DIECI ICONE BUDDISTE, PER DIECI PICCOLI GRANDI PASSI

Cosa hanno in comune i pellegrini buddisti che salgono i 1840 gradini del monte Mihintale in Sri-Lanka, ed i pellegrini cristiani che affrontano il “Cammino di Compostela”, o i pellegrini mussulmani che si accalcano alla Mecca? E soprattutto cosa hanno tutti costoro in comune con la Massoneria. La risposta la fornisce… un bue!

inserito il 01 10 2013, nella categoria Esoterismo, Filosofia, Tavole dei Fratelli

bUDDA

Tavola del fr:. G:.  P:.

Che cosa porta migliaia di persone, ogni anno, a salire faticosamente 1840 gradini di granito scuro per giungere alla sommità del monte Mihintale, in Sri-Lanka.

Probabilmente si tratta della suggestione e della sacralità di questo luogo remoto, dove  tutti i monumenti ed i resti archeologici rimandano alla leggenda di Mahinda, discepolo di Buddha, che, attorno al 247 a.C., diffuse qui la sua parola ed il suo pensiero.

Il pellegrino che ne affronta la salita viene poi gratificato dagli straordinari resti di un antico refettorio di monaci, dove le pietre conservano ancora incise le regole della vita ascetica.

Sono forse le stesse motivazioni che, nel 2010, hanno mosso 272.000 pellegrini a compiere tutto o in parte il “Cammino di Santiago”, per pregare sulla tomba di Giacomo il Maggiore? Le stesse che inducono i musulmani, almeno una volta nella vita, a compiere il Pellegrinaggio-Precetto alla Mecca?

In tutti i casi è evidente come i praticanti di religioni anche  profondamente distanti tra loro, sono in qualche modo accomunati dal desiderio di percorrere un sentiero, che diventa, simbolicamente, un cammino di miglioramento interiore.

Ciò premesso, vorrei parlare, tra le colonne J e B, di 10 passi di un  percorso che è all’interno della filosofia buddhista e che ha interessato la mia curiosità per le sue caratteristiche di universalità, di tradizione, di amore e, perchè no, di genuina saggezza contadina, senza tempo. Trovo inoltre la sede di questo Tempio estremamente appropriata. Anche la Massoneria infatti, ben lungi dal rappresentare una “religione”, chiede tuttavia ad ogni nuovo fratello che varca per la prima volta le colonne, di promettere solennemente di “percorrere incessantemente la via iniziatica tradizionale per il proprio perfezionamento interiore”.

Torniamo  ora all’aspetto figurativo: nel mondo occidentale, da sempre, generazioni di artisti hanno rappresentato i numerosi misteri e dogmi della religione cristiana: la resurrezione, i miracoli, persino l’immacolata concezione; non meno folto è il catalogo dell’arte buddhista, sfogliando il quale si possono incontrare opere che, a prima vista, sembrerebbero di semplice e persino ingenua fattura: è il caso del monaco Zen Shubun, che, nel XV secolo, ha elaborato un ciclo pittorico apparentemente privo di ogni velleità artistica, ma pervaso di intensi significati simbolici.

Queste antiche “carte di riso” sono custodite presso un monastero di Kyoto, sono note come “LE DIECI ICONE DEL BUE” e si ispirano ad un celebre racconto Zen: molti anni prima un saggio, interrogato su come praticare la ricerca della “buddhità” rispose: “E’ come cercare un bue mentre lo stai cavalcando”. In che modo definire meglio qualcosa che percepiamo come separato, come meta lontana, quando, in realtà fa già parte di noi?

1 

 
La ricerca del bue: questo povero contadino è affranto; possiamo vedere con chiarezza l’intensità del suo sguardo indagatore, volgersi a destra e a sinistra nella disperata ricerca di qualcosa. Anche il territorio gli è ostile: da una parte la foresta, dall’altra acquitrini e risaie; probabilmente il bufalo che cerca con tanta apprensione è forse l’unica cosa di valore che possiede e senza di esso la sua vita è drammaticamente segnata, il futuro è incerto e denso di nubi che certamente non porteranno niente di buono.

Il bue, diffusissimo in Cina, Giappone e India, è ritenuto sacro presso la maggior parte delle civiltà contadine, dove ha sempre costituito un fondamentale elemento della quotidianità; non stupisce quindi la sua utilizzazione iconografica in questo racconto fatto di metafore, proprio per agevolarne la comprensione da parte del maggior numero di utenti che, all’epoca, erano per lo più analfabeti, o di scarsa cultura.

 

2


La scoperta delle tracce: Il nostro contadino continua a cercare, ora però il suo sguardo è più risoluto; nei suoi occhi la disperazione sta lentamente lasciando il passo verso una certa forma di cocciuta determinazione, tipica delle persone che fanno parte di  civiltà agricole, in ogni epoca e sotto qualunque latitudine. L’ambiente della sua ricerca è sempre ostile, anzi, all’orizzonte le nuvole si infittiscono e lui è ormai molto lontano da casa, ma la sua perseveranza viene infine premiata: sul sentiero ci sono tracce inequivocabili, il bufalo fuggiasco è transitato da qui e forse non è lontano…

 

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Appare il bue!: …finalmente, eccolo! All’uomo non pare nemmeno vero che tutti gli  sforzi profusi nella ricerca vengano ricompensati da questo avvistamento. Egli prova un subitaneo moto di orgoglio per il successo conseguito, si congratula con se stesso perchè tutte le deduzioni, tutta l’esperienza profusa nell’indagine e nella ricerca, alla fine  sono risultate vincenti. Ecco allora ritornare le forze e scomparire la fatica, si tratta ora di non perderlo di vista, a costo di scapicollarsi in un inseguimento che può diventare anche pericoloso; forse, pensa, il lavoro che l’aspetta è ancora più gravoso di quanto fatto finora, ma il coraggio ritrovato e la crescente fiducia in se stesso sono un formidabile incentivo.

 

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La cattura del bue: ora viene la parte più laboriosa di tutta l’operazione, soprattutto sotto il profilo fisico, perchè l’animale è imponente, ha la forza di 10 contadini come il nostro, ed è alquanto riottoso a farsi catturare, dopo avere assaporato trepidi momenti di libertà, ma dall’altra parte della tenzone c’è un mandriano temprato dalla vita, che non è stata mai generosa con lui, la sua abilità inoltre è forgiata dall’esperienza ed affinata da una costante pratica quotidiana di ciò che sta facendo: il risultato finale non tarda ad arrivare.

 

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Domare e governare il bue: questa fase, in tutta l’operazione, è la logica e conseguente evoluzione della cattura. E’ chiaro che l’uomo e l’animale ora dovranno convivere, quindi imparare a conoscersi, a rispettarsi reciprocamente, cercando di comprendere le esigenze l’uno dell’altro. Solo così ognuno dei due soggetti può trarre un beneficio reciproco. L’uomo ora ha il viso molto più disteso; è migliorato il suo gradiente di tranquillità e questa sensazione si trasferisce, influenzandolo, anche all’animale, che ora si lascia condurre.

6

 

Il ritorno a casa, in groppa al bue: Quanta armonia e quanta serenità c’è in questa immagine bucolica: il mandriano abbandona addirittura le redini ed intona una dolce musica con il flauto; il bue, d’altra parte, sembra gradire tutto ciò e si dirige verso la stalla quietamente, senza bisogno di guida né di stimoli esterni.

I due soggetti stanno percorrendo il cammino che li porterà ad essere una cosa sola.

 

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Dimenticare il bue: questo è il momento in cui il nostro contadino ha raggiunto la propria umile dimora, il bufalo è nella stalla ed il sole sta tramontando al termine di una dura ma importante e significativa giornata. E’ il momento del ringraziamento, delle riflessioni, della rilassata meditazione e c’è un solo modo di praticarla al meglio: concentrarsi sul distacco progressivo da ogni cosa terrena, lasciare che la propria mente si svuoti di ogni contenuto… fino a…

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Non c’è bue… né mandriano: questa immagine è vuota, come la mente di chi ha praticato correttamente una meditazione buddhista. Dopo sette settimane di raccoglimento ininterrotto, dopo avere attraversato una profonda crisi esistenziale, toccando più volte la disperazione, Siddharta Gautama, in una notte di luna piena del mese di maggio del 530 a. C. era divenuto il “Buddha”, cioè “il risvegliato”: aveva raggiunto l’illuminazione.


9

Il ritorno alla sorgente: l’uomo risvegliato, cioè illuminato, secondo la filosofia buddhista, non ha difficoltà a percorrere qualunque cammino, anche all’indietro, tornando alle proprie radici, alle proprie origini, per maturare la piena consapevolezza della propria essenza.

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Il ritorno al mercato: è l’epilogo della nostra storia: il contadino ha ricevuto il dono dell’illuminazione e quindi si reca al proprio villaggio perchè ora la sua missione è quella di diffondere e trasmettere agli altri questa conoscenza, come atto d’amore universale.

Come è piccolo ed essenziale il suo bagaglio, in confronto a quello del ricco mercante che incontra e quanta serenità c’è nei loro volti durante questo dialogo: chissà se anche il mercante, in un futuro, saprà spogliarsi dei propri beni, percorrere il giusto cammino e giungere all’illuminazione…

 

In conclusione solo poche riflessioni:  nella cultura religiosa e filosofica orientale, la figura del bue viene spesso associata al concetto di “illuminazione”.  Spesso l’uomo è confuso, turbato, afflitto da innumerevoli problemi o distratto da stimoli esterni e non è in grado di scorgere il bue (l’essenza del proprio essere) lungo il sentiero che sta percorrendo.

Ma allora questo animale simbolico è davvero perso?

Secondo la filosofia buddhista, persino quando il nostro animo assomiglia ad un viandante smarrito che si inoltra in un mondo di polvere, avvolto dalle nubi del dubbio, il bue è sempre a portata di mano e, con lui, il pieno raggiungimento della nostra consapevolezza interiore, a patto che ci si ponga in uno stato d’animo vigile e ricettivo, capace di cogliere le tracce che conducono alla meta: noi stessi.

G:. P:.

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Per approfondire leggi anche:

YIN E YANG

LA TAVOLA SMERALDINA, TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

 

 

 

 


   

 


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