Capitolo VII: DALLA SCISSIONE ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE

inserito il 20 06 2011, nella categoria Palazzo Giustiniani, Storia

Nel Palazzo, dunque, Ettore Ferrari, rimasto con le fila massoniche falcidiate, cerca di ricostruire la Famiglia scompaginata. Sia lui che il Fera avevano subito informato tutte le Famiglie massoniche straniere di quanto era accaduto. Ciascuno con accetti diversi e ciò ha portato ad un immediato distacco dei massoni esteri da quelli italiani, con conseguente scadimento della nostra Istituzione nazionale. Da molte parte non giungono neppure risposte alle Tavole che partono da Roma dalle due sedi massoniche. Quelle che giungono sono di attesa che la situazione decanti. Molti inviti a Conventi, assemblee internazionali, giungono solo ad personam, cui non si da veste ufficiale ma di “osservatore”.

Arduo è il compito di Ferrari (1) nel Palazzo dopo quello storico 1908. Deve ricucire le fila, dare credibilità alla sua dignità e quindi alla sua Famiglia, affrontare le prime beghe per la proprietà del Palazzo – molti soci della Immobiliare Urbs se ne erano andati con Fera – tentare il riavvicinamento con le Potenze straniere che dopo la scissione si erano poste in una posizione guardinga e di sospetto, soprattutto per quello che concerneva la legittimità del Rito Scozzese. Ferrari e Balboni che traevano la loro forza soprattutto dalla permanenza al Palazzo del Rito Simbolico, creano un nuovo Gran Consiglio Scozzese, in antitesi a quello di Fera. Durano a tutt’oggi le polemiche sulla legittimità di questo atto (affrontiamo la questione in un altro capitolo di questa trattazione – n.d.a.). Permane ancora irrisolto a settanta anni e passa di distanza, il problema della proprietà della sede, ma ciò per altre congiunture. Continua l’affannosa ricerca di riconoscimenti esteri.

Una ragione di fondo, che nulla aveva a che fare con la vera Massoneria, aveva condotto alla scissione: la politica.

Ferrari è costretto a seguire questa strada spalancando di più le porte del Palazzo a chi è fautore di un determinato indirizzo, e per dare potenza alla sua Famiglia ancora più si coinvolge con la politica.

Valente scultore, sono suoi i monumenti romani, al Gianicolo, di Anita e Garibaldi, non certo amministratore, diviene anche sindaco di Roma. Un altro massone, dopo Nathan, lui pure Gran Maestro (2), al Campidoglio, quasi ad accentuare vieppiù un atteggiamento anticlericale della Massoneria. Atteggiamento che è soprattutto politico. Ma i Fratelli, divisi, sono più impegnati, in quel periodo, a lanciarsi roventi accuse – Fera se ne sarebbe andato col tesoro del Palazzo, 33mila lire oro, col Sigillo del Rito (di cui era depositario) – piuttosto che a ricostruire la Massoneria.

In queste sterili lotte trascorrono i primi anni dalla scissione, finchè serie nubi si addensano sull’orizzonte mondiale.

I primi cumuli, ammonitori, giungono con la guerra di Libia, intensamente voluta dai partiti nazionalisti che avevano diviso ed indebolito i tre partiti della Estrema (socialisti, repubblicani e radicali). Tutte le correnti contavano parlamentari massoni. L’uragano si manifesta quando scoppia la Guerra Mondiale che trova ancora i massoni divisi, in neutralisti ed interventisti. Schematizzare le posizioni non è difficile: i più sono a Palazzo, gli altri in Piazza del Gesù. Ma quando il Governo decide l’intervento, le polemiche si placano, e i Fratelli delle opposte sponde, interventisti e neutralisti, si ritrovano fianco a fianco in trincea; si riscopre quello spirito iniziatico che è alla base del giuramento massonico.

Anche se a Roma le Famiglie restano separate, i Fratelli, in trincea, si riconoscono Fratelli. Addirittura fra le opposte trincee. Esistevano ancora in quasi tutti i paesi Logge castrensi, cioè di soli militari, nelle quali i gradi sulla manica non costituivano necessariamente dignità nell’Officina. Contavano l’uomo e la sua preparazione iniziatica, ed era pertanto più facile trovare un sergente sul trono del Venerabile e un colonnello, con un grembiule bianco, fra le colonne. Non ne scapitava, fuori dal tempio, la disciplina militare (3). Numerose erano tali Logge; in Inghilterra, dopo vi fu a lungo polemica per ammettere anche soldati semplici (si richiedeva almeno il grado di caporale); in Germania dove al massoneria tedesca traeva forza anche dal militarismo dei massoni Hohenzollern; in Francia, ed anche in Italia, dove il col. Frapolli, garibaldino, costituì le prime; ne esistevano anche in America.

Quante furono queste Logge non si sa, e neppure con esattezza si conosce il numero dei Fratelli che si trovarono al fronte, negli opposti schieramenti, nel conflitto dal ’15 al ’18. L’unico dato attendibile lo attingiamo da una rivista massonica tedesca del 1919, compilata nell’Ottobre del ’18, “Dalen’s Kalender”, dove in un articolo dal titolo “Freimaner in Felde”, si legge: “…Ottomila tedeschi, più quattromila alleati (s’intendevano turchi, bulgari, ungheresi – n.d.a), 12mila in totale, i massoni combattenti sotto le bandiere degli imperi centrali, stanno di fronte a 36mila massoni dell’Intesa. I massoni americani, sino all’Ottobre 1917, erano 3.157 nell’esercito di terra, 742 di marina…”.

Non si specificano quanti – italiani, inglesi e francesi – fra i 36mila.

Riguardo agli americani non si fa cenno all’aviazione, e pure sappiamo che fra i cavalieri alati molti erano i Fratelli: il già citato Fiorello La Guardia, ad esempio, eroe dell’arma azzurra statunitense.

Nelle Logge, oltre all’amor di patria, s’insegnava l’esoterismo massonico, ed ai fratelli in divisa, si ricordava di apprendere anche il “segno di soccorso” (4), segno che ai Fratelli dei gradi superiori dovrebbe essere noto, che consente di riconoscere un massone in pericolo o nel bisogno.

Molti fratelli, sugli opposti fronti, hanno sperimentato la validità di quel “segno” richiamante la solidarietà massonica universale.

In particolare fra coloro che hanno avuto la sorte di cadere prigionieri e si sono trovati innanzi ad un fratello in divisa nemica. Il trattamento, compatibilmente con le esigenze della disciplina militare, è risultato sempre atto ad alleviare i disagi dello stato di prigioniero.

Più affettuosamente questa solidarietà massonica è stata avvertita dai Fratelli feriti, ricoverati in ospedali da campo, amici o nemici. La Croce Rossa Internazionale, nata dalla volontà di una grande donna, è sempre stata un’istituzione massonica. In Italia, ad esempio, fino a qualche anno fa, fino a quando anche questa umanitaria istituzione non è stata politicizzata, essa è sempre stata retta da personalità massoniche. Massoni, fino a ieri, tutti i suoi presidenti.

Sul tema avvincente della solidarietà massonica in guerra ci si può meglio documentare consultando l’opera, ricca di episodi, di un grande studioso della massoneria inglese, Robert Freke Gould (5), pubblicata nel 1899, che però si rifà, inevitabilmente, alle guerre del secolo scorso.

Non possiamo per chiudere questo argomento senza ricordare un episodio estremamente significativo, avvenuto durante la lontana guerra dei Boeri in Sudafrica (6), un conflitto caratterizzato da atroci massacri. Uno di questi fu evitato sulle rive del fiume Tugela, dove si trovarono di fronte due unità avversarie, l’una inglese comandata dal gen. Botha, l’altra boera dal gen. Buller. I due comandanti, nelle fasi che stavano per precedere lo scontro che avrebbe coinvolto migliaia di uomini, attraverso i messaggi scambiati per intimarsi reciproca resa, si riconobbero Fratelli. Si incontrarono, abbracciarono, e decisero di evitare il combattimento, che nulla avrebbe risolto tatticamente o strategicamente, ma che solo sarebbe stata un’inutile carneficina.

Da questo e da altri episodi, dalla solidarietà che al massone si impone anche in guerra, prendono spunto i detrattori della massoneria, per tacciare i Fratelli come “soldati infidi”, e l’Istituzione contraria agli interessi nazionali.

I tanti eroi massoni, e le tante medaglie al valore meritate dai massoni, confutano clamorosamente questa calunnia. Bastano per tutti i nomi dei massoni Cesare Battisti, Guglielmo Oberdan, Francesco Baracca… Oltre alla solidarietà fraterna, per il massone è un obbligo anche l’adempimento del dovere, ed i due impegni non sono in antitesi.

Al fronte, dunque, si ritrova, nella sofferenza, nel dolore, fra i lutti, lo spirito di fratellanza. In quegli anni tremendi la Massoneria si rafforza; si potenziano con schiere di nuovi adepti le fila delle Famiglie separate, e pare che alla fine della Guerra, anche per la fiammata dannunziana dell’impresa di Fiume, impresa come quella dei Mille garibaldini, guidata al vertice da massoni, l’Istituzione possa tornare anche agli antichi splendori.

Si tentano anche, ma senza esito (forse perché mancherà il tempo di approfondire i contatti e sanare i contrasti) approcci di riunificazione.

Ma un nuovo uragano incombe ed esploderà presto.

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