STORIA DI PALAZZO GIUSTINIANI 1908-1988. Sommario

inserito il 20 06 2011, nella categoria Palazzo Giustiniani, Storia

 

LA MASSONERIA
DI PALAZZO GIUSTINIANI
DAL 1908 AGLI ANNI OTTANTA

(prima e dopo la vicenda della P2)

 A cura di Gian Carlo Musi 32:.

 

SOMMARIO

 

Premessa – Note

Capitolo primo: La Massoneria italiana si spezza in due tronconi

Capitolo secondo: Politica e Massoneria

Capitolo terzo: L’esempio della Francia

Capitolo quarto: Il Palazzo e la sua forza

Capitolo quinto: Gli Archivi dispersi e distrutti

 Capitolo sesto: Paura della Massoneria

Capitolo settimo: Dalla scissione alla Prima Guerra Mondiale

Capitolo ottavo: Il Fascismo: la Massoneria smembrata

 Capitolo nono: Dal 1945 alla P2

Note

Appendice ed allegati.

PREMESSA

 

Il primo saluto dell’America a chi vi giunge dal lontano Vecchio Mondo è dato da un monumento, solenne ed imponente, che raffigura una dea, una donna, che tiene alta una fiaccola. Quel gigante di marmo che domina dal punto più avanzato il porto di New York, primo impatto visivo col Nuovo Mondo anche per chi giunge dal cielo, è la “Statua della Libertà”. Il suo ideatore ed artefice, lo scultore francese Auguste Bertholdì (1), la chiamò e la concepì “… la Libertà che illumina il mondo”.

Ai critici che gli rimproveravano di non aver realizzato un’opera d’arte – quanto siano attendibili i critici non è qui opportuno indagare – soleva rispondere sorridendo che quella statua non era un’opera d’arte, ma un simbolo.

Di simboli Bertholdì, che era convinto ed attivo massone, se ne intendeva.

E spiegava che quella fiaccola, tenuta alta verso il cielo, rappresentava la “Luce” che gli uomini inconsciamente cercano per divenire migliori. Che la Luce significa Verità e Conoscenza, da cui discendono Amore e Fratellanza. La Luce della Verità può essere innalzata solo dalla Libertà.

Analoghi concetti, che non sono affatto astratti, parlando di quella statua che diceva la “mia”, esprimeva anche il più famoso e rimpianto sindaco di New York, il massone Fiorello La Guardia. Durante un banchetto della comunità italo-americana, alla quale apparteneva, esaltò quella statua come il simbolo della “fratellanza dei popoli” e della “fratellanza fra gli uomini”.

Il monumento alla “Libertà” – la Libertà è il primo cardine del trinomio massonico – tiene alta la fiaccola dal 1886 e purtroppo, ad un secolo di distanza, gli ideali di Bartholdì e di Fiorello La Guardia, non hanno trovato piena realizzazione. I popoli rimangono nemici; gli uomini non si sentono ancora fratelli; i fratelli sono talvolta, fra loro in disaccordo.

Qui, sottolineando il termine fratelli, si intende che si parla di massoni, dei Fratelli Liberti Muratori.

Per giungere alla conclusione, purtroppo nota, che i Fratelli, specie in Italia, sono divisi e spesso in disaccordo, qualcuno potrebbe obiettare che non era necessario prenderla così alla lontana, fin dall’America.

Una giustificazione a questa premessa può esservi. Guardando alle spalle di quella grande statua, spaziando su quell’enorme continente, troviamo la Massoneria più forte e compatta che il mondo vanti. Eppure anche i fratelli massoni americani sono divisi in tante Obbedienze, appartenenti a tante autonome Gran Logge quanti sono gli Stati dell’Unione e si differenziano per i molteplici Riti che osservano.

Pur tuttavia sono monoliticamente uniti per il solo fatto di essere Massoni, figli della Luce, strumenti attivi della Massoneria Universale che ha per fine ultimo il bene ed il perfezionamento dell’Umanità.

La premessa vuol quindi essere l’auspicio che la face della statua di Bertholdì giunga a rischiarare anche in fratelli del Vecchio Mondo ed in particolare quelli italiani.

Molto spesso nei discorsi dei massoni ricorrono espressioni così fatte: “… è un fratello dell’altra sponda…”, o più spesso, “… si tratta di un cugino…”, indicando un legame di parentela meno saldo e stretto di quello della fratellanza. Si parla di Ordine legato ad un’Obbedienza in contrapposizione ad un’altra, di Riti che sono molteplici, di Famiglie che sono diverse.

Il non-massone non sa raccapezzarsi, il giovane massone è sovente turbato e disorientato. A quest’ultimo giunge in soccorso il Maestro, il massone più anziano, che gli spiega che la Massoneria è universale e mira al perfezionamento dell’uomo, cosicchè da un’umanità migliorata si giunga all’età di Saturno.

Quella è la meta, ma la perfezioni è irraggiungibile. In diversa misura ciascuno la può però accostare e ad essa ciascuno può avvicinarsi secondo la sua personale sensibilità, cultura, formazione ed estrazione.

Non può esserci quindi una strada maestra, ma tanti sentieri che puntano alla stessa meta. Ciascuno s’inerpica per il sentiero che gli può apparire più agevole, più congeniale alle sue forze. Questi sentieri potrebbero essere, ad esempio, i Riti; le strade da cui si dipartono i sentieri: le Obbedienze, e il discorso in questa chiave potrebbe continuare.

Il giovane massone è forse meno disorientato.

Ma il non-massone?

Il concetto, se il paragone non parrà irriverente, gli risulterà più chiaro se ci consente di richiamarci alla Chiesa ove i termini Ordine, Obbedienza, Rito, Famiglia (2), sono normali e ricorrenti.

Anche la Chiesa ha più Riti; in Italia coesistono all’Obbedienza di un Pontefice di Rito Romano, il Rito Ambrosiano e quello Greco-Ortodosso che pure ha varie sfumature e pur riconoscendo il Pontefice preferisce appoggiarsi ad un Patriarca o talvolta ad un Archiatra o Archimandita.

Ecclesiastiche Obbedienze diverse. I Riti si diversificano per la forma liturgica e peculiarità che talvolta potrebbero far sorridere (il Carnevale Ambrosiano dura tre giorni più di quello Romano, e mentre a Roma o Bologna ci si cosparge di ceneri, a Milano si lanciano coriandoli). Niente vieta ad un cardinale ambrosiano, vedi Montini, di divenire Pontefice Romano.

L’Ordine: ve ne sono tanti, maschili e femminili con abiti diversi, così come diversa è la loro sfera operativa. Elencarli tutti è impossibile: sono tanti. Barnabiti, Gesuiti, Certosini, Domenicani, Francescani, eccetera, ed è noto, storicamente, che molti fra loro sono in dissidio se non fieramente avversi. Tendono tutti, comunque, per diverse vie, alla salvezza dell’uomo.

Ancora più variegata è la gamma dei cristiani che non si dicono cattolici: Luterani, Calvinisti, Metodisti, Valdesi, eccetera.

Sfumature nelle interpretazioni dei testi sacri, nella celebrazione dei loro riti, li differenziano, e tutti, rispettosamente, sono accumunati con il termine di Protestanti o Riformisti.

Nessuno scandalo dunque se nella Chiesa o nelle Chiese sussistono più Riti, Ordini, Obbedienze; sconcerto e scandalo invece se ciò si scopre nella Massoneria.

Con il nostro non irriverente paragone si è tentato di dimostrare che non hanno ragione di essere. Questa la scusante della lunga premessa. Che poi profonda possa essere fra i massoni l’amarezza perché fra Riti, Obbedienze e Famiglie sussistano talvolta discordie e divergenze, è questione che ci accingiamo ad esaminare.

Note della Premessa

(1)   – Auguste Bartholdì. Nato a Colmar nel 1834, morto a Parigi nel 1904. Studiò pittura ed architettura a Parigi, ma si dedicò principalmente alla scultura, che per la sua formazione di architetto doveva tendere soprattutto al monumentale. Fu a fianco di Garibaldi nella guerra del 1870. Fra le tante sue opere, tutte di ispirazione epica, tese all’esaltazione del patriottismo, vanno ricordate anche il grande monumento al massone La Fayette, sempre a New York, e la grande fontana di Washington (v. Enciclopedia Treccani).

(2)   – La Massoneria si divide in Riti più o meno diversi uno dall’altro, ma tutti conducenti l’Uomo alla stessa meta: la Perfezione. Si chiama “Obbedienza” una federazione di logge, che è pure chiamata “Potenza Massonica”. Si chiama “Grande Loggia” una federazione di logge che lavorano con lo stesso Rito, e “Grande Oriente”, la federazione che raggruppa diversi Riti. I principali Riti oggi osservati in Italia sono: il Rito Scozzese Antico ed Accettato, il Rito Simbolico Italiano, il Rito dell’Arco Reale, il Rito di Memphis-Misraim, il Rito Scozzese Rettificato, il Rito Misto Internazionale Diritto Umano (da Dizionario Massonico di C.M. Aceti – Ed. “Il Basilisco”, Genova 1981, pag. 44).

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Capitolo I

LA MASSONERIA ITALIANA SI SPEZZA IN DUE TRONCONI

24 Giugno 1908: solstizio d’estate, la festa più bella e più gioiosa per i massoni. Festa sacrale perché esalta, nel più puro spirito iniziatico, la loro ritualità. Presso l’ara del Tempio si accende il fuoco che incendia la pergamena sulla quale ciascun fratello ha scritto il proprio nome. Ardono così, simbolicamente, gli affanni di un anno trascorso e attraverso il fuoco purificatore, in armonia con la natura che si rinnova, si rinasce a nuova vita. E’ la tradizione druidica, che risale a millenni e che ancora, con i più svariati significati, ma sempre augurali, tutti i popoli nordici fanno rivivere nella Notte di San Giovanni, la “notte dei fuochi”.

I massoni, dopo il simbolico falò, dopo essersi allacciati nella catena d’unione che rinnova il loro patto d’amore, si riuniscono attorno alle tavole per la rituale agape fraterna, per sancire in letizia la forza di questo solidale impegno.

Festa dunque nel nome di quel San Giovanni, cui il giorno è dedicato, che vede la prima pagina del suo Vangelo aperta, sotto la squadra ed il compasso, sulle are di tutti i Templi massonici. Quella pagina invita gli uomini a cercare la Luce.

Non fu felice il solstizio d’estate del 1908: in quella data la Massoneria italiana, una delle Comunioni fra le più forti in Europa, si spaccò in due.

C’è chi scrive che quel giorno i Liberi Muratori italiani precipitarono nel più grave e durevole scisma della loro storia (1) e che in quella data non Giovanni il Santo, ma un altro Giovanni, Giolitti, venne celebrato. Questo lo vedremo poi. Parlare di scisma è forse esagerato; della gravità dell’episodio no di certo.

Ad oltre settant’anni da quel giorno la scissione permane e durante questi settant’anni la massoneria italiana ha subito travagli notevoli. Molti in conseguenza di quell’evento, i più determinati dalle vicissitudini storiche del Paese.

Ma torniamo a quel solstizio, a quel giorno di San Giovanni, quando l’allora Luogotenente del Rito S..A..A.., Saverio Fera, seguito da 21 fratelli insigniti del 33° grado, membri effettivi del Grande Oriente e da due alti rappresentanti di Camere Rituali, abbandona la vecchia Casa massonica e si trasferisce nella nuova sede di via Ulpiana ove fonda una Gran Loggia, una nuova massoneria che deve rifarsi alle vere fonti della Tradizione, che egli reputa tradita e svisata. Nasce con quell’atto ed in quel giorno la Massoneria di Piazza del Gesù. Sono 24 i fratelli che le danno vita; saranno in breve migliaia. Tremenda l’emorragia per Palazzo Giustiniani, dal quale il Gran Maestro Ettore Ferrari, ed il Sovrano Gran Commendatore Achille Balboni, rimasti il primo con una Giunta dell’Ordine, il secondo con un Supremo Consiglio falcidiati, vedono uscire Logge intere, Camere Rituali al completo, che si pongono all’Obbedienza della nuova Grande Loggia.

Sulla vicenda le polemiche, allora accesissime, non sono spente. Tutt’oggi montagne di documenti attestano questa diatriba, ma una cosa va subito detta: che il gesto di Fera non fu un colpo di testa, un atto di avventurosa prepotenza. Il gesto di Fera ha sancito una situazione che si era determinata irreversibilmente; ha salvato ciò che era salvabile nella Massoneria italiana ed indirettamente ha giovato anche al troncone massonico giustinianeo che dopo il primo scossone si è accorto dei propri errori ed ha tentato di rientrare nell’alveo della tradizione massonica.

Saverio Fera era di indole persona mite, era un “pastore evangelico” e per formazione mentale e spirituale era quindi più portato alla concordia che a fomentare discordia. Si era anzi adoperato per sanare i contrasti, aveva persino tentato un compromesso. Quale fu la ragione contingente del contrasto?

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Nella foto: Saverio Fera, uno dei principali protagonisti della scissione massonica.

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Capitolo II

POLITICA E MASSONERIA

Nel Febbraio 1908 venne discussa alla Camera una mozione presentata dal deputato della sinistra, il massone Bissolati, che chiedeva l’abolizione dell’insegnamento religioso nelle scuole, proposto invece dai clericali e moderati.

Il dibattito fu accesso, la discussione aspra ed alla fine la mozione Bissolati venne respinta con 347 voti contrari. A favore ne aveva raccolti appena 60.

Immediate furono le implicazioni nel Grande Oriente. I massoni alla Camera erano più di un centinaio. A tutti il Gran Maestro Ferrari aveva scritto personalmente perché appoggiassero quella mozione. In particolare si era raccomandato con il ministro della pubblica istruzione, Luigi Rava, anch’egli massone. Lo smacco fu grande: soltanto 17 fratelli si erano schierati con Bissolati. Rimproverando ai deputati massoni di aver tradito gli ideali del Risorgimento, di avere favorito una rivincita clericale, ma soprattutto la disobbedienza ad un ordine che aveva impartito, minacciò dapprima di espellerli dall’Ordine, poi propose una severa mozione di censura. A questa si opposero in un primo momento lo stesso Sovrano Gr. Comm. Balboni, fermamente e decisamente il suo Luogotenente Fera, rivendicando la libertà di coscienza dei massoni nelle questioni che non toccano l’Ordine.

Si sprecarono in quei giorni le “Balaustre”, tese da un lato a richiamare i principi dell’Ordine massonico, dall’altro ad invocare l’esigenza di una disciplina che non sempre appariva di ispirazione massonica.

Il contrasto divenne sempre più aspro finchè il Fera, vista l’impossibilità di trovare un compromesso, dopo essersi trasferito in via Ulpiana, l’8 Luglio, indirizza un decreto a tutte le Logge e Camere Rituali in cui dichiara irregolari il Grande Oriente e il Supremo Consiglio di Palazzo Giustiniani.

Il G.M. Ferrari, a sua volta, radia dall’Ordine il Fera e i fratelli di alto grado che lo hanno seguito.

La scissione che ormai di fatto esiste, è così storicamente sancita. Queste che abbiamo indicato sono le cause occasionali che la hanno determinata. Quelle vere stanno più a monte e sono certo più profonde.

Qualcuno (1) vi ravvisa una manifestazione dell’eterna antitesi tra l’Ordine ed il Rito; in ultima analisi un conflitto fra “speculativi” ed “operativi”.

Ma non è così, o, perlomeno non soltanto questo (2).

Coloro che hanno lasciato Palazzo Giustiniani lo hanno fatto per salvare la Massoneria dagli inquinamenti della politica.

Quest’ultima, con i suoi mali, vi aveva fatto capolino ormai da tempo. Più che all’esoterismo, nelle logge si mirava ad un operativismo da trasferire nel mondo profano. E ciò in chiave di politica di sinistra. Gli interventi, sollecitati e diretti dalla Gran Maestranza – si è vista la pressione sui deputati massoni in occasione della vicenda Bissolati – sono numerosi. Anche singoli episodi lo rivelano, come ad esempio la domanda di iniziazione dell’industriale dei cappelli G.Battista Borsalino, presentata ad una loggia alessandrina, respinta soltanto perché il postulante era “esponente della classe padronale”, o peggio scontri fisici a Genova fra fratelli di una loggia frequentata massonicamente da operai ed una loggia castrense, di soli militari.

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Nella foto: il parlamentare, socialista e massone, Leonida Bissolati che firmò la proposta di legge per l’abolizione dell’insegnamento della religione nelle scuole italiane.

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Capitolo III

L’ESEMPIO DELLA FRANCIA

Ma l’esempio veniva dalla Francia. Tutto ciò che accadeva oltralpe, ai primi scorci del secolo pareva da imitare. Come la moda, ciò che finalmente si ammirava, giungeva naturalmente tardi. E quando ciò che a Parigi era stato dismesso, qui cominciava a furoreggiare, qualcuno, ma era una Cassandra, ammoniva di non ripetere esperimenti che avevano sortito risultati amari. Niente da fare: l’esempio doveva comunque essere imitato. Si dice questo perché le identiche cause che avevano portato alla scissione la massoneria italiana, appena pochi anni prima avevano provocato gravi fratture nella florida massoneria francese. L’esempio non era servito.

Nel 1902 il massone Emile Combes diviene presidente del governo francese (1). Non è il primo massone giunto all’Eliseo. Ma egli vi giunge con una carica riformatrice di sinistra ed un anticlericalismo, lui che aveva compiuto gli studi in seminario, quanto mai accesi. Ottiene subito ciò che Bissolati sognava. Decreta nel 1904 il divieto dell’insegnamento religioso in tutte le scuole, anche in quelle tenute da monaci e non. Si serve perfino dell’esercito per cacciare i religiosi dai conventi. In Francia la Massoneria, quella ufficiale, appare ed ama definirsi “Libera Muratoria Sociale”. Si staccano frange sempre più consistenti di fratelli che al “sociale” preferiscono il “simbolismo iniziatico”.

Non occorrerà molto tempo perché al Grande Oriente di Francia si affianchi e si contrapponga “La Gran Loggia Nazionale della Francia e delle Colonie”, mentre prosperano e si diffondono altri indipendenti ordini massonici.

Il richiamo alle passate vicende della massoneria francese che avrebbe dovuto insegnare qualcosa – mostrandoci che tutti i mali non sono soltanto italiani – ci conferma quanto danno sappia apportare la politica.

Palazzo Giustiniani ha spesso insistito su quella strada. Salvatore Spadaro, 33, profondo conoscitore di cose e vicende massoniche, scrive (1): “Palazzo Giustiniani è nettamente anticlericale, professa un panteismo razionalista di vecchia maniera ed ha accentuate simpatie per i partiti di estrema sinistra”.

Queste simpatie gli hanno determinato pericolose infiltrazioni; l’antico prurito di poter gestire la politica lo ha condotto allo scandalo della P2.

Vedremo come, poiché tracciando pur sommariamente la storia della massoneria giustinianea, a questo necessariamente dovremo giungere.

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Nell’illustrazione Emile Combes, presidente massone della Repubblica Francese

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Capitolo IV

IL PALAZZO E LA SUA FORZA 

Osserviamolo quindi da vicino, il Palazzo, ed entriamoci.

E’ la sede, dal 1898, dell’Antica, Unita, Massoneria Italiana.

“Modesta nel suo allestimento e decorazione”, dice il Gran Maestro Ernesto Nathan (1), e non pecca di immodestia.

Il Palazzo, antica dimora patrizia della Roma papale, e che si appoggia sul retro di Palazzo Madama, sede del Senato della Repubblica, ha il suo fronte sulla suggestiva e solenne piazza del Pantheon. Ma per accedere alla Casa massonica non si entra dalla piazza, ma dalla adiacente stradina, via Giustiniani, al numero 5. Nel palazzo hanno sede, al pianterreno, bar, negozi ed uffici. L’ingresso posteriore della sede massonica è comune a quello della Lega Navale. Niente di denigratorio in questo, bensì una visione realistica che fa contrasto con l’immagine solenne di sedi massoniche americane o quella della massoneria inglese (2), edifici monumentali che esaltano da soli l’Istituzione. Altrettanto può dirsi per la sede parigina della massoneria francese. Ma questa è forse questione di vanagloria. Torniamo al Palazzo, anzi “nel” Palazzo, che venne affittato nel Dicembre del 1898, per la durata di 9 anni, al canone di 12.000 lire annui (cifra per quei tempi notevolissima), ed acquisito in proprietà, verso la scadenza del contratto, dalla Immobiliare Urbs, una immobiliare costituita da fratelli variamente quotatisi.

Acquisito il palazzo, i locali vennero rinnovati, ampliati, dando spazio ai Templi, simbolici e rituali, ad uffici di rappresentanza, ad una sala per conferenze; tanto che il giornale “La Patria”, facendo la cronaca dell’inaugurazione, il 21 Aprile 1901, data del Natale di Roma, celebrato nell’orazione ufficiale, scrisse: “La nuova sede è splendida per gli ambienti come per l’addobbo”.

Amare saranno in seguito le vicende del Palazzo. Verrà confiscato dallo Stato, in esecuzione delle leggi fasciste contro la Massoneria. Alla fine della seconda guerra mondiale la Massoneria rivendicherà lo stabile, ma la causa non ancora risolta, si protrarrà per decenni. Il nuovo Stato non più fascista , ma democratico, nella particolare vicenda più che altro “democristiano”, non riconosce come controparte la Massoneria. Ma i soci della Urbs, dove sono finiti? Tanti nell’Oriente eterno. Tanti dei sottoscrittori erano anche fratelli confluiti nella Massoneria di Piazza del Gesù.

La questione è certo intricata, ma non irrisolvibile. Già sarebbe conclusa, se non vi fosse nello Stato, o meglio nei suoi reggitori democristiani, quell’innato, connaturato, spirito antirisorgimentale e quindi antimassonico, che non perdona appunto alla Massoneria di aver determinato il Risorgimento. Tale dolente tasto purtroppo dovrà riaffiorare nel corso di questa esposizione e per ora lo accantoniamo, così come le lodi de “La Patria” alla nuova sede giustinianea. Erano certo esagerate, visto che gli stessi massoni del Palazzo hanno ritenuto, per dotarsi di una “sede di vera rappresentanza”, degna di tal nome, opportuno acquisire, nel 1980, tramite una nuova società immobiliare, la veramente prestigiosa Villa Medici del Vascello, monumento romano caro alle memorie garibaldine.

Lo sforzo, perché di notevole sforzo economico si è trattato, è stato certamente quello di offrire un’immagine di potenza della massoneria italiana. Il desiderio giustinianeo di rappresentare la massoneria italiana. E’ coinciso, tristemente, con l’esplosione dello scandalo P2.

Nessuno dubita che il Palazzo, nei suoi schedari, raccogliesse il maggior numero di fratelli. Non poteva essere diversamente.

Quando Fera si allontanò per dare vita alla Massoneria di Piazza del Gesù, lo seguirono 23 fratelli, tutti alti dignitari del Rito. Li seguirono tanti altri, ma fu il Rito che abbandonò l’antica Casa massonica per riproporre altrove i principi della Massoneria. L’Ordine, cioè la base della piramide massonica, quella che comprende i primi tre gradi, rimase nel Palazzo. Molte Logge seguirono, dopo l’esodo delle Camere Rituali, il Fera, ma in maggior numero, sia pure disorientate, rimasero con il Gran Maestro Ferrari. All’Obbedienza del Palazzo era anche il Rito Simbolico, quella vasta fascia di fratelli che non intendono accedere ai gradi superiori perché considerano completato il lavoro muratorio al terzo grado di Maestro.

Orbene questa schiera di fratelli dell’Ordine (per i quali venne poi proposto anche il Rito Scozzese Rettificato) e del Rito Simbolico costituivano un’indubbia maggioranza sui “Feriani”.

Oggi sono le cifre contano: tentiamo perciò di darne qualcuna.

Spadaro (3), in uno specchio dello sviluppo del Rito Scozzese Regolare, cioè della Massoneria di Piazza del Gesù, ci dice che questa, nel 1908, anno della scissione, comprendeva 14 Logge con 1.000 Fratelli, che nell’anno successivo sono diventati 3.000 in 55 Logge, 4.000 nel 1911 in 80 Logge, 30mila nel 1923 in 500 Logge. Poi le leggi fasciste e l’inesorabile declino dovuto alla persecuzione.

Orbene, se torniamo al Palazzo, in quel lontano Natale di Roma, nel giorno della solenne inaugurazione, quando la Massoneria era ancora unita, leggiamo nelle cronache che erano presenti 62 labari delle “170 Logge italiane”.

Frughiamo in altri documenti e sempre troviamo non più indicato il numero dei Fratelli, bensì solo quello delle Logge.

Diviene un rompicapo tentare di mettervi ordine e corriamo con i tempi, soffermandoci al Palazzo per leggere in un altro atto ufficiale, la relazione della Gran Loggia Nazionale del Grande Oriente d’Italia, tenutasi a Roma il 6 e 7 Dicembre 1958 (4) sotto la presidenza del Gran Maestro Umberto Cipollone, che “… il presidente della Commissione per la Verifica dei Poteri, riferisce che n° 314 Logge costituiscono in piedilista generale, e quelle presenti in regola, e come tali abilitate all’esercizio del voto, sono risultate n° 137. Il Gran Maestro legge quindi…”.

L’anno successivo le 314 Logge diventano 350 come si legge nella relazione del Gran Maestro al Consiglio dell’Ordine nella tornata del 5 Luglio 1959 ed inviata per circolare a tutte le Officine (5).

Arriviamo ai giorni nostri e troviamo sui giornali che il nuovo Gran Maestro della Massoneria di Palazzo Giustiniani, Armando Corona, è stato eletto da 289 Maestri Venerabili sui 500 presenti alla Gran Loggia (6).

Ogni Venerabile rappresenta un’Officina. Alcune, pare, a quell’elezione furono assenti.

La Commissione d’Inchiesta per la Loggia P2, quando deve indicare la consistenza dei massoni in Italia così si esprime: “…da 20 a 25mila i Giustinianei, dai 10 ai 15mila quelli di Piazza del Gesù; 5 o 6mila gli altri sparsi nelle varie famiglie”.

Anche i grandi inquisitori restano nel vago, offrendo cifre approssimative, così come noi anziché indicare numeri precisi abbiamo parlato di Logge: tante un anno, tante altre l’anno successivo….

Si sa che una Loggia conta da un minimo di sette Fratelli ad una massimo di una settantina. Il fatto abnorme di una Loggia, la P2, con un piedilista di 900 iscritti, o addirittura, come qualcuno vorrebbe, di 2.000, è, per ogni vero massone, inconcepibile. Non è Massoneria.

Questa incertezza sui dati, che qui si confessa, pare dia ragione ai nemici dell’Istituzione che possono ben dire: “Ecco come la Massoneria si nasconde, si trincera, dietro i suoi impenetrabili segreti”.

Niente di tutto questo: tale scarsa chiarezza, che turba anzitutto i massoni, è la dolorosa conseguenza delle tante vicende tristi che la Massoneria ha sofferto dal giorno della sua scissione ad oggi.

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Capitolo V

GLI ARCHIVI DISPERSI E DISTRUTTI

 

In Italia non esistono archivi della Massoneria dai quali trarre documenti che traccino linearmente ed ininterottamente la sua storia. Le singole Case Massoniche hanno sì i loro singoli archivi, ma in ciascuno vi sono vuoti che lasciano nel buio vari e lunghi periodi. Il fatto lo si riscontra anche esaminando la bibliografia massonica, ricchissima per quanto attiene ad opere di esoterismo, per il loro contenuto ostiche ai più, di difficile lettura anche per molti massoni, ricche di monografiue storiche, talune di pignolesca precisione, ma che vanno fino al Settecento.

Quando si affrontano le vicende del secolo scorso la messe delle informazioni comincia a farsi più scarsa,  i testi più rari; pochi, da contarsi sulle dita, sono gli studi che riguardano il secolo presente. Si intuisce una ricostruzione faticosa, fatta a mosaico, talvolta anche confusa. Questo non avviene se si vuole approfondire la storia massonica di qualunque altro paese: la documentazione è precisa, completa, esauriente. Esistono addirittura musei nazionali, specificatamente massonici, che la illustrano.

I massoni italiani non hanno mai occultato le loro vicende; sarebbero al contrario ben felici che si conoscessero appieno perché tante hanno determinato a fare l’Italia unita, perché tanti protagonisti di questa epopea, e quasi tutti i più prestigiosi uomini che in ogni campo hanno illustrato l’Italia, sono massoni.

I massoni ne trarrebbero ulteriore legittimo motivo d’orgoglio. La storiografia ufficiale ignora sistematicamente e volutamente la Massoneria  (1), e d’altronde archivi massonici completi non esistono più. Sono stati distrutti nel corso delle persecuzioni subite dai Fratelli, durante la devastazione dei Templi; ciò che ne è rimasto, è andato disperso in mille rivoli. La dispersione è avvenuta per l’opera generosa, talvolta coraggiosa di Fratelli che hanno tentato di salvare qualcosa fra le carte delle loro Logge. Si sono così sparse in mille canali diversi, nascoste in mille ripostigli, l’uno sconosciuto all’altro, carte preziose. Inesorabile il tempo ha condotto all’Oriente Eterno tanti di quei fratelli; gli eredi molto spesso si sono trovati dinanzi a materiale di cui non hanno afferrato il valore e che hanno giudicato imbarazzante. E la distruzione è continuata.

Le fratture e le scissioni della Famiglia Massonica hanno poi fatto sì che ciascuno volesse tenere per sé, gelosamente, quanto custodiva. La storia riappare a frammenti: troviamo così, su riviste, monografie, precise documentazioni di una Loggia, di un Oriente, quello di Salerno, ad esempio, o un carteggio che, sempre per citare un esempio, descrive e chiarisce ampiamente un momento importante della Loggia di Trieste. Tutte tessere di un mosaico che si deve pazientemente ricostruire.

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Nella foto: una rara immagine di Garibaldi con clamide e insegne massoniche.

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Capitolo VI

PAURA DELLA MASSONERIA

Ma vi è di più. Una ricostruzione della storia massonica, con il riconoscimento dell’oro che in essa vi splende ed anche dell’inevitabile opacità di qualche strato di stagno che in essa ha potuto allignare, è sempre stata contrastata.

Ne è sufficiente la riprova che in nessun testo scolastico italiano, del passato o del presente, viene mai precisato, verità storica incontestabile, che i Mille partiti da Quarto con Garibaldi per Marsala, per fare l’Unità d’Italia, erano mille massoni, e che l’impresa fu finanziata dai Fratelli, anzi massimamente da quelli inglesi. Nessuno osa dirlo. E’ solo un esempio, sui tanti che si potrebbero citare.

La “Breccia di Porta Pia” non è mai stata perdonata.

A differenza delle altre massonerie mondiali, quella italiana geograficamente posta nel cuore del regime temporale che, con impeto determinante ha contribuito ad abbattere, si è trovata a dover subire più duramente la reazione clericale, sottile e costante.

A differenza delle altre massonerie ha subito inoltre la persecuzione di una dittatura. Non vi è totalitarismo, bianco, nero, rosso, giallo, verde (in quest’ultimo caso si può far richiamo al fanatismo islamico), che tolleri la Massoneria. Chi predica o proclama il dogma, qualunque esso sia, non può incontrarsi con chi si ispira al libero pensiero. Non è questione di fede o di religione: è questione di principio.

Orbene, la Massoneria italiana, in prima linea, si è dovuta scontrare con due nemici del libero pensiero, l’assolutismo clericale e il totalitarismo politico.

Vediamo il primo, che dura da più di due secoli, talvolta violento, talvolta attenuato, sempre pronto a riaffiorare quando sembra sopito, con attacchi subdoli ma decisi, portati dal “braccio secolare”. Gli attacchi sono indirizzati a tutta la Massoneria, ma chi ne subisce l’impatto diretto e sempre più gravoso è la Massoneria italiana.

Basta partire dalla scomuniche (1). La prima fu comminata da Clemente XII nel 1738 con l’enciclica “In eminenti apostulatus specula”. In difesa dei principi di fede minacciati come predica il testo papale? No: per arginare il diffondersi del protestantesimo dall’Inghilterra, dove forti e fiorenti erano le Logge e si temeva che queste potessero esserne il veicolo per il positivismo. Già in Italia nel 1733 era stata eretta una Officina a Firenze ed altre si stavano fondando nella Penisola. L’applicazione pratica dell’enciclica si in Italia, nel territori soggetti al Papa, con l’editto del Cardinal Cirrao (1739) che condanna “le conventicole dei liberi muratori sospette di occulta eresia, pericolose alla pubblica quiete (?) ed alla sicurezza dello Stato Ecclesiastico” e proibisce a qualunque persona “di aggregarsi alle suddette società sotto pena della morte e confiscazione dei beni da incorrersi irremissibilmente senza speranza di grazia”. Altre pene, nell’editto, sono serbate per gli amici dei massoni, ai complici, locatari di appartamenti, e vanno da 1.000 scudi d’oro di multa (centinaia di milioni odierni) alla demolizione della casa “senza ammettersi scuse di sorta alcuna”.

 

A quei tempi la Chiesa faceva sul serio, per cui essere indicato come un massone significava sentirsi gridare dietro “Dalli all’untore!”.

La Massoneria, pur in questo difficile clima, pervaso da un’ignoranza dominante, alla quale solo il pulpito faceva istruzione, si è comunque diffusa. Naturalmente tutelandosi con cauta riservatezza. Non ha propagandato il protestantesimo come Papa Clemente temeva, ma operato esotericamente per il miglioramento dei singoli come è suo specifico impegno.

Ed ecco che la scomunica viene ribadita nell’”Humanum genus” di Leone XIII nel 1884. Una scomunica o la si toglie o non è il caso di ribadirla. E’ sanzione che resta valida finchè non è abrogata. A parte questo, il rinnovo è motivato da regioni teologiche? Le vere ragione sono ancora una volta altre che non pare azzardato definire “paura della massoneria”.

La Breccia di Porta Pia è avvenimento di appena 14 anni prima, il potere temporale è caduto e primo sindaco di Roma, della nuova Italia, è un massone, per giunta il Gran Maestro Ernesto Nathan, perdippiù ebreo.

Per un Pontefice romano è troppo. Ed inoltre egli vede alle cariche dello Stato, delle pubbliche amministrazioni, candidarsi altri massoni, in prevalenza della sinistra. Se la prima scomunica intendeva arginare i protestanti, questa, che ha un fine politico, mira a dare una mano alle forze ed alle candidature clericali che si contrappongono ai socialisti.

Un anatema dai pulpiti guadagna sempre qualche seggio.

Del resto lo si è visto anche nel più vicino ’48, quando il neoclericalismo ha trionfato grazie anche a processioni mariane, immagini di madonne che lacrimavano, state di santi che si muovevano, frati “volanti” mobilitati a comiziare le piazze.

Poi, finalmente, la scomunica, sanzione anacronistica, è stata abrogata dall’attuale pontefice, più in linea con i tempi ma non meno ortodosso.

Con buona pace di molte mogli di Fratelli, essere massoni non significa più essere “eretici”, ma soltanto commettere un peccato. De peccati, si sa, si fa facile ammenda in confessione (3).

Più di due secoli di scomunica, in Italia, paese radicalmente cattolico, hanno comunque pesato. Si tratta di due secoli e mezzo di pressione psicologica, alimentata con tutti i mezzi più subdoli, con le menzogne più sfacciate e più sottili.

Non importa siano menzogne; ciò che conta è ingenerare il sospetto perché qualsiasi accusa rivolta alla Massoneria ed ai massoni, divenga credibile, possibile, vera.

E’ stata appena emanata l’enciclica di Leone XIII che l’anno dopo esce in Francia ed ottiene un subitaneo, straordinario, successo, con immediate traduzioni e diffusioni in altri paesi, un libro che si intitola “Misteri della Libera Muratoria”, a firma di un certo Leo Taxil (4).

E’ lo pseudonimo del giornalista francese Gabriel Fogand Pagès, scribacchino della peggior risma. Ex allievo dei Gesuiti aveva iniziato a creare una certa notorietà a Parigi scrivendo libri in cui faceva sfoggio del più pacchiano anticlericalismo: “Gli amori di Pio IX”, “Le amanti del Papa”… Querele e multe gli avevano mangiato i proventi, per cui, assumendo nuovo nome, ricordando di essere stato introdotto in massoneria (5), mutò bersaglio. Per vendicarsi di essere stato espulso se la prese con la Massoneria. Alla prima opera ne seguirono altre che gli portarono soldi e successo. La gente, incoraggiata dai pulpiti, beveva i suoi scritti dove si narravano le atrocità della “setta” segreta che aveva a suo Gran Maestro, occulto, presente però nei Concistori, lo stesso Lucifero. I riti erano satanici, intessuti di sacrifici umani, le agapi cannibalesche, poiché la portata d’obbligo era la tenera carne dei bambini. Le riunioni orgiastiche fatte nell’adorazione dei demoni. Inverosimili panzane e letture morbose che i preti incoraggiavano, nonostante gli argomenti scabrosi, specie per le signorine.

Questi libri ne generarono altri e le loro tesi trovavano sanzione ecclesiastica: ne parla benevolmente “L’Osservatore Romano”, il gesuita Leon Maurin pubblica, con più dotto linguaggio, il volume “La Massoneria sinagoga di Satana”, con il quale da un colpo anche agli ebrei.

Ma Taxil, ricco, forse inebriato dal successo che ormai dura da dodici anni, ha in serbo l’ultima buffonata. Invitato il 19 Aprile 1897 a parlare alla Società Geografica di Parigi, con noncuranza esordisce: “Non impermalitevi, miei reverendi padri, nell’apprendere…” che solo per sete di guadagno si era inventato tutto. Una ritrattazione ufficiale, ampia, completa, esauriente e circostanziata.

L’imbarazzo è enorme e per nasconderlo si preferisce il silenzio. Poche voci osano esprimere pubblica indignazione (6); la Chiesa facendo finta di niente dimenticò di rettificare lasciando che le falsità continuassero a divulgarsi; i libri continuarono a circolare.

E’ in quel periodo che fra i massoni si coniò l’espressione “caccia alla streghe”. Il taxilismo che tanto danno ha arrecato all’Istituzione non è morto, e così come ieri si poteva, senza prove, ma certi di essere creduti, tacciare un massone di qualsiasi infamia, oggi lo si può accusare di tentare golpe, di sfasciare banche (incredibile: con la complicità del Vaticano), di collusione con la mafia, ecc.

Brevemente per dimostrare come la menzogna e l’insinuazione (il taxilismo insomma) siano l’arma sfoderata contro la Massoneria, diremo che il Gran Maestro Adriano Lemmi fu negli ultimi suoi anni amareggiato da una campagna calunniosa. Uomo di grande prestigio, credito e levatura morale, fu accusato di aver compiuto, 22enne, un furto a Marsiglia e si essere stato condannato da quel tribunale (7). I giornali diffusero l’accusa riportando addirittura l’estratto della sentenza dove si condannava per furto un Adriano Lemmi nato a Firenze. L’eco dell’accusa, da parte clericale, si propagò perfino in Parlamento. Il condannato era sì Adriano Lemmi, nato a Firenze; il Gran Maestro era nato lo stesso anno, ma a Livorno. Non si voleva credere all’omonimia “Il condannato era toscano, ed era facile che a Marsiglia si fosse scambiata Firenze per Livorno”, si replicava.

Anche se neppure gli altri dati anagrafici corrispondevano il Gran Maestro dovette faticare a spiegare che quel Lemmi non era lui, e mostrare testimonianze e documenti per dimostrare che a 22 anni non si trovava affatto a Marsiglia, ma a Costantinopoli. Era chiaro: ma intanto il dubbio era stato insinuato. Guai se il Gran Maestro fosse stato milanese e si fosse chiamato Brambilla o Colombo, o fosse stato di Chioggia e si fosse chiamato Boscolo come quasi tutti quei lagunari.

Il sistema comunque funziona e non è stato abbandonato: la rivista bolognese “Il Regno”, nel Novembre del ’59 pubblica un articolo (8) nel quale si afferma che De Gasperi è frenato nella sua azione di ricostruzione dell’Italia da mene massoniche tese a bloccare la democrazia.

E’ recente, in occasione della tragica morte del banchiere Calvi a Londra, il coro di stampa che sosteneva trattarsi di un’esecuzione secondo un misterioso rituale massonico. Il corpo era stato ritrovato sotto il ponte dei “Black Friars”, tradotto bambinescamente dei “Frati Neri”. Evidente l’allusione ai Massoni rivestiti di tuniche e cappucci neri. Questo è bastato, dimenticando la maggior parte dei giornali che in Inghilterra “black friars” significa “Domenicani”. Basta così per descrivere a quali subdole insidie i massoni italiani siano, da oltre due secoli, da una parte soggetti.

Dall’altra sono stati aggrediti spietatamente dal totalitarismo. Aggressione fisica, devastazione dei Templi, assassinii di dignitari massoni a Firenze, condanne e deportazioni. E infine leggi speciali contro l’Istituzione ed i suoi aderenti. Nei giorni che precedono questi tristi avvenimenti i massoni non hanno amici. I clericali no di certo; Antonio Gramsci nell’unico discorso parlamentare da lui pronunciato così afferma (9): “La Massoneria è la piccola merce che serve a far passare la merce reazionaria antiproletaria”; i fascisti preparano le loro squadracce.

In siffatto ambiente l’unica possibile difesa per i massoni italiani è la riservatezza. Non il segreto sul quale appuntano gli strali gli avversari, perché il segreto massonico è un fatto intimo, incomunicabile, che investe la sfera spirituale del singolo individuo.

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Nell’illustrazione: la Breccia di Porta Pia, mai perdonata alla Massoneria

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Capitolo VII

DALLA SCISSIONE ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

Nel Palazzo, dunque, Ettore Ferrari, rimasto con le fila massoniche falcidiate, cerca di ricostruire la Famiglia scompaginata. Sia lui che il Fera avevano subito informato tutte le Famiglie massoniche straniere di quanto era accaduto. Ciascuno con accetti diversi e ciò ha portato ad un immediato distacco dei massoni esteri da quelli italiani, con conseguente scadimento della nostra Istituzione nazionale. Da molte parte non giungono neppure risposte alle Tavole che partono da Roma dalle due sedi massoniche. Quelle che giungono sono di attesa che la situazione decanti. Molti inviti a Conventi, assemblee internazionali, giungono solo ad personam, cui non si da veste ufficiale ma di “osservatore”.

Arduo è il compito di Ferrari (1) nel Palazzo dopo quello storico 1908. Deve ricucire le fila, dare credibilità alla sua dignità e quindi alla sua Famiglia, affrontare le prime beghe per la proprietà del Palazzo – molti soci della Immobiliare Urbs se ne erano andati con Fera – tentare il riavvicinamento con le Potenze straniere che dopo la scissione si erano poste in una posizione guardinga e di sospetto, soprattutto per quello che concerneva la legittimità del Rito Scozzese. Ferrari e Balboni che traevano la loro forza soprattutto dalla permanenza al Palazzo del Rito Simbolico, creano un nuovo Gran Consiglio Scozzese, in antitesi a quello di Fera. Durano a tutt’oggi le polemiche sulla legittimità di questo atto (affrontiamo la questione in un altro capitolo di questa trattazione – n.d.a.). Permane ancora irrisolto a settanta anni e passa di distanza, il problema della proprietà della sede, ma ciò per altre congiunture. Continua l’affannosa ricerca di riconoscimenti esteri.

Una ragione di fondo, che nulla aveva a che fare con la vera Massoneria, aveva condotto alla scissione: la politica.

Ferrari è costretto a seguire questa strada spalancando di più le porte del Palazzo a chi è fautore di un determinato indirizzo, e per dare potenza alla sua Famiglia ancora più si coinvolge con la politica.

Valente scultore, sono suoi i monumenti romani, al Gianicolo, di Anita e Garibaldi, non certo amministratore, diviene anche sindaco di Roma. Un altro massone, dopo Nathan, lui pure Gran Maestro (2), al Campidoglio, quasi ad accentuare vieppiù un atteggiamento anticlericale della Massoneria. Atteggiamento che è soprattutto politico. Ma i Fratelli, divisi, sono più impegnati, in quel periodo, a lanciarsi roventi accuse – Fera se ne sarebbe andato col tesoro del Palazzo, 33mila lire oro, col Sigillo del Rito (di cui era depositario) – piuttosto che a ricostruire la Massoneria.

In queste sterili lotte trascorrono i primi anni dalla scissione, finchè serie nubi si addensano sull’orizzonte mondiale.

I primi cumuli, ammonitori, giungono con la guerra di Libia, intensamente voluta dai partiti nazionalisti che avevano diviso ed indebolito i tre partiti della Estrema (socialisti, repubblicani e radicali). Tutte le correnti contavano parlamentari massoni. L’uragano si manifesta quando scoppia la Guerra Mondiale che trova ancora i massoni divisi, in neutralisti ed interventisti. Schematizzare le posizioni non è difficile: i più sono a Palazzo, gli altri in Piazza del Gesù. Ma quando il Governo decide l’intervento, le polemiche si placano, e i Fratelli delle opposte sponde, interventisti e neutralisti, si ritrovano fianco a fianco in trincea; si riscopre quello spirito iniziatico che è alla base del giuramento massonico.

Anche se a Roma le Famiglie restano separate, i Fratelli, in trincea, si riconoscono Fratelli. Addirittura fra le opposte trincee. Esistevano ancora in quasi tutti i paesi Logge castrensi, cioè di soli militari, nelle quali i gradi sulla manica non costituivano necessariamente dignità nell’Officina. Contavano l’uomo e la sua preparazione iniziatica, ed era pertanto più facile trovare un sergente sul trono del Venerabile e un colonnello, con un grembiule bianco, fra le colonne. Non ne scapitava, fuori dal tempio, la disciplina militare (3). Numerose erano tali Logge; in Inghilterra, dopo vi fu a lungo polemica per ammettere anche soldati semplici (si richiedeva almeno il grado di caporale); in Germania dove al massoneria tedesca traeva forza anche dal militarismo dei massoni Hohenzollern; in Francia, ed anche in Italia, dove il col. Frapolli, garibaldino, costituì le prime; ne esistevano anche in America.

Quante furono queste Logge non si sa, e neppure con esattezza si conosce il numero dei Fratelli che si trovarono al fronte, negli opposti schieramenti, nel conflitto dal ’15 al ’18. L’unico dato attendibile lo attingiamo da una rivista massonica tedesca del 1919, compilata nell’Ottobre del ’18, “Dalen’s Kalender”, dove in un articolo dal titolo “Freimaner in Felde”, si legge: “…Ottomila tedeschi, più quattromila alleati (s’intendevano turchi, bulgari, ungheresi – n.d.a), 12mila in totale, i massoni combattenti sotto le bandiere degli imperi centrali, stanno di fronte a 36mila massoni dell’Intesa. I massoni americani, sino all’Ottobre 1917, erano 3.157 nell’esercito di terra, 742 di marina…”.

Non si specificano quanti – italiani, inglesi e francesi – fra i 36mila.

Riguardo agli americani non si fa cenno all’aviazione, e pure sappiamo che fra i cavalieri alati molti erano i Fratelli: il già citato Fiorello La Guardia, ad esempio, eroe dell’arma azzurra statunitense.

Nelle Logge, oltre all’amor di patria, s’insegnava l’esoterismo massonico, ed ai fratelli in divisa, si ricordava di apprendere anche il “segno di soccorso” (4), segno che ai Fratelli dei gradi superiori dovrebbe essere noto, che consente di riconoscere un massone in pericolo o nel bisogno.

Molti fratelli, sugli opposti fronti, hanno sperimentato la validità di quel “segno” richiamante la solidarietà massonica universale.

In particolare fra coloro che hanno avuto la sorte di cadere prigionieri e si sono trovati innanzi ad un fratello in divisa nemica. Il trattamento, compatibilmente con le esigenze della disciplina militare, è risultato sempre atto ad alleviare i disagi dello stato di prigioniero.

Più affettuosamente questa solidarietà massonica è stata avvertita dai Fratelli feriti, ricoverati in ospedali da campo, amici o nemici. La Croce Rossa Internazionale, nata dalla volontà di una grande donna, è sempre stata un’istituzione massonica. In Italia, ad esempio, fino a qualche anno fa, fino a quando anche questa umanitaria istituzione non è stata politicizzata, essa è sempre stata retta da personalità massoniche. Massoni, fino a ieri, tutti i suoi presidenti.

Sul tema avvincente della solidarietà massonica in guerra ci si può meglio documentare consultando l’opera, ricca di episodi, di un grande studioso della massoneria inglese, Robert Freke Gould (5), pubblicata nel 1899, che però si rifà, inevitabilmente, alle guerre del secolo scorso.

Non possiamo per chiudere questo argomento senza ricordare un episodio estremamente significativo, avvenuto durante la lontana guerra dei Boeri in Sudafrica (6), un conflitto caratterizzato da atroci massacri. Uno di questi fu evitato sulle rive del fiume Tugela, dove si trovarono di fronte due unità avversarie, l’una inglese comandata dal gen. Botha, l’altra boera dal gen. Buller. I due comandanti, nelle fasi che stavano per precedere lo scontro che avrebbe coinvolto migliaia di uomini, attraverso i messaggi scambiati per intimarsi reciproca resa, si riconobbero Fratelli. Si incontrarono, abbracciarono, e decisero di evitare il combattimento, che nulla avrebbe risolto tatticamente o strategicamente, ma che solo sarebbe stata un’inutile carneficina.

Da questo e da altri episodi, dalla solidarietà che al massone si impone anche in guerra, prendono spunto i detrattori della massoneria, per tacciare i Fratelli come “soldati infidi”, e l’Istituzione contraria agli interessi nazionali.

I tanti eroi massoni, e le tante medaglie al valore meritate dai massoni, confutano clamorosamente questa calunnia. Bastano per tutti i nomi dei massoni Cesare Battisti, Guglielmo Oberdan, Francesco Baracca… Oltre alla solidarietà fraterna, per il massone è un obbligo anche l’adempimento del dovere, ed i due impegni non sono in antitesi.

Al fronte, dunque, si ritrova, nella sofferenza, nel dolore, fra i lutti, lo spirito di fratellanza. In quegli anni tremendi la Massoneria si rafforza; si potenziano con schiere di nuovi adepti le fila delle Famiglie separate, e pare che alla fine della Guerra, anche per la fiammata dannunziana dell’impresa di Fiume, impresa come quella dei Mille garibaldini, guidata al vertice da massoni, l’Istituzione possa tornare anche agli antichi splendori.

Si tentano anche, ma senza esito (forse perché mancherà il tempo di approfondire i contatti e sanare i contrasti) approcci di riunificazione.

Ma un nuovo uragano incombe ed esploderà presto.

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Nella foto: soldati anglo-americani e massoni italiani recuperano le insegne delle logge occultate durante il fascismo.

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 Capitolo VIII

IL FASCISMO: LA MASSONERIA SMEMBRATA

Ernesto Nathan aveva già ricoperto quella prestigiosa dignità prima della scissione, dal Giugno del 1896 al febbraio del 1904.  Non trovandosi, come si è detto, una forte personalità per sostituire a Ferrari, durato in carica 17 anni, si è ricorsi al  “vecchio maestro della massoneria”, così come qualcuno con appropriata, ma non malevola immagine, lo ha chiamato.

In due anni, prima che nel 1919 lo sostituisca nell’alta dignità Domizio Torrigiani, darà un vigoroso impulso al Palazzo.

Crea un “Comitato dei reduci”, la cui gestione affiderà alle Logge Romane, per raccogliere i fratelli che tornano dalla guerra e sopperire alle loro esigenze.

Per fare questo occorrerà una burocrazia sollecita e disponibile, ed ecco che i suoi sforzi, in vero in buona parte premiati, mirano ad acquisire alla Massoneria la classe dei funzionari. In buona parte vi riesce, così da trarre la sensazione di una nuova potenza della Massoneria. Anticiperà in parte l’errore, sempre giustinianeo, degli anni recenti, perché cercherà una Massoneria più “operativa” nel profano, che “speculativa” come la vera Massoneria dovrebbe essere.

Chi vuole fare carriera bussa alla porta dei Templi: tanti prefetti e questori sono massoni, così come tanti direttori generali e capidivisione.

Questo triste fenomeno, che di Massoneria ha ben poco, fa sì che la somma dei piedilista delle famiglie massoniche raggiunge totali di decine di migliaia di unità. Ma sono fratelli? Si squaglieranno come neve al sole alle prime avvisaglie contrarie, e resteranno i veri Fratelli, quelli che hanno compreso cosa è l’autentica Massoneria.

Il fenomeno, comprensibilmente umano, si verifica tutt’oggi. Non è più il funzionario – ché il “funzionarismo”, pur ancora efficiente, è stato spento – ma è il partito, qualsiasi partito, grazie alla “lottizzazione”, che garantisce la carriera. Ed ecco l’amaro spettacolo odierno della corsa alla ricerca di una tessera, vuoi per avere una cattedra, vuoi per avere un posto di spazzino.

Abbandonando questa digressione e tornando alla Massoneria del primo dopoguerra, apparentemente potente, troviamo che essa deve fare i conti con il nascente fascismo. Un totalitarismo, già si è detto, non lascia spazi, né ideologici, e tantomeno di potere, anche il più spicciolo.

L’avanzante bufera fa esplodere le sue prime folgori nel 1923, quando, il 23 Febbraio, il Gran Consiglio del Fascismo sancisce l’incompatibilità fra l’iscrizione al PNF e l’appartenenza alle Logge, benchè in quel consesso numerosi fossero gli affiliati all’Ordine e la decisione fosse presa non senza contrasti (1).

La disposizione emanata dal partito crea disagio in molte federazioni dei fasci. Molti federali, come quello di Piacenza, Barbiellini Amidei, sono notoriamente iscritti alle Logge; molti nei fasci sono massoni: gli ex-interventisti, i nazionalisti, i reduci dall’impresa fiumana. Massoni dell’una e dell’altra sponda. Per la verità, meno i giustinianei.

E’ ancora una fase confusa e la Massoneria si illude di poter convivere con il nuovo regime. L’arroganza del totalitarismo dovrà ancora esplodere. Scriverà Ettore Ferrari, nel frattempo divenuto Sovrano Gran Commendatore, in una Balaustra (2) indirizzata a tutte le Camere Superiori del Rito (creato a Palazzo in contrapposizione al Rito di Piazza del Gesù): “Non serbiamo rancore al giovane partito (fascista – ndr), che nel tumulto dell’azione non ha forse ancora trovato l’agio delle tranquille meditazioni”. Belle parole e tanto ottimismo, così come si legge alla fine della Balaustra prima del suo triplice fraterno amplesso. “… Confido che chi dovesse – nelle presenti contingenze – allontanarsi da Noi, porterà nel fascismo il fervore delle aspirazioni civili ed umane cui fra Noi è stato educato, e mando il più affettuoso saluto a quanti, iscritti ai fasci, vollero in questi giorni confermarci la loro immutabile fedeltà alla Istituzione”. Si piega forse la schiena, ma ancora non ci si arrende. Forse si spera in un compromesso. Ma questo non è possibile. Altri eventi sopraggiungono: il mancato attentato a Mussolini di Tito Zaniboni, massone, il delitto Matteotti, che consentono al fascismo di imporsi come totalitarismo. E la Massoneria ne farà le spese. Si inventerà – quale monotona scusa – anche un tentativo di golpe (3), per giustificare l’assunzione del potere assoluto e varare una legge contro le “associazioni segrete”.

Il progetto di tale disposizione liberticida viene presentato alla Camera da Mussolini il 12 Gennaio 1925. L’approvazione non si fa attendere: vi saranno solo 2 astensioni su oltre 270 votanti.

Le legge (4) che non cita esplicitamente la Massoneria, di fatto ne decreta lo scioglimento, e se prima a questo fine avevano agito isolate squadracce con criminali azioni terroristiche, ora dal ministro degli interni Federzoni sono “legalmente” chiamati in questa azione anche i carabinieri e la polizia.

Le persecuzioni ed il terrorismo si accentuano; il loro crescendo è impressionante. La notte del Capodanno 1925 viene assaltata, perquisita e messa sossopra la casa di via D’Azeglio a Bologna dell’anziano avvocato Eugenio Iacchia, alto dignitario massonico. Con estremo garbo il venerando legale inviò un’inutile protesta al ministro degli interni Federzoni, capo della polizia “Quando nel 1899 l’antica monarchia austro-ungarica mi perseguitava per i miei sentimenti irredentisti – scrive – il comportamento delle autorità era incomparabilmente più mite di quello odierno dei miei stessi compatrioti”. Ma già precedentemente vi erano stati assalti e devastazioni a Prato, a Termoli, a Pistoia, dove, da quelle Logge erano stati asportati anche gli archivi poi bruciati nelle piazze.

Gli assalti erano in precedenza contro le sedi giustinianee e trovarono il culmine a Firenze la notte del 25 Settembre 1925 (5). L’assalto cominciò a casa dell’anziano Maestro Venerabile Napoleone Bandinelli. Fu trascinato a forza per le strade poiché lo si voleva condurre alla Casa del Fascio per ottenere da lui informazioni sull’organizzazione liberomuratoria in Toscana. In difesa del suo Venerabile accorse un fratello, suo vicino di casa, Giovanni Leporini, ma fu bloccato, seviziato e massacrato. Il suo cadavere fu trovato presso i cancelli del Mercato Centrale accanto a quello del suo Maestro. L’ex deputato Gaetano Pilati, mutilato di guerra, e l’avvocato Gustavo Consolo furono finiti a revolverate nei loro letti, ove le squadracce li avevano sorpresi.

Devastazioni dei Templi, con distruzione di archivi, si susseguono in tutt’Italia. Ovunque si verificano anche sparizioni di arredi e di preziosi cimeli.

La stessa sede di Palazzo Giustiniani non è esente da queste “perquisizioni” che spesso si risolvono in razzie. Dal palazzo, oltre ai carteggi (6), spariscono statuette di valore (7) e lo splendido gioello del Sovrano Gran Commendatore, insegna dell’alta dignità, formato da una crice di diamanti con al centro un “33” sormontato da una corona di smeraldi.

I massoni più autorevoli venivano intanto denunciati quali “nemici dello stato”, trascinati dinnanzi al Tribunale speciale e condannati per “attività sediziosa e sovversiva”. Lo stesso Gran Maestro Domizio Torrigiani viene condannato al confino nell’isola di Ponza.

Altri dignitari si sono rifugiati all’estero. Anche se Torrigiani dal confino, ed altri dignitari dall’estero, tentano di tenere unita l’ormai sparsa Famiglia, le Logge non possono più funzionare. I Templi sono chiusi, le clandestine riunioni massoniche rappresentano un rischio che promette la prigione.

Non vi è neppure bisogno di mettersi in “sonno”: presso chi, infatti, presso quale autorità massonica è possibile denunciare quella decisione di attesa che ad un fratello è consentita? Ma la Massoneria anche se ufficialmente cancellata – il Governo ha confiscato i reperibili beni massonici fra i quali Palazzo Giustiniani – non è spenta, e seppure costretta ad una apparentemente sterile vita cospirativa da vecchio retrobottega di farmacia, terrà sempre viva la fiamma ideale. Anche se anni peggiori, dopo il periodo persecutorio che va, nella sua fase acuta, dal ’23 al ’29, dovranno venire, quando in Germania verranno varate le leggi razziali che l’Italia, pur attenuandole, scimmiotterà.

Il totalitarismo tedesco ha già drasticamente cancellato dalla Germania la Massoneria (8), definendo i massoni “giudei dalle sembianze ariane”. In Italia, l’indefinibile nemico del fascismo diventa il “demo-iudo-masso-pluto… ecc.”. Ce n’è per tutti, ma in particolare per ebrei e massoni, accomunati. E quelli di loro che possono, specie se rivestenti la duplice veste, se ne vanno esuli. Dal ’36 fino all’inizio del secondo conflitto mondiale, questo esodo sarà intenso. Qualche esponente massonico tenterà perfino di dar vita ad un Grande Oriente d’Italia in esilio, come Arturo Labriola a Londra; altri a Parigi, altri in Sud America.

Alla caduta del fascismo, alla fine della guerra, si potranno contare sparse in vari paesi stranieri, su tutti i continenti, più di un centinaio di Logge italiane (9). Ma, se pure ne trarrà giovamento la fiamma massonica che non si spegne, la Massoneria italiana finirà per ritrovarsi da ciò maggior confusione: massoniche sì quelle Logge, ma di quale Obbedienza? Regolari, secondo la Costituzione dell’Ordine, o monadi sparse?

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Capitolo IX

DAL 1945 ALLA P2

In Italia, la fine della guerra, ritrova tantissimi massoni in un proliferare di “famiglie”. Vi è una giustificazione a questo fenomeno, che oggi, a più di 40 anni, non è del tutto spento.

Con la persecuzione fascista, come si è detto, i massoni si sono dispersi. Alcuni rifugiatisi all’estero hanno creato Logge in esilio, i più – gruppi sparuti – sono rimasti accanto, senza ritualità, clandestinamente, a loro vecchi autorevoli dignitari. La ricostruzione della Massoneria è avvenuta sulla scia delle armate alleate liberatrici, dal Sud verso il Nord; a mano a mano – furono anni lunghi e dolorosi – che la liberazione si compiva, si ricostruirono e riconsacravano le Logge.

I Fratelli traevano sciarpe, grembiuli e guanti bianchi dai nascondigli segreti dove per anni li avevano tenuti celati, riprendevano il lavoro, iniziavano nuovi Liberi Muratori. Prima in Sicilia, poi in Puglia, in Campania. Secondo due filoni, quello inglese lungo la fascia orientale della penisola, ove operava, con i polacchi, l’Ottava Armata; quello americano dalla parte tirrenica ove combatteva la V Armata statunitense. Ed ecco che prima ancora che l’Italia fosse riunita – lunga fu l’attesa davanti a Roma – le ricostituite Logge cercano di darsi un assetto ufficiale sollecitando riconoscimenti da un lato americani, dall’altro lato inglesi. Forse per giungere con le patenti più autorevoli all’atteso atto conclusivo. E così mentre a Roma, finalmente riconquistata, già si litiga per una presunta supremazia, i Fratelli del Nord ancora attendono perseguitati ed in clandestinità. Per un altro anno, prima che la Linea Gotica, dopo dure ed aspre lotte, possa essere superata.

E quando l’Italia è interamente libera, molte sono le dignità massoniche che da Roma pretendono di rappresentare l’autentica autorità libero-muratoria nazionale. I giustinianei hanno rioccupato il Palazzo confiscato, altri le loro antiche sedi, altri nella capitale ne hanno create di nuove. La Costituzione dei Liberi Muratori vuole che l’Oriente centrale di un’Obbedienza abbia sede nella capitale dove i Fratelli di quel paese operano.

Ma queste questioni, talvolta meschine beghe di potere dettate anche da attriti personali tra alti fratelli, già autorevoli, che nulla hanno a che vedere con l’autentica Massoneria e lo spirito che l’ispira, qui non interessano, giacchè è la storia di Palazzo Giustiniani che intendiamo esaminare.

Conviene subito dire che anche in questa circostanza, il riesplodere, sia pure disordinato e sparso, della Massoneria dopo la guerra, ha perduto e gettato al vento un’altra felice occasione per dare prestigio all’istituzione.

Si tratta proprio del Palazzo.

Gli americani – presidente il massone Truman (nella foto con le insegne massoniche del Mystic Shrine) – volevano che in Italia la Massoneria rifiorisse; confidavano anche che attorno al gruppo giustinianeo, allora apparentemente il più forte, si catalizzassero gli altri massoni italiani.

Gli americani avevano già creato molte loro Logge in Italia (2), tutte logge di militari di occupazione, e molte di queste erano i fraterno contatto con i Fratelli del Palazzo.

Per l’interessamente di due autorevoli loro Fratelli, gli italo-americani Fiorello La Guardia ed il senatore Frank Gigliotti, si erano adoperati ed avevano ottenuto (3) che alla Massoneria italiana venisse ceduto, quale sua prestigiosa sede parte della Villa Margherita di via Veneto a Roma, attuale e magnifica sede dell’ambasciata Usa in Italia.

L’impegno veniva addirittura fissato in una delle clausole del trattato di pace, la stessa clausola che imponeva all’Italia, libertà per la Massoneria.

Quando la clausola, segreta ma non troppo, sia stata osservata, si è visto.

Ma i giustinianei rifiutarono la meravigliosa offerta. Rientrati nel vecchio Palazzo, con le sale da ristrutturare, i Templi da rifare, le cose care perdute, si illudevano, nel clima della rinnovata libertà, che il Governo avrebbe loro, ben presto, restituito l’antica proprietà che per loro rappresentava anche il simbolo della tradizione. Il Governo divenne democristiano e con mille cavilli, nonostante estenuanti cause civili i cui polverosi fascicolo ancora si ammonticchiano nei tribunali, la vecchia sede non venne mai resa.

Reggeva allora, provvisoriamente, il Palazzo un comitato di Gran Maestranze formato da Umberto Cipollone, Guido Lay e Gaetano Varcasia. Dal 1925 non si era più potuta riunire la Gran Loggia per procedere a regolari elezioni.

Domizio Torrigiani, come si è detto, era stato condannato al confino. Nel ’32 Torrigiani si spegne, lasciando vacante l’alta dignità, ormai svuotata di ogni potere se non quello morale. Un insigne giornalista, Giuseppe Meoni, la assume “pro tempore” fino al Giugno del ’34 (4). Poi il vuoto fino al termine della guerra, quando appunto venne creato il citato Comitato che rimase in carica dal ’43 al ’45, dalla Liberazione di Roma alla Liberazione d’Italia, con tanti svariati e difficili compiti: sedare dissidi tra i Fratelli che finalmente si ritrovavano ma si scambiavano rampogne per i comportamenti degli anni bui trascorsi, accampando meriti e rimproverando demeriti; ricostruire sedi e templi, e soprattutto un tesoro perché quel poco che era stato salvato dai predatori fascisti e tedeschi, era finito in aiuti, sempre faticosamente e rischiosamente recati, a Fratelli bisognosi al confino od esiliati, e per soccorrere le loro famiglie.

Ricomposto ciò che era rimasto della Famiglia, nel Novembre del ’45 si può indire la prima Gran Loggia della ricostruzione. Il grembiule azzurro e il maglietto di Gran Maestro vengono affidati a Guido Lay, che purtroppo morirà tre anni dopo.

Ma in quel momento di euforia per la ritrovata libertà, tutto pareva facile. Gli americani che ancora rimanevano in Italia, aiutandone la ricostruzione con il piano ERP, agevolarono molto la Massoneria ed in particolare quella giusitinianea, che al momento era apparsa la più compatta e la più forte.

Contavano in questo anche rapporti personali fra esponenti del Palazzo e autorità americane. Una di queste, il senatore Frank Gigliotti, incaricato di coordinare per il suo governo gli aiuti all’Italia, raccolse personalmente fra i massoni americani viveri, indumenti, ed altri generi di conforto, da riempire più navi, destinandoli alla massoneria italiana perché fosse questa a curarne la distribuzione fra la gente ancora bisognosa di tutto. Da vero massone intendeva così l’opera massonica: aperta e affettuosa solidarietà.

Gigliotti venne meritatamente proclamato da una Gran Loggia, Gran Maestro Onorario.

Ma i suoi aiuti non pervennero mai alla massoneria. In parte per colpa dei giustinianei che non seppero imporsi e pretendere dalle autorità governative italiane – qui ritroviamo un’altra delle grandi occasioni mancate – di ottenere ciò di cui erano destinatari, ma soprattutto perché quegli aiuti potevano diventare strumenti di voto presso una popolazione che diveniva finalmente elettrice. Quegli aiuti finirono infatti alla POA, Pontificio Opera di Assistenza, che li distribuì a proprio nome ed a proprio totale merito, coadiuvata dai galoppini del rinascente partito clericale. Lo riconobbe lo stesso senatore Gigliotti (5), intervenendo molti anni dopo ad una Gran Loggia giustinianea: “Ciò che conta – disse con rassegnazione – è che siano andati a chi ne aveva bisogno”.

 

In quel periodo, questa è la sensazione che se ne trae, i massoni giustinianei, e purtroppo anche gli altri, più che impegnarsi nel loro lavoro esoterico ed adoperarsi per far conoscere e rifulgere nel mondo profano l’immagine della Massoneria, brigano tra loro per una effimera supremazia tra le Famiglie, in un’affannosa quanto sterile caccia a riconoscimenti stranieri che tale pretesa supremazia dovrebbero sancire.

Già nell’immediato dopoguerra il presidente Truman aveva inviato in Italia una folta ed autorevole delegazione della massoneria americana presieduta da R.V.Denslow, Sommo Sacerdote del Capitolo Generale dell’Arco Reale, e della quale faceva parte il Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Nord degli Stati Uniti, G.E. Bushnell.

La delegazione s’incontrò con i vertici giustinianei. Scopo principale della visita ero lo scioglimento del nodo dello scozzesismo, problema italiano, poiché ogni Famiglia vantava la diretta eredità scozzese.

La delegazione venne, vide, esaminò la questione in lunghi incontri, e ripartì dicendo che avrebbe deciso. Se riconoscimenti avvennero, questi rimasero limitati a contatti su livelli personali. Se la Gran Loggia del Montana era disposta ad intrattenere rapporti “diplomatici”, non altrettanto poteva dirsi, ad esempio, della Gran Loggia della California.

Ma era all’Inghilterra, chiusa e riservata, la direzione cui le autorità massoniche italiane guardavano e puntavano. Quelle che avessero assicurato alla loro “famiglia” il “riconoscimento inglese”, avrebbero assicurato la “legittimità” della loro Obbedienza.

Qualche anno dopo venne in Italia, in visita ufficiale, l’Arcivescovo di Canterbury, ma il primate, capo del massoni inglesi, anziché recarsi dai suoi pari italiani in quale palazzo, va in visita dal Papa. Da notare che la scomunica non era ancora stata revocata e nei palazzi lateranensi non si poteva ignorare l’alta veste muratoria del rappresentante della Chiesa inglese. Che fu accolto con tutti gli onori.

I massoni italiani ne furono delusi, ma a Palazzo Giustiniani non si volle demordere e, batti e ribatti, come presto vedremo, giunse il sospirato riconoscimento inglese. Ma verrà ben presto revocato.

Gli argomenti ci portano a scavalcare e anticipare la cronaca: torniamo perciò a questa. Al Gran Maestro Guido Lay succedono nel Palazzo, Umberto Cipollone, insigne avvocato romano, nominato “pro tempore” dopo la morte del primo, ed Ugo Lenzi, autorevole esponente del Foro bolognese, che eletto nel Marzo del 1949, dopo varie riconferme, rivestì l’alta dignità fino all’Aprile del 1953. Si tratta di due figure di alta statura intellettuale e morale e di riconosciuto prestigio.

Si adoperano, come si è detto, per risolvere l’annosa, intricata, questione con lo Stato (6) relativa alla definizione della proprietà del Palazzo; si adoperano nella ricerca dei sospirati riconoscimenti stranieri; si adoperano per catalizzare le sparse schiere dei Fratelli, ma soprattutto agiscono perché l’Italia riconosca nel suo seno una presenza massonica. Questa è certamente la loro opera più meritoria, anche se non riuscita, perché in Italia un neo-clericalismo si era imposto, visceralmente anti-massonico. De Gasperi, già nel 1946, in un discorso alla Camera, suggerisce l’opportunità di leggi contro le società segrete (7) per salvaguardare la democrazia. Il suggerimento – era ancora recente il ricordo delle leggi speciali fasciste – non fu accolto, fortunatamente, ma sotto le ceneri è rimasto per una quarantina d’anni per poi esplodere.

Cipollone e Lenzi, tentano, in ogni occasione di uscire allo scoperto con i labari delle Logge quando una manifestazione ufficiale lo consente, specie se questa è una rievocazione risorgimentale, così che si possa riaffermare l’apporto della Massoneria all’unità d’Italia, e più in generale il suo ruolo nella storia nazionale. Ciò in occasione dell’inaugurazione di monumenti, di celebrazioni di eventi storici. Le autorità governative e quelle civiche, di qualunque colore, se pure all’inizio li tollerano, non gradiscono quei labari.

La manifestazione più palese si ha in Perugia quando il 20 Giugno del 1959 si dovrebbe celebrare il centenario della strage compiuta in quella città dalle milizie mercenarie francesi, svizzere, spagnole, inviate dallo Stato Pontificio in quella città per punirla di essersi sottratta al dominio di Roma ed essersi proclamata repubblica indipendente. I mercenari uccisero migliaia di perugini, fra cui donne e bambini, e saccheggiarono ovunque poterono. Le celebrazioni del centenario della strage (8) che vedono i labari delle Logge relegati dietro le bandiere dei partiti, delle associazioni varie e delle confraternite religiose, si svolgono in un clima di frastornante ambiguità che in Italia da sempre si perpetua, per cui non si capisce bene se sono state ricordate le vittime della strage o piuttosto i mercenari papalini morti durante quella disperata resistenza.

Lasciamo stare. A queste ambiguità la storia recente italiana ci ha abituato. E mentre vediamo che Lenzi e Cipollone ottengono dal Comune di Roma un’area al Cimitero del Varano ove innalzare un Famedio che accolga le spoglie dei massoni più illustri – vi verranno sepolti, con Torregiani, molti Gran Maestri – e Lenzi ottenere per il suo prestigio personale che a Bologna (9), in Porta Galliera, non vengano tolte le vistose insegne massoniche, squadra e compasso, dal monumento del prete, martire, fratello, Ugo Bassi; il nuovo Gran Maestro, Giorgio Tron (10), non può impedire, nel 1960, che proprio nel giorno in cui egli fa affiggere in tutt’Italia il manifesto che rievoca il XX Settembre, la presa di Porta Pia, quel giorno il parlamento voti la legge Merlin che sanscisce la chiusura (il bisticcio dei termini non è nostro) delle “case chiuse”. E così, a 90 anni dallo storico evento, determinante per la storia d’Italia, la data perde il suo significato, e per ben altro è ricordata. Le arti subdole e le sottogliezze di Taxil si rinnovano.

Non stiamo esagerando, basti ricordare che all’epoca dello scandaloso caso Montesi (scandaloso per tutto ciò che lo alimentava fra faide interne e politiche), circolò e si diffuse in Italia un libro, fotograficamente “documentato” da un certo Franco Rispoli, dal titolo “Massoneria per signore sole”, che pretendeva illustrare nefandezze orgiastiche della “setta”. Il processo, è noto, documentò che il caso Montesi era una montatura, un castello di menzogne, un’autentica vergogna di chi lo aveva inscenato. Ma intanto, anche in questa occasione, qualcuno aveva lanciato i suoi soliti, monotoni, strali contro la Massoneria. A furia di calunniare qualcosa alla fine restava.

Le pubbliche sortite non ottengono, come si è visto, clamorosi risultati, ed ecco che la Massoneria giustinianea, che pure è tra le più forti in Italia, si rinserrà in sé, e pubblicamente si limita a riapparire, una volta all’anno, in occasione dello storico XX Settembre, per far affiggere sui muri delle principali città il suo manifesto rievocativo.

Nient’altro. Durante le successive Gran Maestranze di Carlo Speranza, di Publio Cortini, dimissionario per ragioni di salute, sostituito per breve periodo da Pasquale Del Torto, facente funzioni, dello stesso Cipollone rieletto nel ’57, e di Giorgio Tron.

L’”Obbedienza”, seppure la più consistente in Italia, vegeta. Nelle Logge, pur numerose e adorne di tanti Fratelli fra le Colonne, affiora il malcostume.

Si discute per la prima volta, attorno agli Anni Sessanta, di aprire le porte dei Templi alle donne. I pareri sono accesi e diversi. Già esiste una massoneria femminile a Palazzo Brancaccio ed a questa, operativamente più valida (11), Palazzo Giustiniani ha offerto la sua “tutela”. Una massoneria non accettata, ma “adottata”. Fremono coloro che ancora attendono il riconoscimento scozzese che “con le donne nelle Logge” sarebbe inottenibile. Questo contrasto vivifica un po’ la Famiglia, che pure da vita a sue pubblicazioni come la citata “Lumen Vitae”, “Rivista Massonica” la quale negli ultimi anni si trasformerà nel periodico “Hiram” di raffinata veste tipografica.

Per scuotere il torpore e allontanare il malumore, visto che di una apertura alle “sorelle” non si può parlare, si punta ad un rafforzamento dell’Istituzione e della sua immagini, sempre in vista del sospirato riconoscimento inglese, con la riunificazione delle sparse forze massoniche italiane. I tentativi saranno molti, ma, anche se preannunciati da sanatorie (amnistie per colpe massoniche passate (12)), pubblicizzati con enfasi e  solennità (13), raccoglieranno solo poche Logge di gruppi dispersi.

A Logge che entrano nella comunione fanno riscontro Logge che se ne allontanano. I motivi delle defezioni sono talvolta di carattere personale, ma più spesso gravi divergenze che investono la conduzione delle Famiglie. Indicativa a tal proposito è una circolare inviata nel Dicembre del ’69 a tutte le Officine della Loggia “Universo” di Roma, la Rispettabile Loggia Madre di Palazzo Giusitiniani (14), nella quale, mentre si annuncia il distacco dall’Obbedienza ed il costituirsi in Loggia autonoma, si denunciano esplicitamente brogli elettorali nell’elezione del Gran Maestro, malversazioni che investirebbero il codice penale e pericoli per la sicurezza dell’Ordine dalla presenza nella segreteria di impiegate più vicine alla Curia che all’Oriente.

Valide o meno queste accuse che non è nostro compito valutare o approfondire, vediamo però che in parte vengono riprese da altre Logge: la “Carducci” di Bologna, l’”Ausonia” di Torino, l’”Eterna Luce-Nuova Italia” di Milano, ed altre (15).

Il malcontento dunque serpeggia fra le colonne e già vi è chi intravede un bubbone che sta per esplodere, anche se occorreranno anni prima che ne emergano gli effetti più devastanti.

Gli assonnamenti si moltiplicano ed i piedilista delle Logge sono spesso più apparenti che reali. Quanti sono i Fratelli realmente attivi, quotizzanti, fra tutti quelli segnati negli elenchi, non si sa. Già lo abbiamo detto, accennando ad una riunione della Gran Loggia del 1958 che la commissione di verifica dei poteri abilitò al voto solo 137 Logge sulle 314 che costituivano il piedilista generale. Meno della metà, dunque. Le “non abilitate” erano solo morose nei confronti del Tesoro o soltanto sulla carta? Anche a questo quesito non è questa la sede per dare una risposta, ma ciò che è rilevabile è il malcontento, già individuato e che sempre più già affiora.

Giordano Gamberini e Lino Salvini, i Grandi Maestri che succederanno, non hanno il carisma di un Cipollone o di un Lenzi, e neppure quella soavità mite di un Tron che valga a tenere uniti i Fratelli.

Nelle Logge si avverte che la conduzione è mutata, che è più diplomatica e politica che non esoterica. Molte cose sfuggono ai Fratelli, i quali, nonostante apparenti successi che sembrano dar fiato alle trombe giustinianee, soffrono sempre più intensamente un senso di malessere diffuso.

Uno di questi successi, quello auspicato veramente da tutti i massoni, sarebbe stato la vera riunificazione delle Famiglie. E questa fusione, tanto auspicata da entrambe le sponde, da un lato forse per calcolo, dall’altro con vero spirito massonico (16), viene annunciata ufficialmente da Lino Salvini il 20 Settembre 1972 con la clamorosa notizia che il riconoscimento richiesto alla Gran Loggia Madre d’Inghilterra, già fin dal 1862 dall’allora Gran Maestro Costantino Nigra, è finalmente concesso.

L’illusione dura poco, l’azione di Gamberini e di Salvini che gli è succeduto, si rivela presto una manovra tattica per presentare agli inglesi l’immagine di una Massoneria italiana unità anche se non lo è. Se ne accorgono i rigidi scozzesisti, ma soprattutto i massoni italiani. I gruppi di Piazza del Gesù, per lo più gruppi sparsi, che avevano aderito alla fusione, ben presto si rendono conto di essere stati fagocitati e non certo da “pares inter pares”, e quasi immediatamente si distaccano nuovamente dall’Obbedienza giustinianea che ormai non soddisfa neppure gli stessi giustinianei. E sono molte, assieme alle poche Logge di Piazza del Gesù che vi erano appena entrate, quelle che si distaccano. Antiche e gloriose Officine che raccolgono Fratelli prestigiosi. Le prime Logge di antica Obbedienza che si distaccano sono alcune tra le più autorevoli di Firenze, poi di Arezzo, di Trieste, Cosenza, la “Flauto Magico” di Verona, ed altre ancora come la “Fenice” e la “Hermes” di Roma.

Si riuniscono nella nuova “Federazione Italiana dei Liberi Muratori”. La pretesa fusione ha sortito l’effetto di generare nuove divisioni ed una nuova “Famiglia”.

Ma non è tanto la mancata fusione, quanto quel puzzo di torbido che si avverte nel Palazzo. E’ la famosa P2 che affiora, la Loggia segreta ma non tanto (se gli stessi Fratelli la scoprono e con violenza la bollano). Ma non tanto bollano la P2, quanto la Gran Maestranza che così l’ha voluta, se l’è vista sfuggire di mano, trasformarsi in un’altra anomala Massoneria. Siamo all’amara storia dei nostri giorni.

Sono numerose, fra gli atti raccolti dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, le lettere di alti dignitari massonici del Rito che pongono in guardia il Gran Maestro sui pericoli che quella Loggia rappresenta, e con giudizi aspri descrivono la figura di colui che ne è il Venerabile. Tali lettere, talune personali, altre ufficiali, erano rimaste senza riscontro.

La Loggia contestata, a furor di Logge, viene posta sotto giudizio e dichiarata sciolta. Ma le stesse autorità che ne decretano la scioglimento concedono brevetti in bianco all’”esautorato” Venerabile e presenziano alle iniziazioni, dando con ciò crisma di ufficialità alle medesime iniziazioni che in essa si susseguono.

Peccato: quanti Fratelli che sarebbero stati “preziosi acquisti” per la Famiglia sono andati perduti. Iniziati con un rito sommario in una camera d’albergo, oppure con rito regolare in una Loggia di una città che non è la loro, dove nessuno sa chi sia, che cosa faccia, dove abiti, e via di seguito, dove nessuno lo ha presentato, votato, accettato, ma giunti sono per un ordine del Gran Maestro, quando escono “massoni” nessuno dei pochi che ha giurato per lui “aiuto ed assistenza in ogni occasione” sa poi dove va a finire o putacaso se, mezz’ora dopo, finisce sotto il tram.

Ma torniamo ai Giustinianei che per questo torbido clima abbandonano la Famiglia… I Fratelli delle Logge, riunitisi nella Federazione, così giustificano il loro gesto e la loro posizione (17): “Siamo usciti da Palazzo Giustiniani non per confonderci con i modi di essere del gruppo imperante che trascina nella sua sfera i deboli, gli illusi, i sempre in buona fede. Eravamo stati nell’ambito dell’istitizione giustinianea delle peregrine Cassandre, ed alla fine stanchi e delusi abbiamo preferito abbandonare questi templi profanati da ogni sorta di attività contrarie alla morale istituzionale, per non condividerne le responsabilità… La Massoneria non è quella, la Massoneria è morale, è virtù, è saggezza, è ricerca della verità… La politica partitica con tutte le sue complicazioni di attuazione e di compromesso non interessa alla Libera Muratoria, e se ciò è avvenuto, come in effetti è avvenuto, non è responsabilità dell’Istituzione come principio di etica, ma di alcuni uomini che non si sono comportati secondo la regola iniziatica e si sono lasciati fagocitare da gruppi di scaltri avventurieri ambiziosi, amanti del potere e delle sue manifestazioni più deteriori”.

Parole roventi che denunciano quel malessere che da tempo covava e che, come anticipavamo, doveva necessariamente esplodere.

La massoneria inglese, il cui riconoscimento era stato tanto pietito, lo revoca, con un sesso comunicato, il 19 Febbraio 1982 (18).

Ma questa è storia dei giorni nostri. Non sta a noi emettere giudizi, ma ci è consentita però l’amara considerazione che il ciclone, che ha travolto con la P2 anche Palazzo Giustiniani, ha investito, con la furia taxiliana degli anni più bui, l’intera Massoneria italiana, colpito e ferito l’Istituzione nei suoi valori, riportandola indietro di decenni lungo la strada della faticosa conquista ottenuta in Italia. Alle leggi liberticide fasciste contro le società cosiddette “segrete”, è seguita la Legge nr. 17 del Gennaio 1982 che ricalca le precedenti, quasi identica nel testo. La Massoneria che di volta in volta, secondo i regimi, è stata definita “anticlericale” e da qui le scomuniche, poi “antifascista”, da cui il confino e le leggi speciali, diventa ad un tratto “antidemocratica”, un pericolo per la democrazia senza che alcuno dei soloni legiferanti avverta la stridente contraddizione, senza che alcuno ricordi che la democrazia, tanto invocata a parole, è nata proprio nelle Logge.

La Costituzione democratica citata per eccellenza è quella americana: il suo testo è stato redatto nella Loggia di Giorgio Washington e da questo Maestro Venerabile è stata recato poi al popolo che lo ha approvato e fatto suo, e che ancora lo osserva e se ne fa geloso custode, né si vergogna di ostentare, anzi ne va fiero, sulla sua moneta, il dollaro, l’immagine della piramide con i trentadue gradini sormontata dal delta che racchiude l’Occhio (19). I più alti e significativi simboli massonici.

In Italia, invece, si può sparare a zero sulla Massoneria; tutte le nefandezze tornano ad esserle addebitate. La stampa purtroppo non cerca la verità, ma si adegua al conformismo e si compiace delle invenzioni o insinuazioni che soddisfino il potente di turno.

Lasciamo queste amarezze e per concludere la nostra cronistoria sul Palazzo, il cui crollo morale ha travolto tanti Fratelli, dobbiamo aggiungere che al Gran Maestro Salvini, medico fiorentino, morto nel mezzo della bufera, è succeduto, in tanto sfascio, il generale Emilio Battelli. Ha potuto fare ben poco. Con ciò che gli rimaneva ha preparato le elezioni del nuovo Gran Maestro. E questi è oggi Armando Corona, eletto, come si detto, con i voti di 289 sui circa 500 Venerabili che erano rimasti nella Famiglia. Si era presentato come un uomo di parte: era infatti esponente di un partito. Nella terna per le sue elezioni gli altri candidati rappresentavano altrettante correnti partitiche. Sembrava quasi che dal Palazzo, per quietare il clamore sollevato, ci si mostrava ossequienti ad ogni corrente.

Vi era in lizza Giulio Mazzon, indubbia eminente figura di Fratello, che però i giornali presentavano come caro amico del presidente Pertini, rappresentante in seno alla Famiglia, la Resistenza. Mazzon ebbe 61 voti, ma sembrava almeno dai resoconti giornalistici – mai la stampa ha dedicato tanto piombo (la similitudine non è solo figurata) alla Massoneria – di assistere ad una delle consuete lottizzazioni, come ad esempio per la spartizione delle poltrone della RAI o la conquista della presidenza di un ente.

Ha prevalso il sardo Corona, il quale appena insediato ha nobilmente dichiarato: “Da questo momento cesso di essere uomo di parte e di partito, per diventare il Gran Maestro”.

Il suo impegno è arduo e fraternamente gli si augura di assolverlo così da ridare credito allo sfasciato Palazzo che ripetendo vecchi errori, in parte gli stessi del 1908, quando ci si illudeva che la contingente forza politica prevalesse su quella eterna della vera ricerca esoterica, ha portato tanti danni, non alla Massoneria la cui luce non si può offuscare, ma all’immagine della Massoneria.

Già nubi si addensano sul Palazzo: il Sovrano Gran Commendatore Fausto Bruni ha staccato il Rito dall’Ordine e si adopera per fondare un Ordine nuovo. Non ci riguarda. Le beghe continuano.

Prima di concludere, nella bufera che ancora impazza e nella quale tanti diguazzano, conviene spendere una parola per chiarire il concetto della Loggia Segreta, che tanto scandalo ha sollevato e per la quale sui massoni si sono abbattute nuove “leggi speciali” dello Stato prima, e di varie Regioni poi. Contro queste leggi, una sola voce si è levata alla Camera, quella dell’on. Belluscio (20) che non ha esitato a dichiararsi massone.

L’on. Belluscio chiarisce, per chi ha afferrato la sua “apostrofe” alla Camera, il concetto di Logge Segrete, termine improprio che va corretto in “riservate” o “coperte”. Si sa che tanti Fratelli non le accettano, erroneamente ritenendo che venga snaturato uno dei cardini del trinomio massonico, l’Eguaglianza. Ma non è così. Nei paesi, come l’Italia, purtroppo, dove sono tanti gli astiosi e tenaci avversari della Massoneria, soprattutto per i principi che essa predica, occorrerebbe un copritore con la spada in pugno, pronto e vigile non per ogni Loggia, ma per ogni Fratello.

Magari si ottenesse – e questo è vero compito massonico – quel regime di libertà che vige altrove e che ci fa conoscere episodi come il seguente:

Raccontano i biografi del grande presidente degli Usa Theodore Roosvelt (1885-1919) che una sera a cena chiede al suo segretario Root se è da tempo che non frequenta una Loggia. “E’ parecchio”, gli risponde Root, “Si può rimediare – replica prontamente Roosveltvenite questa sera nella mia Officina. Vi è alla sua testa un eccellente Venerabile: è il giardiniere del mio vicino”.

Non ovunque si può respirare un clima così idilliaco. Ma è quello che i massoni sognano, quando i tempi e le situazioni cancelleranno ovunque l’esigenza di Logge coperte. Logge – si è visto – che possono, se non ispirate al vero spirito massonico, degenerare.

L’appunto su Roosvelt, il grande presidente degli Stati Uniti, onorato di porsi all’ordine al tocco del maglietto di un modesto giardiniere, molto ci insegna sulla Massoneria e spiega perché iniziando questa trattazione si è partiti dalla statua della Libertà del fratello francese Bartholdi. Con l’augurio che la Massoneria italiana, superata la crisi del Palazzo, trovi quella via che altre massonerie hanno raggiunto e percorso.

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NOTE DEI VARI CAPITOLI

Capitolo 1: La Massoneria italiana si spezza in due tronconi

(1)  – Alessandro Mola: “Storia della Massoneria Italiana dall’Unità alla Repubblica.”, Ed Bompiani 1976, pag. 282.

Capitolo 2: Politica e Massoneria

(1)  – Mario Anesi: “Società nascoste”, Editoriale Pineta, Torino 1973, pag. 77.

(2)  – Renzo Montanari: “Verso la Luce”, Bologna 1968: “Il Grande Oriente imponeva ai Fratelli il partito e le opinioni politiche; ai deputati massoni il voto alla Camera”, pag. 136.

Capitolo 3: L’esempio della Francia 

(1)  – Christian Jacq: “La Massoneria, Storia e Iniziazione”, Ed. Mursia 1975, pag. 191 e seguenti.

(2)  – Salvatore Spadaro: “Massoneria Scozzese Italiana”, Ed. Bastogi 1983, pag. 313.

Capitolo 4: Il Palazzo e la sua forza 

(1)  – Ernesto Nathan: “La Massoneria, sua azione, suoi fini”, Civelli Roma 1901, pag. 24

(2)  – Vedi foto su vari numeri della rivista “Hiram”.

(3)  – Salvatore Spadaro, opera citata, ultimo foglio allegati.

(4)  – Grande Oriente d’Italia. Palazzo Giustiniani. Relazione della riunione annuale 1958. L’Editrice Finanziaria, Roma, pag. 18.

(5)  – Allegato nr. 1 sulla rievocazione Centenario delle Stragi di Perugia.

(6)  –  Articolo del “Tempo” di Roma, a firma Mario Nese: “Il sardo A.Corona eletto G.M. della Massoneria”, 27 Marzo 1982.

Capitolo 5: Gli archivi dispersi e distrutti 

(1)  – Aldo Mola, opera citata. Prefazione: “La Massoneria è rimasta al di fuori di opere di grande impianto e di vasto respiro, spesso pretendenti alla completezza, come la Storia d’Italia dell’editore Einaudi, la Storia dell’Italia Moderna di G.Candeloro, la Storia d’Italia dall’unità ad oggi…”

Capitolo 6: Paura della Massoneria 

(1)  – R.C.: “La Loggia – Organo Ufficiale della Federazione Italiana dei Liberi Muratori”, numero 23-24, Ottobre 1982. Firenze.

(2)  – Cristian Jacq – Opera citata, pag. 187 e seguenti.

(3)  – Fu espulso pochi mesi dopo l’iniziazione, senza aver superato il grado di Apprendista. Inconcepibile la leggerezza con la quale fu ammesso un individuo di tale misura, che risultava condannato per truffa e prossenitismo, e che per essere lasciato tranquillo dalla polizia ne divenne confidente.

(4)  – Che la scomunica fosse dettata per la difesa di principi teologici universali resta dubbio dal fatto che da essa erano esenti, soli in tutto l’universo massonico, i Fratelli scandinavi osservanti il rito di Swedemborg fondato nel 1773 a Stoccolma. Capo supremo del Rito, che ha stretto contatto con la Gran Loggia di Edimburgo, è, per tradizione, il principe regnante della Svezia. Dalla Casa regnante partirono proteste, e la scomunica , con precisi editti dell’episcopato svedese, non toccò quei Fratelli.

(5)  – Quotidiano “Le Matin”, Parigi 20 Aprile 1897: “Consegnare una mistificazione in ogni dettaglio, prendersi gioco della Chiesa per dodici anni, beffare curati e vescovi, burlarsi dei cardinali e fare benedire codesta turlupinatura dal Santo Padre in persona, tale è la deplorevole opera in cui si è dilettato Leo Taxil”.

(6)  – Bacci. Il Libro Massonico Italiano, vol. II, pag. 468. Ricorda l’episodio.

(7)  – Lumen Vitae, rivista massonica, 1959, n. 12.

(8)  – Aldo Mola . Opera citata. Prefazione, foglio XIII.

 

Capitolo 7: Dalla scissione alla Prima Guerra Mondiale

(1)  – Ettore Ferrari, eletto Gran Maestro nel 1901, il 15 Febbraio, ricoprirà ininterrottamente tale alta dignità fino al 25 Novembre 1917, per tredici anni, a dimostrazione delle difficoltà di un ricambio e dei problemi che l’Obbedienza attraversava.

(2)  – L’Amministrazione capitolina odierna retta da sindaci di parte, ispirati ad una visione totalitaria, fa comunque rimpiangere quella dei sindaci massoni, che con saggia conduzione risollevarono la nuova Capitale d’Italia, finalmente uscita dallo sfacelo cui l’aveva ridotta l’amministrazione papalina.

(3)  – Collotta – “Storia dell’esercito napoletano” – Opera d’ispirazione antimassonica, nella quale è scritto con intento denigratorio: “Un colonnello sopra tutti nel campo era infimo nella “vendita” e un sottufficiale, infimo nell’ordinanza, era primo nella setta. Si scontravano i doveri, si spegneva la disciplina”. Le conquiste del Risorgimento hanno dimostrato il contrario.

(4)  – Una balaustra inviata il 1° Aprile 1915 dalla Presidenza della Gran Loggia del rito Simbolico dice testualmente: “… E’ necessario che i lavori delle Logge non si arrestino… (nel particolare momento di guerra)… è necessario che ad ogni Libero Muratore traslocato per il servizio militare, il Risp. Maestro della sua Loggia dia personalmente quelle opportune indicazioni e suggerimenti atti a fargli trovare nella nuova sede dell’esercito altri fratelli, i quali si adoperino per rendergli quei servizi che eventualmente dovessero necessitargli… A questo fine, i Risp. Maestri Venerabili sono invitati ad istruire personalmente tutti i FF. richiamati dei segni, parole e passi del loro grado nonché del “segno di soccorso”… faranno ricordare che i Liberi Muratori qualunque siano le loro razze, le loro nazionalità, sono fratelli, e come tali debbono essere trattati in ogni occasione, qualora essi si facciano riconoscere”.

(5)  – “Military Lodges, the apron and the sword, or freemassony under arms”, Londra. Ed. Gale  @ Golden.

(6)  – Il resoconto su l’inglese “Free Massons’ Chronicle”, Londra 1902, vol. II pag. 133.

Capitolo 8: Il Fascismo: la Massoneria smembrata 

(1)  – Fra i maggiori esponenti del fascismo figurano infatti Balbo e De Bono, quadrumviri. Iniziati erano pure Bottai, Acerbo, Rossoni. Di Balbo, nel “Diario di Ciano”, si legge questo giudizio di Mussolini: “un porco democratico che fu oratore della Loggia Girolamo Savonarola di Ferrara”.

(2)  – Reca la data 16.2.23 ed è riportata a pag. 697 dell’opera citata di Mola.

(3)  – Del golpe, inventato dalla polizia del regime, impegnata a scoprire le infiltrazioni massoniche nell’esercito, furono imputati i massoni gen. Capello e gen. Lorenzo Barco, comandante la Divisione Territoriale di Roma.

(4)  – Vedi allegato n° 2 comprendente il discorso di Mussolini ed il Decreto Legge.

(5)  – Salvemini scrive: “I fascisti fiorentini iniziarono una caccia all’uomo contro i massoni”. Vasco Pratolini, in Cronache di poveri amanti, descrive quella macabra notte.

(6)  – Casse di schedari, preventivamente messe al sicuro, poi setacciati dall’Ovra, sono stati trovati qua e là, e sono poi finiti all’Archivio di Stato.

(7)  – Una di argento massiccio, di vari chili, raffigurante Giordano Bruno.

(8)  – Dalla storia culturale germanica vengono addirittura cancellati nomi come quelli di Goethe, tacciato, perché massone, della presunta uccisione di Schiller; di A.W. Mozart, il sommo genio della musica. Se non può essere del tutto liquidato si dice però che la sua morte prematura deve senz’altro essere attribuita agli intrighi dei Fratelli gelosi del suo genio musicale.

(9)  – Mola, opera citata, nota a pag. 533.

Capitolo 9: Dal 1945 alla P2 

(1)  – Durante l’occupazione tedesca, durante il governo di Vichy, vi furono arresti di massoni, devastazione di templi con saccheggi. Quasi tutti gli archivi razziati dai tedeschi, finiscono però alla fine della guerra in mani russe. Le autorità comuniste hanno sino ad oggi opposto un netto rifiuto alle reiterate richieste di restituzione. Le tre Obbedienze sono il Grande Oriente di Francia con sede rue cadet 16, Parigi, la Gran Loggia di Francia, rue de Puteaux 8, Parigi, la Gran Loggia Nazionale Francese, boulevard Bineau 65, Neulhy-sur-Seine. Ad esse si aggiungono altre quattro “Famiglie” minori.

(2)  – Molte Legge permangono tuttora, e raccolgono militari della Nato: a Napoli, a Pisa, Livorno, Vicenza e Verona, tutte in sedi prestigiose. Accolgono Fratelli italiani, visitatori in occasioni ufficiali.

(3)  – Vedi allegato con il discorso alla Camera dell’on. Belluscio – allegato nr. 3.

(4)  – Per l’elenco e la successione dei Gran Maestri, vedere Appendice.

(5)  – Vedi relazione Gran Loggia 1959, Gran Maestro Cipollone.

(6)  – I loro studi professionali di Roma e Bologna, per decenni sono stati impegnati nella irrisolta vertenza giudiziaria. Le notevoli spese chela causa ha comportato, sia Cipollone che Lenzi se le sono accollate personalmente senza farla gravare sulla Famiglia.

(7)  – A.Mola. Opera citata, pag. 614.

(8)  – Allegato nr. 1 sulle cerimonie per il centenario delle “stragi di Perugia”.

(9)  – Ugo Lenzi rafforzò notevolmente la massoneria bolognese, richiamandola alla tradizione carducciana. Non gli fu difficile ottenere dalle autorità bolognesi, se non il rispetto, l’indifferenza per il monumento di Ugo Bassi. Bologna è l’antesignana del “compromesso storico” fra clericali e comunisti: ai tempi di Lenzi reggeva la città il sindaco Dozza, grande amico del cardinale Lercaro. L’uno lasciava che l’altro nella rossa città costruisse chiese e un faraonico seminario (ora inutile e destinato ad altri usi) con i soldi del truffatore Giuffrè suo gran protetto, e l’altro agevolava l’immagine di un’amministrazione rossa “modello”.

(10)         – Giorgio Tron, Gran Maestro dopo Carlo Speranza e Publio Cortini, figura dolce e mite, presidente dei pastori evangelici italiani.

(11)         – Tante volte si farà ricorso per azioni di spicciola solidarietà alle “sorelle” più pronte, più valide e più capaci di inserirsi nel mondo profano.

(12)         – Vedi allegato nr. 5, Balaustra Lapenna, insigne e famoso radiologo, medaglia d’oro del Ministero della Sanità per le mutilazioni da radiazioni riportate.

(13)         – Vedi allegato nr. 6, altra Balaustra Lapenna.

(14)          – Allegato nr. 7

(15)          – Allegato nr,. 8

(16)         – Vedi discorso pronunciato dal Gran Maestro Aggiunto, Pino Mandalari, della Serenissima Gran Loggia “Alam” di Piazza del Gesù, nel corso dell’apertura di un anno massonico: “Nello spirito e nell’azione della Comunione di Piazza del Gesù, non esistono confini, non si conoscono discriminazione nei confronti di carissimi Fratelli che noi amiamo come tali al di fuori e al disopra dell’Obbedienza alla quale appartengono”… “In forza di cotali principi affermiamo solennemente che per noi non esistono Fratelli regolari o irregolari, ma esistono solo ed esclusivamente Fratelli che hanno ricevuto la Luce Massonica e come tali vanno abbracciati”.

(17)         – “La Loggia”, organo ufficiale della Federazione Italiana dei Liberi Muratori, Firenze numero 23-24, Dicembre 1982: “Crediamo nella Massoneria e vogliamo essere la Massoneria”.

(18)         – Vedi notiziario ANSA, riportato in pari data, dai principali giornali italiani.

(19)          – Cfr. le verdi banconote da un dollaro nella parte retrostante l’effige di G.Washington.

(20)          – Vedi allegato nr. 3, laddove si chiarisce il concetto di Loggia Segreta, citando come anche Carducci, Aurelio Saffi, Zanardelli ed altri insigni Fratelli potrebbero essere definiti “piduisti”.

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ALLEGATI

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Allegato 1

LA RIMOZIONE STORICA
DELLA STRAGE PAPALINA
DI PERUGIA

 

RELAZIONE DEL SERENISSIMO GRAN MAESTRO

AL CONSIGLIO DELL’ORDINE

NELLA TORNATA DEL 5 LUGLIO 1959

 

“Sulle cerimonie che avrebbero dovuto rievocare

il Centenario delle Stragi di Perugia” (XX Giugno 1959)

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Allegato 2

LA MASSONERIA E LE LEGGI FASCISTE

 

LA NUOVA LEGGE

SULLE ASSOCIAZIONI SEGRETE

 

Il 12 Gennaio 1925 l’on. Mussolini presentava

alla Camera il suo Disegno di Legge…

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Allegato 3

DIBATTITO SUL CONCETTO DI “SOCIETA’  SEGRETA”

APOSTROFE DELL’ON. BELLUSCIO

PRONUNCIATA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

(1982)

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PROVVEDIMENTI LEGISLATIVI

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Allegato 4

I GRANDI MAESTRI DEL G:.O:.I:.

 

DAL 1859 AL 1908

Filippo Delfino dall’8 Ottobre 1859 alla morte 1860.

 

Livio Zambeccari, ad interim, 1860-1861.

 

Costantino Nigra, eletto il 31 Agosto 1861; riconfermato il 1° Gennaio 1862; dimissionario il 29 dello stesso mese.

 

Felice Govean, dal Dicembre 1862 al Luglio 1863.

 

Giunta di Reggenza (Giuseppe Gioacchino Alvisi, Giuseppe Dolfi, Neri Fortini, Cesare Lunel, Ettore Papini), dal 1° Agosto 1863 al Maggio 1864.

 

Giuseppe Garibaldi, eletto nel Maggio 1864, presentò le dimissioni il 6 Giugno 1864; fu proclamato Primo Libero Muratore d’Italia e Gran Maestro Onorario.

 

Francesco De Luca, dal 28 Maggio 1864 al 20 Giugno 1867.

 

Filippo Cordova, dal 21 Giugno 1867; dimissionario per malattia il 2 Luglio 1867.

 

Ludovico Frapolli, dal 3 Luglio 1867; dimissionario il 27 Gennaio 1871.

 

Giuseppe Mazzoni, dal 27 Gennaio 1871 all’11 Maggio 1880.

 

Giuseppe Petroni, dal 12 Maggio 1880 al 16 Gennaio 1885.

 

Adriano Lemmi, dal 17 Gennaio 1885 al 31 Maggio 1896.

 

Ernesto Nathan, dal 1° Giugno 1896 al 14 Febbraio 1901.

 

Ettore Ferrari, dal 15 Febbraio 1904 al 25 Novembre 1917.

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DAL 1908 AD OGGI

Ettore Ferrari, fino al 25 Novembre 1917.

 

Ernesto Nathan, rieletto il 26 Novembre 1917,  fino al 22 Giugno 1919.

 

Domizio Torrigiani, 23 Giugno 1919; inviato al confino mantiene l’alta dignità fino alla morte, il 31 Agosto 1932.

 

Giuseppe Meoni, in attesa di poter indire regolari elezioni assume l’alta dignità pro-tempore dal 1° Settembre 1932 e la mantiene fino alla morte, il 29 Giugno 1934.

 

Segue un lungo periodo di vacanza durante il quale per le note vicende persecutorie la Massoneria, in clandestinità, si mantiene viva nella fede dei Ffn.

 

Comitato di Gran Maestranza (Umberto Cipollone, Guido Lay, Gaetano Varcasia), 1943-1945.

 

Guido Lay, dal 18 Novembre 1945 alla morte, 5 Novembre 1948.

 

Umberto Cipollone, pro-tempore dal 6 Novembre 1948 al18 Marzo 1949.

 

Ugo Lenzi, dal 19 Marzo 1949; rieletto il 21 Marzo 1953; morto il 21 Aprile 1953.

 

Carlo Speranza, già ex Gran Maestro e Gran Maestro Aggiunto, assume le funzioni dal 22 Aprile al 3 Ottobre 1953.

 

Publio Cortini, eletto il 4 Ottobre 1953; rieletto il 2 Giugno 1956; in congedo per motivi di salute dal 18 Aprile al 18 Luglio 1957, quando lo sostituisce il Gran Maestro Aggiunto Pasquale Del Torto; dimissionario il 29 Novembre 1957.

 

Umberto Cipollone, rieletto il 30 Novembre 1967; in carica fino al 28 Maggio 1960.

 

Giorgio Tron, dal 29 Maggio 1960 al 28 Aprile 1961.

 

Corrado Mastrocinque, pro-tempore dal 29 Aprile al 16 Luglio 1961.

 

Giordano Gamberini, dal 15 Luglio 1961 al 21 Marzo 1970.

 

Lino Salvini, dal 22 Marzo 1970 alla morte, 1982.

 

Ennio Battelli

 

Armando Corona dal 28 Marzo 1982 

 

Dopo lo scandalo della P2, a seguire furono Gran Maestri del GOI:

Giuliano Di Bernardo

Dopo le sue dimissioni, vi fu un periodo di reggenza affidato ai Gran Maestri Aggiunti Eraldo Ghinoi ed Ettore Loizzo.

Virgilio Gaito, dal Dicembre 1993.

 

Gustavo Raffi, dal Marzo 1999 al 6 Aprile 2014

 

Stefano Bisi, dal 6 Aprile 2014

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Nella foto: Roma, Palazzo Giustiniani

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Allegato 5

BALAUSTRA DEL SOVRANO  GRAN COMMENDATORE
MARINO LA PENNA

Datata 16 Gennaio 1960

 

 

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Allegato 6

ALTRA BALAUSTRA

DEL SOVRANO GRAN COMMENDATORE

MARINO LAPENNA

Datata 1° Giugno 1960

 

 

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Allegato 7 

CIRCOLARE DELLA  R:. L:. MADRE
DI PALAZZO GIUSTINIANI  “UNIVERSO”
Datata 2 Dicembre 1959 

 

 

 

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 Allegato 8

 

LETTERE DI PROTESTA DI VARIE LOGGE

SUI RISULTATI DELLE ELEZIONI

DEI GRANDI DIGNITARI

Giugno 1959

 

 

 

 

 

 

 

 


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