20 Giugno 1859: Perugia, una strage vaticana

inserito il 20 09 2011, nella categoria Fatti e personaggi, Storia

Gli ultimi Papi – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – hanno chiesto più volte scusa per pagine buie del passato della Chiesa, e purtroppo anche del presente, come per i reiterati casi di pedofilia fra membri del clero in vari paesi del mondo. Ma non c’è stato ancora un pentimento ufficiale per una feroce strage, compiuta a Perugia da truppe vaticane, in tempi relativamente recenti, vale a dire appena due anni prima dell’Unità d’Italia che celebrerà nel 2011 il suo 150simo anniversario (e magari questa potrebbe essere l’occasione più adatta per un meaculpa della Chiesa nei confronti dei perugini).

La strage in questione – con il massacro indiscriminato anche di anziani, donne e bambini – si svolse il 20 Giugno 1959, quando un esercito di circa 2mila mercenari papalini, in gran parte svizzeri, travolsero le difese della città umbra che pochi giorni prima aveva cacciato il rappresentante pontificio monsignor Luigi Giordani ed aveva offerto il proprio governo a Vittorio Emanuele.

Penetrata in città la soldataglia papalina si diede ad un brutale saccheggio ed all’uccisione di tutti quanti incontrava sul suo cammino. Nelle violenze fu coinvolta anche una famiglia americana, la famiglia Perkins. Si creò così anche un increscioso incidente diplomatico fra il papato e gli Stati Uniti, dove la strage di Perugia ebbe vasta eco sulla stampa, provocando una forte indignazione verso il Vaticano da parte dell’opinione pubblica.

Scrisse infatti il New York Times: “Le truppe infuriate parevano aver ripudiato ogni legge e irrompevano a volontà in tutte le case, commettendo omicidi scioccanti e altre barbarità sugli ospiti indifesi, uomini donne e bambini”. Lo stesso ambasciatore americano Stockton relazionò così al suo governo “Una soldatesca brutale e mercenaria fu sguinzagliata contro gli abitanti che non facevano resistenza; quando fu finito quel poco di resistenza che era stata fatta, persone inermi e indifese, senza riguardo a età o sesso, furono, violando l’uso delle nazioni civili, fucilate a sangue freddo”.

Ancor più drammatica la testimonianza dello storico Pasquale Villari: “Furono saccheggiate trenta case, nelle quali — per confessione dello stesso Schmidt (il comandante delle truppe papaline, ndr) — fu fatto massacro delle stesse donne; furono invasi un monastero, due chiese, un ospedale e un conservatorio di orfane, nel quale sotto gli occhi delle maestre e delle compagne due giovanette furono contaminate. Alle immanità dei saccheggiatori seguirono, come legittimo corollario, il Governo statario bandito a Perugia dallo Schmidt, le onorificenze largite a lui ed ai suoi satelliti dal pontefice e i solenni e pomposi funerali indetti, dal card. vescovo Pecci (divenuto Papa Leone XIII – ndr) con la iscrizione satanicamente provocatrice messa sul catafalco: Beati mortui qui in Domino moriuntur … “.

Ma perché, ci si domanda, tanta violenza da parte del Papato nella repressione della rivolta perugina? La risposta va ricercata nella difficile situazione politica che si era creata in seguito alla Seconda Guerra di Indipendenza (alla quale avevano partecipato anche 800 giovani volontari perugini) che di fatto aveva già configurato uno stato nazionale sabaudo, stato che ormai incombeva anche sui territori del papato, territori che Pio IX non era evidentemente rassegnato a perdere. Il timore che la ribellione di Perugia potesse innescare altri moti di liberazione dal potere temporale del Papato, aveva indotto lo stesso Pio IX a raccomandare la massima “decisione” nell’azione militare contro i rivoltosi. Alla partenza da Roma, il comandante del corpo di spedizione vaticano Schmidt aveva infatti ricevuto istruzioni segrete, firmate dal Cavalier Luigi Mazio, Uditore generale militare del Papa, che recitavano così : “II sottoscritto Commissario Sostituto Ministro dà incarico a V. E. di ricuperare le Provincie alla Santità di N. S. sedotte da pochi faziosi, ed è perciò che Le raccomanda rigore perché servir deve di esempio alle altre, e com. si potranno tenerele lontane alla rivoluzione. Dò inoltre facoltà a V. S. di poter fare decapitare i rivoltati che si ritrovassero nelle case, non che risparmiare la spesa al Governo, e fare ricadere, tanto il vitto che la spesa della presente spedizione alla Provincia stessa. Firmato Il Sostituto del Ministero C.L. Mazio”. In questo ordine – che il governo Vaticano tentò in seguito di smentire – era già pianificata la sanguinosa repressione della città, che si oppose comunque coraggiosamente al più numeroso esercito papalino (2mila attaccanti contro un migliaio di volontari male armati) pur sapendo che si sarebbe trattato di una difesa disperata, senza poter contare in alcun soccorso esterno, tanto meno dal Piemonte (Cavour aveva le mani legate per un preciso accordo con il re francese di non intervento nelle terre del regno pontificio).
A mitigare la violenza della Chiesa fu il comportamento dell’abate del monastero di San Pietro, Placido Acquacotta, che nascose ed aiutò numerosi civili in fuga dalle baionette dei mercenati svizzeri del Papa.
Nei contemporanei restò comunque un senso di forte incongruenza fra l’immagine di Pio IX e la strage perpetuata a Perugia dalle sue truppe. Il poeta Giosuè Carducci scrisse su questi fatti un famoso sonetto “Per le stragi di Perugia” nel quale sottolineò appunto il tradimento dell’insegnamento di Cristo da parte di chi si arrogava il ruolo di rappresentarlo su questa terra.
Perugia è stata comunque decorata con la medaglia d’oro, ed è iscritta fra le 27 città “martiri e benemerite del Risorgimento Nazionale”.
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La Tiara e il Grifone

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