, e di avere un pensiero per queste persone; E’ incredibile come la natura umana porti ad un reale avvicinamento tra le persone solamente nei momenti di dolore, mentre i momenti di gioia di alcuni vengono visti con invidia da parte dei più.

Il massone al contrario, mostra tutta la sua gioia all’ingesso di un nuovo fratello tramite la triplice batteria, e gioisce insieme al nuovo iniziato. La gioia del massone è una gioia incondizionata, senza secondi fini; l’ingresso di un nuovo fratello porta difatti sempre più mattoni per la costruzione del tempio.

Abbiamo visto quindi come il martirio si sia evoluto di pari passo con la storia dell’umanità e come abbia assunto connotati differenti a seconda dell’epoca storica e della società di appartenenza del martire; ma come può tradurre il martirio dal punto di vista Massonico?

La risposta può essere trovata nel nome della nostra R:.L:. intitolata a Giordano Bruno.

Il martire massone dovrebbe essere chiunque è morto o è stato sottoposto a privazioni e sofferenze per il semplice fatto di voler professare liberamente le proprie idee, qualsiasi esse siano.

Ma il martirio può essere davvero il concetto più sublime di tolleranza?

Il concetto di tolleranza è un concetto relativamente recente, sorto durante il periodo illuminista; l’opera simbolo è il “Trattato sulla Tolleranza” di Voltaire. Con quest’opera Voltaire cerca di trovare nuove risposte ad un mondo dominato dalla tortura, dalla violenza e da scismi religiosi finiti quasi sempre in modo sanguinoso. Il concetto che esprime è che “La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie. È questa la prima legge naturale: il principio a fondamento di tutti i diritti umani”.

Lo stesso Voltaire, anch’esso membro della Fratellanza Universale, si è pero’ rivelato essere misogeno e razzista, ancora prima che il concetto di razza venisse definito, nonché anticattolico ed antiebraico.

Ad una prima analisi ciò sembrerebbe non essere decisamente in linea con la scritta presente nel gabinetto di riflessione: “Se tieni alle distinzioni umane, vattene”.

Contestualizzando il periodo storico possiamo notare pero’ come il pensiero razzista, fosse l’unico pensiero dell’epoca: anche tra le grandi menti infatti, il pensiero predominante era quello di ritenere le razze non caucasiche come inferiori. Non possiamo dunque condannare questo nostro fratello del passato per idee che all’epoca erano perfettamente comuni, ma occorre partire dai suoi ideali per comprendere come si è evoluto il concetto di tolleranza da allora e fino ai giorni nostri.

Nel XXI secolo il concetto di tolleranza (o del suo contrario, l’intolleranza) viene usato spesso e volentieri a sproposito. Ritengo che tolleranza debba essere l’unione di una giusta interazione tra le leggi degli uomini e l’amore per il prossimo; occorre sempre avere impresso nella mente il trinomio “Libertà, Fratellanza, Uguaglianza”, parole cardini per tutti i fratelli. Purtroppo però, spesso il concetto di tolleranza rischia di essere soggiogato da uno dei due opposti estremismi dalla stessa generati: il buonismo e l’obbligo della sopportazione.

La Tolleranza buonista è la sublimazione del diritto di sbagliare, è il genitore che, seguendo una visione distorta dell’amore, lascia fare al figlio tutto ciò che vuole. Ampliando la visione, nella società attuale lo stato è il genitore e i cittadini sono i figli.  

Il buonismo può arrivare ad individuare in motivazioni di carattere socio culturale l’origine di comportamenti asociali se non addirittura criminali: nel nome della tolleranza buonista si arriva sempre più spesso a casi estremi, come giustificare le occupazioni abusive, giustificare che si distruggano vetrine e auto, o perfino che si aggrediscano (e non solo verbalmente) i tutori dell’ordine. Come se non bastasse, il buonismo può arrivare ad alimentare un vivo senso di colpa, affermando che se c’è chi si comporta in tal modo, ciò è a causa della società in cui siamo costretti a vivere. Si implora comprensione per le scelleratezze, mitezza delle pene, se non addirittura perdono perfino per i casi reiterati. Da questo genere di tolleranza, in modo particolare tra chi ne beneficia, può nascere l’anarchia.

Praticare la tolleranza, a mio parere, non significa tollerare l’ingiustizia sociale, né rinunciare alle proprie convinzioni.

Si può quindi tollerare l’intollerante?

La religione Cattolica ci dà la risposta tramite l’istituto del perdono. Lo stesso Gesù ha perdonato i suoi persecutori ed assassini; ma la visione massonica può forse essere la stessa?

In ottica massonica la tolleranza è la base sulla quale costruire una società giusta, proprio come lo è teoricamente la democrazia, anzi, di quest’ultima ne dovrebbe essere la fonte.

Dobbiamo prendere atto che la tolleranza e la democrazia possono sopravvivere solo nelle società in cui siano condivise e applicate da tutti o dalla stragrande maggioranza.  

Chi è contrario, come detto, non meriterebbe tolleranza e ciò paradossalmente proprio nel nome della tolleranza stessa! La storia ci insegna che l’uomo non nasce tollerante: ricordandosi delle sue origini animali, sin da piccolo lotta per un pezzo di pane in più strappandolo, se necessario, anche dalla bocca del fratello minore.

Il concetto di tolleranza, concetto tipicamente umano, che ci differenzia dagli esseri non senzienti, i quali, per loro stessa natura non possono essere tolleranti, pena l’estinzione della specie, deve perciò essere insegnato già dalla più tenera età, sia dalle istituzioni che dalla famiglia, spesso vera educatrice dei più giovani.

Anche il massone ha l’impegno di riportare questi concetti ormai spesso dimenticati non solo nell’ambito del tempio e dei nostri iniziatici lavori, ma anche e soprattutto nel mondo profano, seguendo un percorso complementare e non sostitutivo delle istituzioni pubbliche, al fine di educare l’uomo ad una buona vita.

 La tolleranza in ambito massonico non deve rappresentare il distacco dal mondo profano, dove al contrario, il massone deve adoperarsi per indirizzare l’evoluzione del mondo verso un traguardo migliore, quanto l’elevarsi dal mondo stesso, basti pensare al tempio. Esso è il luogo dove i 3 concetti cardine della massoneria (Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) raggiungono il loro punto più alto: ognuno è libero di esprimersi, non ci sono differenze tra i presenti e l’appellativo è “Fratello”.

In questo luogo si parte da solide fondamenta (il pavimento e le colonne) e si arriva alla volta stellata, in un ideale percorso verticale che permette al pensiero di elevarsi fino al cielo, non avendo alcuna volta superiore che ne impedisca la libera fluttuazione.

Allo stesso modo del pensiero, il massone non si distacca mai dal mondo, nel quale ha solide radici che provengono dalla vita profana, ma, tramite un percorso iniziatico che ha scelto liberamente di percorrere, intraprende un cammino che gli permetta di emanciparsi interiormente e ricercare e far crescere dentro di se la luce, dono ricevuto al momento dell’iniziazione. In quest’ottica la tolleranza può essere considerata come un tramite per raggiungere un fine superiore.

Il martirio può quindi essere visto come il punto supremo della tolleranza? Io purtroppo non sono riuscito ancora a darmi una risposta (e ho ancora tantissimi altri quesiti in attesa di responso). Sono sicuro pero’ che dentro ognuno di noi c’è una risposta, giusta o sbagliata che sia, e probabilmente, nel corso del nostro cammino, riusciremo a comprendere il martirio interiore della nostra anima.

Ho Detto.

E:. D:.

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