MASSONERIA E SPORT

Ci sono valori condivisi fra pratica sportiva e pratica massonica? Alcune discipline sportive sono effettivamente intrise di simbologia massonica (dalle Olimpiadi al baseball). Ma la questione più stimolante di questo confronto è la possibilità di definire il senso di una “prestazione massonica”, ovvero la misurazione degli effettivi risultati raggiunti dell’incessante perfezionamento interiore di ogni Libero Muratore. Quale potrebbe essere la scala di valori di un simile “termometro” massonico?

inserito il 02 10 2012, nella categoria Società, Sport, Tavole dei Fratelli

Tavola del fr:. A:. Mu:.

Massoneria e sport. Può avere un senso ricercare nessi fra questi due mondi apparentemente insolubili l’uno nell’altro? Forse sì, non solo disvelando valori comuni nella storia e nella pratica di varie discipline sportive, ma soprattutto accettando una sfida implicita sul concetto di “prestazione”, ovvero di misurazione della pratica massonica assimilabile a quella della pratica sportiva e viceversa. Ed è quest’ultima che vuole essere la parte più discussa e discutibile di questa ricerca.

Ma cominciamo dalla storia e dai nessi concettuali e filosofici fra sport e massoneria. E’ innegabile che molte pratiche sportive siano contrassegnate da simbolismi esoterici, spesso alchemici, che denunciano lo “zampino” di massoni, o di uomini con ideologie molto vicine alla Massoneria, nella loro nascita o nella codificazione delle loro regole.

E’ il caso ad esempio del baseball codificato con una connotazione assolutamente esoterica e numerologica dal filantropo e libero muratore (nonché vigile del fuoco volontario) Alexander Joy Cartwright Jr (17 Aprile 1820-12 Luglio 1892) e dei suoi fratelli massoni (pompieri volontari anch’essi), che quando misero per iscritto le sue regole sognavano di creare il gioco “giusto e perfetto” per eccellenza.

 

Il campo di gioco fu delineato nella forma pura del diamante, le fasi (inning) della partita furono basate sulla perfezione del numero 3 elevato alla proprietà simbolica del numero 9 (9 inning, 9 giocatori in campo,90 piedila distanza fra le basi), ed anche la definizione dei ruoli dei giocatori ebbe un’ispirazione mistico-pitagorica, con parecchi riferimenti sacrali e magico-simbolici.

Un fratello italiano, Michele Dodde, che è stato ed è un famoso arbitro e studioso di questo sport, ha scolpito in proposito una bella tavole in cui si evidenziano gli insospettabili sottintesi cabalistici e astrologici di una formazione di baseball: “…abbiamo il Lanciatore (1) che è accomunato al Sole ma si manifesta come Volontà, il Ricevitore (2) si identifica alla Luna ma in lui prevale la Scienza, il Prima Base (3) è coinvolgente con la Terra ma si perfeziona con l’Azione, il Seconda Base (4) delinea le qualità di Giove ma fa prevalere la Realizzazione, il Terza Base (5) movimenta la sensibilità di Mercurio ma codifica perentoriamente l’Ispirazione, l’Interbase (6) manifesta la purezza del gesto della Vergine ma soprattutto si qualifica affinché la sua prova sia di Sopravvivenza, l’Esterno sinistro (7) attua la vitalità del Sagittario perché la sua sia una riuscita Vittoria, l’Esterno Centro (8) va a dare continuità e credibilità alla Bilancia con il virtuosismo dell’Equilibrio ed infine l’Esterno Destro (9) a deificare la sua problematica con Nettuno magnificando la filosofia della Prudenza…”.

Anche il golf, pare, deve la sua nascita ed il suo sviluppo alla Massoneria, in questo caso soprattutto a quella scozzese ed in particolare a quella cosiddetta “giacobita” o “stuardista”, legata cioè alla corte di Giacomo I, grande appassionato di questo sport, il re che nel 1603 unì sotto la sua corona il regno di Scozia e quello di Inghilterra. Fu proprio questa componente aristocratica della massoneria – poi imitata anche dalla più ricca borghesia accettata nelle sue logge –  a favorire la diffusione del golf in tutto il Regno Unito e nei suoi domini esteri. D’altro canto allora ci voleva un certo reddito per potersi permettere questo “passatempo” (solo le palle da golf costavano un sacco di soldi, un buon artigiano riusciva a fabbricarne al massimo tre al giorno, pressando in continuazione piume d’oca e di gallina con appositi strumenti, e soprattutto con una grande abilità artigianale per ottenere le misure e la durezza richieste dalla tradizione).

La prima Club House di Gentiluomini Golfisti fu creata nei pressi di Leith nel 1768. Il loro presidente era Lord William St Clair, Gran Maestro della Massoneria Scozzese.

Allora le Logge massoniche erano spesso anche la sede dei vari club golfistici, che spesso si sfidavano fra di loro: chi finiva le gare in meno colpi riceveva una medaglietta d’oro, ed ancora oggi si parla per questo di “gara medal”.

La popolarizzazione del golf si ebbe solo alla fine dell’800 e nei primi anni del ‘900, quando venne scoperta la guttaperca che consentiva di fabbricare palline a macchina ed a costi bassissimi, perfezionate nel 1902 da un tal Coburn Haskell di Akron (Ohio) con l’utilizzo di un sottile filo di caucciù. Ancora oggi, le palline comunemente usate dai giocatori di golf (diventati milioni in tutto il mondo, senza più eccessive distinzioni di classe e di censo) si chiamano “palle Haskell”.

 

Ma dove forse si sublima maggiormente la simbologia esoterica e massonica è proprio nella massima espressione dello sport di tutti i tempi, antichi e moderni: le Olimpiadi.

Limitandoci, per ora, alle Olimpiadi moderne, volute e fatte rinascere dal barone De Coubertin nel 1896, come non individuare nel tedoforo la metafora di Prometeo, dell’uomo che porta e diffondela Luce, in altre parole del massone stesso.

Un altro potente simbolo è quello dei cinque cerchi olimpici e soprattutto dei loro colori; come non vedere in essi una manifesta attinenza alchemica.

Di essenza alchemica è intrisa l’intera ritualità dei Giochi. I quale altro luogo, se non dove arde il sacro braciere olimpico, è possibile assistere, perfino in mondo visione, alla realizzazione della Grande Opera, che se compiuta alla perfezione (con la totale consacrazione fisica e mentale dell’atleta), realizza la trasmutazione del sale (la fatica, il sudore) nell’Oro (della medaglia olimpica) coronato di Alloro. Insomma ogni quattro anni una rigenerazione carbonica (grazie al braciere ed alla fiamma sacra che vi arde) dell’intera umanità.

Non si sa, non so, se De Coubertin fosse massone. Certamente nel movimento olimpico che seppe creare si registrarono molti sostegni ed influenze massoniche. Per lo più determinanti in senso positivo nella diffusione universale dei principi olimpici. Qualche volta invece con connotazioni più criticabili, come l’esclusione delle donne dalla prima edizione dei Giochi moderni ad Atene. Un’esclusione legata sia ad una ricerca di purezza esegetica nel recuperare l’antica tradizione delle prime Olimpiadi (anche allora le donne erano escluse dalle gare), ma probabilmente anche ad una certa resistenza sociale su basi conservatrici all’emancipazione femminile, che la massoneria stessa, continuando a sua volta a bandire le donne dalle proprie logge, stentava a recepire e incoraggiare.

Questo non impedì ad una caparbia donna greca, di umili origini, di sfidare lo stesso De Coubertin e tutto il Comitato Olimpico cercando di partecipare alla Maratona dei primi Giochi di Atene. Naturalmente le fu impedito di gareggiare con gli uomini. Ma lei, conosciuta con il soprannome di Melpomene, il cui vero nome era invece Stamati Revithi, non si dette per vinta, ed il giorno successivo compì da sola lo stesso percorso. Dovette però effettuare il giro finale all’esterno dello Stadio perché le venne nuovamente impedito di entrare nell’arena ufficiale dei Giochi. Nonostante abbia comunque portato a termine la gara (in cinque ore e mezzo), il nome di questa donna coraggiosa non figura tuttora in alcun medagliere olimpico.

E’ anche vero che l’ostracismo alla pratica sportiva delle donne non era così assoluto nella stessa massoneria, come dimostra la campagna condotta proprio in quegli anni (1896) dal fratello Edmondo De Amicis, l’autore del libro “Cuore”, con il suo celebre romanzo “Amore e Ginnastica” in favore dell’attività motoria e dell’insegnamento ginnico nelle scuole, aperto alle donne non solo come allieve ma anche come insegnanti. Un’idea rivoluzionaria, al limite dello scandalo, per quei tempi. Ma alla fine le tesi di De Amicis vinsero le strenue resistenze dei “benpensanti” più conservatori e tradizionalisti. E  più in generale già nella seconda edizione delle Olimpiadi moderne, nel 1900 a Parigi, il veto alla partecipazione delle donne alle gare fu definitivamente superato (non a caso proprio a Parigi, la sede del primo Grande Oriente europeo che – appena l’anno scorso – ha definitivamente ammesso le donne nelle sue logge).

Le Olimpiadi e la loro tradizione sacra, ci riportano comunque al nesso fondamentale fra Massoneria e Sport, e cioè proprio il concetto di “sacralità”.

Da sempre, fin dai primordi (vedi i graffiti rupestri di Lascaux in Francia, risalenti a non meno di 30mila anni fa) una certa attività fisica ha contraddistinto molte cerimonie rituali. Gli studiosi hanno individuato una vera e propria evoluzione antropologica di queste espressioni fisiche-atletiche che accompagnano da millenni lo sviluppo delle società umane. Da esercizi preparatori e propiziatori per la caccia e per la guerra, queste attività fisiche (corsa, lanci, salti, lotta, ecc.) hanno finito per assumere una propria specifica “ritualità”, religiosa prima, più spiccatamente sociale poi (1).

Ma è proprio nell’atavico aspetto sacrale dell’attività fisica (sportiva) che può rintracciarsi un nesso con lo spirito iniziatico della massoneria, considerando quest’ultima l’erede dei più antichi riti misterici dell’umanità, riti ai quali si poteva accedere solo con il superamento di prove iniziatiche che comportavano un certo coraggio e soprattutto una certa vigoria fisica (come ad esempio attraversare a nuoto un fiume, di notte, reggendo una fiaccola accesa e facendo sì che la fiamma non si spegnesse…).

Con il passare del tempo queste prove iniziatiche sono diventate sempre meno “fisiche” e sempre più psicologiche, fino a quelle puramente simboliche (ma non per questo meno incisive) degli attuali riti di ingresso in Massoneria.

Messa in disparte la prestazione fisica, è comunque il momento di chiedersi se ha ragione di sussistere in Massoneria un concetto di “prestazione” spirituale, e come ed in che modo può essere percepita e rilevata.

Ed è qui che la comparazione fra Massoneria e Sport può farsi più intrigante e stimolante. Sempre che sia giusto e “massonicamente corretto” porre la questione in questi termini, analizzando i possibili paralleli fra la vita di un massone e quella di un atleta.

Lo sportivo si allena costantemente per il proprio perfezionamento fisico e mentale.
Il massone è impegnato a lavorare costantemente per il proprio perfezionamento interiore. Almeno è questo che ha promesso in forma solenne sulla Coppa delle Libagioni (metafora del sacro Grall).

Solo che lo sportivo può misurare i suoi progressi in termini di metri, centimetri, secondi…
E il massone come può misurare i suoi progressi? Dal colore dei grembiulini o delle fasce che l’adornano? Alla luce della prassi comune si tratta quasi sempre di una misurazione per così dire “anagrafica”, cioè di anzianità massonica… Mi sembra una misurazione un po’ troppo esteriore…

Ed allora su quali parametri – mi chiedo, vi chiedo – si potrebbero misurare i progressi effettivi di questo “perfezionamento interiore”. Ammesso che sia lecito proporsi una simile misurazione (che potrebbe essere di tipo esclusivamente intimista e personale, così come di tipo più estrinseco, percepibile e confrontabile dalla comunità massonica, e, perché no, anche più ampio).

In che modo – vorrei chiedere  –  potremmo allora misurare gli effetti del lavoro massonico su noi stessi e sulla società?

Insomma come facciamo a sapere se stiamo vincendo, pareggiando o perdendo (massonicamente, intendo)?

Facciamo un esempio: negli Stati Uniti, dove la massoneria è molto più diffusa e influente che in Europa ed in Italia, in molti Stati permane la pena di morte che mi sembra assolutamente contraria ad ogni principio massonico. Si può dire allora che intolleranza batte massoneria americana 2 a 0?

Più volte mi sono sentito ripetere che il progresso sociale è un effetto indotto dal lavoro massonico, ma che non è la sua missione primaria. Missione che riguarda esclusivamente la formazione dell’individuo, retto, giusto, altruista, reso idoneo a preservare e difendere gli ideali di fratellanza, eguaglianza e libertà, che garantiscono appunto la pace e lo sviluppo civile della società.

Insomma la Massoneria plasma gli individui. Tocca poi a loro plasmare, se ci riescono, la società.

Accettiamo pure questo principio. Ma sorge subito un interrogativo “sillogistico”: se la Massoneria è in grado di plasmare individui ponendoli sulla stessa lunghezza d’onda di un idem-sentire e di principi condivisi; perché mai questo idem-sentire non dovrebbe poi sintonizzarsi in un idem-agire, in una identità di percorsi ed obiettivi?

Tornando ai paralleli sportivi, personalmente ho praticato in gioventù lo sport forse più intriso di sentiment massonico che conosco: il rugby. E’ uno sport duro (ma non durissimo, in quanto ben regolato sia da regole scritte che da un etica di gioco non scritta, che riduce ed isola i comportamenti più violenti ed antisportivi… un effetto di queste regole non scritte è ad esempio quella per cui la stessa squadra talvolta lascia volontariamente “scoperto” il proprio giocatore scorretto, perché questo riceva la giusta lezione di buone maniere rugbystiche direttamente dal “corpo docente” degli avversari… ho visto personalmente il capitano di una squadra avversaria prendere a schiaffi un suo giocatore che aveva compiuto un’inutile scorrettezza su uno dei nostri).

Io giocavo nel ruolo di mediano di mischia, una specie di play maker. Ai miei tempi una caratteristica del ruolo era quella di essere il giocatore più mingherlino (a vantaggio dell’agilità) vicino alla mischia, ovvero all’insieme dei giocatori più grossi e potenti della squadra. Ebbene la mischia non è solo un’insieme di muscoli. Per ben funzionare la mischia deve raggiungere il massimo “eggregoro” mentale. Non deve solo spingere, deve “sentire” lo scopo di quella spinta. Ed io, da mediano di mischia, dovevo ”interpretarlo”, decidere insomma in che direzione far proseguire il gioco (passare la palla al mediano di apertura ed ai trequarti), trasformando il pensiero in azione, e possibilmente l’azione in una meta. In un risultato tangibile.

Tutto questo sulla base di un “eggregoro” di squadra che era reso possibile solo da una vera fratellanza di gioco. Lo spirito del Grande Architetto del Rugby sovrastava tutto questo. Le geometrie ideiche del gioco ispiravano le singole azioni. Spesso passavo la palla in un punto dove non avevo nemmeno guardato, ma in cui ero sicuro che si sarebbe trovato un mio compagno, perché lo spirito del gioco avrebbe indotto anche lui a trovarsi proprio lì. Ed accadeva quasi sempre (e non che fosse un dato scontato, perché spesso si trattava di vere e proprie improvvisazioni, fatte apposta per spiazzare l’avversario, improvvisazioni che veniva “magicamente” subito capite e condivise dal resto della squadra).

Solo giocando a rugby ho sperimentato, nella vita profana, la forza della fratellanza e dell’eggregoro che ho sperimentato poi fra le colonne della Loggia (mi si perdoni l’accostamento forse un po’ troppo prosaico).

Nel rugby ho imparato anche un’altra cosa fondamentale (rara negli altri sport): a considerare cioè l’avversario un “partner” della mia stessa prestazione. Eravamo lì, io e lui, per celebrare lo stesso sport ed i suoi valori. Solo nel rugby, infatti, vincitore e vinto, alla fine della partita si celebravano reciprocamente: dapprima il corridoio dei giocatori perdenti applaudiva i vincitori che sfilavano al suo interno. Poi, prima dell’uscita dal campo, erano i giocatori della squadra vincente che si ponevano su due file per salutare ed applaudire (di cuore) gli avversari sconfitti che rientravano così negli spogliatoi con ritrovato orgoglio. Tutti erano consapevoli che il merito della vittoria non aveva alcun senso senza la qualità della prestazione degli sconfitti. Allora non sapevo che questa tradizione era ereditata dagli antichi egizi, che, stando ai più antichi geroglifici, furono i primi ad introdurre l’uso di uniformi e ornamenti di diverso colore per contraddistinguere le squadre in gara, assegnando all’arbitro invece un vestiario di colore neutro; gli antichi egizi che onoravano sia i vinti che i vincitori. Come in alto così in basso… Ermete Trismegisto avrebbe certamente apprezzato il rugby, come penso lo facciano, proprio per questa non casuale affinità di valori, tanti fratelli in Inghilterra,  Francia, in Italia ed in tutti i paesi in cui la pallovale è più giocata.

La mia è forse una visione un po’ troppo ristretta della Massoneria. Mi sembrerebbe però abbastanza importante una misurazione della sua efficacia o inefficacia quanto meno proprio nell’affermazione dei principi che essa propugna maggiormente.

Interroghiamoci intimamente come massoni. Dal momento della nostra iniziazione siamo diventati più buoni, più solidali, più giusti, abbiamo difeso con abbastanza impegno i nostri ideali (ad esempio la laicità dello stato), insomma a che punto è il nostro “perfezionamento interiore”, ed in cosa si riflette?

Un buon parametro ce lo offre ad esempio il fratello Jeremy Bentham (Londra 1746-1832), filosofo e giurista, principale esponente dell’Utilitarismo, che con imbarazzante semplicità ci invita a misurare quanto bene aggiungiamo al prossimo e quante afflizioni gli sottraiamo (2)…

Mi sembra un buon invito a riflettere, ed a cercare anche di essere più concreti nel nostro impegno.

Sarebbe bello inventare un “termometro” per misurare la temperatura massonica di noi stessi, della loggia, dell’ambiente in cui viviamo, un termometro che può anche chiamarsi coscienza. E’ lì, nella coscienza di ciascuno di noi, che sta la vera risposta su quanto siamo realmente diventati massoni. O stiamo tentando di diventarlo.

Si dice che i passi rituali con cui si entra in loggia rappresentino la predisposizione, e la batteria rappresenti la realizzazione. Ciò che si è, e ciò che si dovrebbe diventare. Forse proprio ascoltando la differenza fra il rumore di quei passi e quello del nostro battito di mani, possiamo cogliere la “quantità” di decibel (massonici) che dobbiamo ancora recuperare. Anche questa potrebbe essere un’unità di misura.

Ma ce ne possono essere sicuramente molte altre, definibili proprio dalle idee che potrebbero scaturire dalla discussione all’interno della nostra loggia, sempre che questa ritenga utile discuterne.

La Loggia non può certo trasformarsi in un Bar Sport, ma la domanda di fondo resta sempre quella: come massoni in gara con la squadra della virtù contro i vizi profondi, stiamo vincendo? Pareggiando? O, ahimè, subendo una dura sconfitta?

Ho detto

A:. M:.

2 Ottobre 2006 EV

 

 

 

Note

(1) – Evolvendosi queste manifestazioni “proto-sportive” hanno finito per sovrapporre all’aspetto sacrale quello più propriamente agonistico, soprattutto in Occidente dove hanno prevalso le espressioni sportive più legate alla muscolarità ed alla resistenza (doti essenzialmente guerriere), mentre in Oriente si è sviluppata maggiormente una “filosofia” o disciplina “sportiva” più legata agli aspetti medici-spirituali-ginnici. Questo anche all’interno di “arti marziali”, come il kung fu o il karatè, che hanno sempre previsto un controllo psichico e soprattutto morale della forza.

Ogni civiltà ha avuto i propri “sport” caratterizzanti: il tiro con l’arco e con la fionda per gli Ebrei, che però si dilettavano soprattutto a sollevare pesanti macigni (“gioco della pietra di paragone”). Gli Egiziani già al tempo dei Faraoni accorrevano in massa a gare di lotta, ginnastica, pugilato, canottaggio, pesca, atletica e vari altri giochi con la palla (stando ai geroglifi egiziani pare risalga proprio a loro l’usanza di distinguere le squadre con uniformi di diverso colore, e l’eventuale arbitro della gara con un abbigliamento neutro. In Grecia, dove furono inventate le Olimpiadi (secondo la leggenda ad opera di Ercole che invitò a partecipare alla prima edizione anche gli dei Apollo e Marte), andavano per la maggiore corsa, salto in lungo, lotta, pugilato, lancio del giavellotto, lancio del disco, corse di carri da guerra, pentathlon…

Anche a Roma, come nell’Ellade, si esaltava la forza e la competizione fisica. Fin dalla fondazione della Città Eterna all’interno di varie feste religiose venivano celebrati “ludi” (termine derivato dall’etrusco) nei quali si sfidavano i giovani membri dell’aristocrazia romana. Ma la sacralità dell’evento sportivo fu a lungo andare sostituita da aspetti più popolari e spettacolari, divenendo essenzialmente un semplice intrattenimento collettivo, in cui prevalevano le manifestazioni più violente, come il “pancrazio”, una sorta di pugilato molto cruento (i guantoni avevano liste di ferro) spesso fatale. La stessa logica che decretò anche il successo dei giochi gladiatori. Nell’antica Cina infine l’attività sportiva

(2) – Bentham, come buon filosofo utilitarista, era portatore di grandi sogni, ma credeva anche nel minimalismo, ovvero nel progresso creato dalla forza delle piccole azioni quotidiane. Lo dimostra lo scritto che segue, una semplice ricetta della “felicità quotidiana”

 La Felicità

 Crea tutta la felicità che sei in grado di creare.

Elimina tutta l’infelicità che sei in grado di eliminare.

Ogni giorno ti darà l’occasione, ti inviterà ad aggiungere qualcosa ai piaceri altrui, o a diminuire qualcosa delle loro sofferenze.

E per ogni granello di gioia che seminerai nel petto di un altro, ti troverai un raccolto nel tuo petto, mentre ogni dispiacere che toglierai dai pensieri e sentimenti di un’altra creatura sarà sostituito da meravigliosa pace e gioia nel santuario della tua anima.

 

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