Relazione – GIORDANO BRUNO, FILOSOFO ERMETICO NELLA TRADIZIONE INIZIATICA OCCIDENTALE

L’ermetismo, o filosofia ermetica, e’ una corrente di pensiero religioso, mistico e filosofico diffusasi dal secondo secolo e conosciuto soprattutto per due scritti: il Corpus Hermeticum in 17 trattati, di cui il primo, il Pimandro, gli dà il titolo, e l’Asclepius .

inserito il 22 05 2011, nella categoria Eventi, Logge G.Bruno d'Italia (2007)

 Relazione di Roberto Momi

1 – L’ermetismo

 

L’ermetismo si è sviluppato sotto due diverse forme: una popolare, impregnata di superstizione, ignoranza e credenze che sfocia nelle cosiddette scienze occulte, l’altra detta dell’ermetismo filosofico.

Il tratto comune alle due forme e’ l’aspetto esoterico dei contenuti e si presenta nella forma di una rivelazione: quella di Ermete Trismegisto, diretta a pochi iniziati.

Da un punto di vista filosofico, che è quello che interessa la nostra ricerca, lasciando ad imbonitori e impostori maghi maghetti e fattucchiere quello popolare basato sulle cosiddette scienze occulte, l’ermetismo concepisce un dualismo: Dio-mondo, elevando il primo ad una dimensione sovressenziale e inconoscibile mentre il legame tra le due realtà e’ affidato ad una gerarchie di potenze (esseri ipostatici) dando origine alla struttura:

1)      al vertice c’è Dio, l’Artefice dei mondi, espresso come  somma luce, seguono

2)      il lògos  e

3)      l’intelletto demiurgico

ambedue impegnati nella creazione del cosmo e poi


4) l’àntropos, modello incorporeo dell’uomo, e
5) l’intelletto umano.
 
 
 

 

L’essere umano nasce da un decadimento dell’àntropos, quando questi si lascia attrarre e sedurre dalla sfera materiale. L’ordine decrescente della creazione può essere ripercorso a ritroso dell’ uomo, l’uomo di desiderio, che cerca la “salvezza” e attraverso l’esercizio della conoscenza tende a liberarsi dalla materia.

 

Il  Corpus Hermeticum venne tradotto integralmente in latino, per la prima volta, da Marsilio Ficino nel 1463 e stampato poi solo nel 1471. Ficino, stava traducendo per Cosimo il Vecchio, tutta la sapienza greco antica, da Socrate a Platone , dai presocratici ai neoplatonici, quando si seppe di una versione integrale del Corpus Hermeticum arrivata dalla Macedonia e portata da uno dei tanti frati che Cosimo aveva inviato per il mondo alla ricerca di testi antichi. Una versione in greco antico del mitico scritto della “priscae philosophia” arrivava a ridare slancio al risveglio della cultura, della filosofia e delle arti dopo anni di oscurantismo in cui superstizione ed ignoranza avevano creato quella teocrazia, talebana diremmo oggi, che fu l’egemonia del potere temporale della chiesa cattolica.

La riscoperta del pensiero classico degli antichi, fu come un lampo di luce  che balenò nella mente degli uomini abituati alle tenebre cui l’aveva condotto una certa forma di pensiero religioso che vedeva si l’uomo sprofondato nella materia, ma che solo grazie alla provvidenza divina capace di salvarsi, provvidenza elargita e somministrata in esclusiva da una casta sacerdotale ad essa dedicata per elezione e designazione divina che dominò per quasi un millennio il pensiero e l’agire del mondo e della cultura occidentale.

“Ficino, ferma Platone, e traducimi il Corpus Hermeticum, prima che io muoia”, pare che abbia detto l’ormai anziano Cosimo de Medici, e così fu, Ficino completò la traduzione nell’aprile del 1463, prima che Cosimo morisse, pochi mesi dopo, nel 1464.[i]

Da allora vari autori si sono cimentati con i testi ermetici e in particolare Cusano, nelle cui note all’Asclepius difende la centralità dell’uomo svelando nell’ermetismo una specie di pre-rivelazione. Ed anche il Pimandro aveva offerto non soltanto argomenti per una nuova apologia del Cristianesimo, cosa del resto necessaria per approfondire in quell’epoca tematiche altrimenti inavvicinabili, vista l’intransigenza del potere ecclesiastico verso ogni forma di studio e meditazione dei classici antichi bollati di paganesimo.

In Ficino, si erano fusi temi teologici cristiani con temi magico –astrologici, mentre in Pico e in Giovanni Reuchlin (1455-1522) tutti gli apporti della cabala, anche se già il Pico si e’ sforzato di dissociare il tema dell’uomo divino, e della pia philosophia, da ogni aggancio astrologico definendo l’ambito della magia naturale al di fuori della negromanzia.

L’ermetismo ha battuto sempre su alcuni motivi, che poi sono quelli che ne spiegano la fortuna nel ‘500: una religione antichissima, comune a tutta l’umanita’, anche se velata da simboli diversi (una priscae theologiae undique sibi consona secta), verso la quale ha portato lo studio del Trisnegisto come della cabala, celebrando una pace universale conquistata attraverso la consapevolezza dell’accordo essenziale delle credenze: consapevolezza che si ottiene ritrovando la luce comune che illumina  quanti finalmente giungono a vedere oltre la corpulenza delle forme estrinseche. E al centro di questa verità è la divinità dell’uomo, il microcosmo solidale col tutto, che dell’uno è sintesi, e che, perciò, sul tutto opera trasformandolo; macrocosmo e microcosmo in un reciproco compenetrarsi definendo la visione dell’uomo e del suo rapporto col mondo.

Come sul piano religioso l’ermetismo ha operato nella direzione di una pace e di una concordia universale, sul piano filosofico e scientifico ha alimentato la concezione di una solidarietà tra uomo e mondo, per un pieno corrispondersi della razionalità delle cose con la ragione umana, che ne costituisce l’ideale punto di incontro e la fonte da cui su tutto si irradia la luce.

Così che anche quando nel 1614 il filologo Casabuon ha dimostrato, mediante l’analisi del testo, che il Corpus era stato redatto nei primi secoli dopo Cristo, e che quindi non poteva trattarsi di un’opera dell’arcaica sapienza egizia, l’ermetismo ha continuato a fiorire. A ben guardare la cosa poteva restare ininfluente, l’ermetismo tramandatoci non era altro che la rielaborazione, la maturazione della cultura neoplatonica che si compì proprio a cavallo dell’era cristiana. Filone d’Alessandria, Plotino, Giamblico, Proclo e tutti i filosofi neoplatonici approfondirono tematiche sviluppatesi durante tutta la vita dell’Accademia platonica dal suo nascere nel 316 aC. e che vide in Atene, Roma ed Alessandria d’Egitto le sedi più feconde di pensiero. Pensiero che nasceva e proveniva si da quello greco, ma come analisi ed approfondimento di tematiche provenienti dall’Egitto e che nella sapienza egiziana affondava le proprie radici.

I testi ermetici non erano scritti che arrivavano direttamente dalla remota antichità, ma frutto di elaborazioni e redazioni ad essa ispirate e che in essa avevano le radici.

La biblioteca di Alessandria venne distrutta, i suoi libri bruciati e dispersi, i filosofi neoplatonici perseguitati, uccisi e dispersi, esemplare fu il caso di Ipazia, e proprio ad Alessandria. Non sapremo mai quali tesori della sapienza antica vennero distrutti dalla furia talebana dell’epoca. Irruppe il cristianesimo nella sua forma più deleteria e intollerante, dove l’amore per gli uomini e l’umantà del pensiero del Cristo venne sostituito dalle persecuzioni e l’imposizione di un nuovo pensiero dogmatico in cui la spiritualità venne soppressa dalla temporalità e l’amore dall’intolleranza.

Nel 529 dc Giustiniano chiuse definitivamente l’Accademia di Atene ed iniziò l’oscurantismo del pensiero unico; l’umanità si avviò verso il medio evo più buio e spettrale con i fantasmi della mente che si impadronirono del pensiero. Solo barlumi di luce rimasero velati da simboli ed architetture nel passaggio dal romanico al gotico e la rinascita dell’umanesimo del XIII° sec. aprì le porte al rinascimento che ebbe il suo massimo fulgore proprio con il ritorno di Ermete Trismegisto nella cultura occidentale.[ii]

 

 

 

 

 

2 – Bruno filosofo ermetico

 

Per collocare Giordano Bruno nella storia dell’ermetismo e della magia rinascimentale occorre riferirsi in primo luogo alle sue opere mnemoniche, il De umbris idearum, il Cantus Circaeus e il Sigillo dei Sigilli che contengono i suoi primi scritti sulla memoria. Quest’arte classica, considerata per lo piu mnemotecnica, ha avuto una lunga storia nel corso del Medio Evo. Nel rinascimento si rivifica tra neoplatonici ed ermetici come metodo per imprimere nella memoria immagini fondamentali ed archetipe presupponendo lo stesso ordine cosmico e consentendo cosi’ anche una profonda conoscenza dell’universo.[iii]

Le ‘’ombre delle idee ’’ di Bruno sono immagini magiche, immagini archetipe celesti, che sono più vicine alle idee della mente divina di quanto non siano le cose inferiori; e non e’ da escludere che lo stesso Ficino, nel suo frequente uso della parola ‘’ombre’’, abbia voluto anch’egli intenderla in questa accezione.

Chi era in possesso di un tale sistema si innalzava al di sopra del tempo e rifletteva nella propria mente l’intero universo della natura e dell’uomo come riflesso gnostico dell’universo nella mente. Imprimendo nella memoria immagini celesti, immagini archetipe del cielo che sono ombre vicine alla idea della mente divina dalla quale dipendono tutte le cose inferiori e imprimendo nella fantasia figure zodiacali ‘’si può ottenere il possesso di un’arte figurativa che assiste meravigliosamente, non solo la memoria, ma tutti i poteri dell’anima’’.

Il sistema bruniano della memoria è perciò rappresentativo della memoria di un mago, che conosce la realtà oltre la molteplicità delle apparenze, avendo conformato la propria immaginazione ad immagini archetipe, e che, grazie alla sua penetrazione nella realtà, ha conseguito anche poteri operativi. [iv]

L’operazione di Bruno appare assai semplice. Egli ha ricondotto la magia rinascimentale alle sue fonti pagane, abbandonando i tentativi del Ficino di elaborare una magia innocua dissimulandone la fonte principale, l’Asclpius, e schernendo violentemente gli ermetici religiosi che hanno creduto di fondare un ermetismo cristiano facendo a meno dell’Asclepius, e proclamandosi un Egiziano convinto che ha deplorato la distruzione fatta dai cristiani del culto degli dei naturali della Grecia e della religione attraverso cui gli egiziani avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibile, l’Uno del neoplatonismo; ed ha auspicato il ritorno della religione magica egizia e le loro leggi morali che sostituiranno il caos.[v]

Al contempo si rese conto che tali operazioni non potevano essere ne’ comprese, ne’ attuate da tutti, ma che era necessaria una selezione degli animi ed un graduale avvicinamento sia ai temi specifici che all’operatività che ne conseguiva. Lo disse e scrisse chiaramente sia nel preambolo della sua prima opera mnemonica, il “De Umbris Idearum”che inizia con l’incipit:

Ombra profonda siamo, e voi non tormentateci, o inetti :
un’opera tanto importante non si rivolge a voi, ma ai dotti.

 

Sia poi nel discorso introduttivo di Hermes che, come manifesto programmatico dell’Arte della memoria dice:

Quest’arte non serve soltanto ad acquisire una semplice tecnica mnemonica, ma avvia e introduce anche alla scoperta di numerose facoltà. Di conseguenza, coloro ai quali sarà concesso di apprendere i più profondi principi dell’Arte, conformemente alla sua maestà, ricordino: di non divulgarla senza distinzione a chiunque, senza una selezione, ed elargiscano i suoi canoni esplicitamente ai singoli, in modo più intenso o più dilazionato a seconda dei meriti e delle facoltà ricettive di coloro ai quali deve essere comunicata.

Inoltre, sappiano coloro cui è giunta questa arte: il nostro ingegno non è tale né da essere legato a una determinata corrente di filosofia altrui né da disprezzare universalmente qualunque altro indirizzo filosofico. Davvero non c’è nessuno che non teniamo in gran conto tra coloro che si sono appoggiati al proprio ingegno per giungere alla contemplazione delle cose e che hanno costruito qualcosa con arte e metodo. Non trascuriamo i misteri dei Pitagorici, né sminuiamo la fede dei Platonici e non disprezziamo neppure i ragionamenti dei Peripatetici, quando si fondano su una premessa reale.

 

L’operazione iniziatica appare chiara: un percorso non per tutti, ma accessibile a tutti.

Una iniziazione progressiva dove conformemente a stati interiori di consapevolezza e di percezione, corrispondono capacità ricettive di insegnamenti arcaici, sempre più vicini alla Sorgente iniziale di gnosi.

 

“Quando l’orecchio del discepolo è pronto a ricevere la parole, giungono le labbra del Maestro a pronunciarle”[vi]

 

 

Con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492 e con la rivoluzione copernicana del 1530[vii], il mondo occidentale si trovò a fare i conti con una nuova realtà.

Erano crollati muri e barriere che si credevano invalicabili e definiti per sempre; tutto tornò in discussione, il predominio del papato subiva la riforma luterana dopo quella anglicana, il mondo diventava più ampio e si preparava una nuova era, quella della modernità.

Bruno comprese ed accettò il sistema copernicano, ma alzò la testa verso le stelle, verso l’universo infinito e nella “Cena de le Ceneri” portò la sua critica a Copernico.

La Cena de le Ceneri è il primo dei sei dialoghi italiani seguito dal “De la causa, principio et uno” e il “De l’infinito universo et mondi”, come primo trittico sul concetto di infinito universo e lo “Spaccio de la bestia trionfante”, la “Cabala del cavallo pegaseo” e “De gli eroici furori” per indicarne la riforma etico, morale e sociale che tale percezione comporta passando attraverso la tecnica cabalistica come chiave di lettura dell’intelleggibile, per la liberazione dell’animo umano nei furori.

Bruno li scrisse e pubblicò tutti a Londra, nell’arco di due soli anni dal 1584 al 1585, e in italiano, come il precedente “Il Candelaio”, commedia anch’essa in volgare per rivolgersi ad un pubblico più vasto e lanciando semi da fare attecchire e germogliare negli animi più predisposti, capaci poi di seguirlo nelle opere latine dove affina e da metodologie operative al suo pensiero.

Ne ”La cena delle ceneri”, Bruno getta le basi della sua “nova filosofia”e racconta di come si scontrò coi dottori di Oxonia per la sua critica all’eppur nuova e straordinaria teoria copernicana. Ma la sua non era critica, era solo un completarla, intuiva l’Universo infinito senza centro….  o con  infiniti centri.

Copernico s’era limitato a sostituire  il geocentrismo con l’eliocentrismo, aveva intuito, ma non fino in fondo, aveva calcolato, ma nei limiti dei calcoli, non aveva immaginato equazioni più profonde. Bruno intuì l’universo, infinito, senza limiti e con innumerevoli mondi: da questa intuizione inizia il suo percorso, come nuova condizione umana ad una nuova concezione del mondo.

Il presupposto fondamentale di tutta la filosofia bruniana è che: una volta ammesso che Dio è infinito, e questo lo ammettevano anche prima di Bruno, e una volta ammesso, soprattutto con Bruno e proprio nella Cena, che anche la natura è infinita, due infiniti non possono concettualmente coesistere rimanendo separati e distinti, ma due infiniti non sono che un medesimo infinito.

E il sapiente, il filosofo, il mago, colui che cerca, cerca la natura, ma nel cercare nella natura, cerca anche Dio, Dio che è fatto natura. (Emblema Atalanta Fugiens)

Bruno parla di  “profonda magia”, cioè di quella magia che è un sapere tanto forte da essere in grado di penetrare nelle segrete singolarità della realtà naturale e nella Cena delle ceneri fa precisazioni importanti, ispirato da un punto di vista speculativo dal pensiero di Plotino, in termini di filosofia religiosa, il problema del rapporto tra Dio e Natura:

Dio è trascendente, rispetto alla natura, che agostinianamente ha creato rimanendo al di la di essa,[viii] oppure: Dio è immanente nella natura, cioè è l’attività produttrice che è come il motore interno della natura, ma non se ne distacca.

E nella Cena delle Ceneri, per trovare una via d’uscita dallo scontro con la filosofia trascendentistica dominante, Bruno adopera l’idea plotiniana del duplice atto. Infatti parla delle due Sofie: una, la sapienza di Dio, trascendente, e la sapienza, viceversa terrena, immanente nella natura; e dice che all’uomo è dato di conseguire soltanto la seconda, la sofia terrena, in cui la verità è immanentizzata nella natura; quell’altra Bruno non la nega ma riconosce che è preclusa alla capacità dell’uomo.

Ma in quella che Bruno chiama sofia terrena, cioè la conoscenza della natura, è una conoscenza in cui, che cosa si conosce? Che cos’è che costituisce il vero e proprio contenuto di questo conoscere? La verità è l’idea, ma l’idea noi non la vediamo e tocchiamo; piuttosto noi vediamo e tocchiamo le cose sensibili che sono, platonicamente “ombre delle idee”, come Bruno titola appunto la prima delle sue opere.

 

3 – Ad una nuova visione del cosmo deve  necessariamente corrispondere una  nuova visione dell’uomo.

Con queste parole poste all’inizio della cena delle ceneri, Bruno annuncia la nuova era, che apre lui stesso, lui che

“ha disciolto l’animo umano e la cognizione, [ix]……

e

……. ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, che vi s’avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossì al cospetto d’ogni senso e raggione, co’ la chiave di solertissima inquisizione aperti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i ciechi…..

e

……. Far quel progresso col spirto che non può far l’ignobile e dissolubile composto“

Ignobile e dissolubile composto che è il corpo umano appesantito dalla materia.

Bruno s’erge come uomo cerniera fra il vecchio e nuovo mondo che s’apriva col ‘600, ultimo della tradizione rinascimentale che con immagine plotiniana, traboccava, aprendo la via al secolo dei lumi.
La sua nuova visione dell’universo dentro il quale l’uomo si inserisce e si ritaglia un proprio spazio, fatto a misura di ciò che realmente è, per quello che vale e per come può incidere nella realtà che lo circonda, che è a sua perfetta somiglianza: ciò che è percepisce, come se si specchiasse in se stesso. Vedeva il rapporto uomo – natura come immagine riflessa da uno specchio: quello che esiste oltre lo specchio non è altro che ciò che gli mostra. La natura si riflette in noi come noi in lei, in una vicissitudine dove l’uomo diviene sempre  centro di quell’universo che da lui si propaga.
Dal macro al micro cosmo, l’uomo si pone quindi in modo nuovo, come uno degli infiniti punti e quindi sempre centro per suo volere, potere ed azione:

“Se l’universo è infinito, ogni punto è centro dell’universo”

La dimensione della visione del reale si sposta quindi dall’orizzontale al verticale.
Posto che la percezione sensoriale non rappresenta che uno degli infiniti modi con cui si può percepire la realtà e posto che il nostro “punto di osservazione” dipende esclusivamente da come siamo “NOI” e da come osserviamo il mondo e che da questo punto d’osservazione noi agiamo, interveniamo sul divenire, interagiamo con esso, con l’intensità della nostra energia data dal modo e dal mondo in cui viviamo e da cui percepiamo la realtà, quel che di essa assorbiamo e di cui ci alimentiamo, e come con essa interagiamo.                                            
Passare dall’orizzontale al verticale, significa quindi “porsi” ad un determinato livello o piano geografico, geometrico o geodetico di vibrazione, assorbendo l’energia che poi il reale ci restituisce.

“La costruzione d’una natura padroneggiabile dalla mente perché la mente possa ricevere a sua volta ritmo e proporzione dalla natura”[x]

 

Con la sua sfolgorante visione, Bruno apre le porte al mondo moderno, mondo della ragione, della scienza, della ricerca e della conoscenza che vede nell’uomo non tanto il centro dell’universo come scopo del creato per intervento divino, ma la centralità dell’uomo nell’universo, come una delle tante manifestazioni della natura, capace di percorrere la strada che lo porta sempre più ad una dimensione finanche “divina” del tutto. Proprio come Pico aveva magnificamente espresso sul finire del XV° sec.

” Non ti diedi, Adamo, una stabile dimora, ne un’immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà, quella dimora, quell’immagine, quella prerogativa che avrai scelto sicuramente. Una volta definita la natura alle restanti cose, sarà pure contenuta entro prescritte leggi. Ma tu senz’essere costretto da nessuna limitazione, potrai determinarla da te medesimo, secondo quell’arbitrio che ho posto nelle tue mani. Ti ho collocato al centro del mondo perché potessi così contemplare più comodamente tutto quanto è nel mondo. Non ti ho fatto del tutto né celeste né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine.”[xi]

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4 – Bruno e il movimento rosacrociano

Una fredda mattina di febbraio, il 17 febbraio 1600, questa altissima mente venne spenta per sempre e consegnata alla storia.                                                       
”Questo rogo arderà in eterno”, venne detto proprio da chi aveva emesso quella sentenza e che aveva più paura di colui al quale quella sentenza era diretta.                                          
Ma certe tracce non si persero ed a Parigi, Tolosa, Ginevra, Londra, Francoforte, Wittesburg, Praga, Venezia, Padova, Roma, tutti luoghi e Università dove Bruno era stato accolto, aveva stretto amicizie e lasciato discepoli, non rimasero sordi alle sue parole. Rimase un certo collegamento in certi circoli o cenacoli. Era pericoloso parlar di Bruno e leggere i suoi libri scampati ai roghi cui vennero condannati con la stessa sentenza del 17 febbraio ‘600.

Il XVII° secolo s’era aperto con un rogo tanto “eclatante”, nella “santità” dell’anno santo, che sottolineava la pericolosità della reazione papista nel reprimere idee progressiste in ambito filosofico e scientifico. Ma non si possono ingabbiare le idee, che circolano oltre le frontiere e i regimi, con la leggerezza dell’aria che li sospinge.

Gli emblemi bruniani divennero simboli di realtà interiori che pochi possono interiorizzare. Emblemi e simboli che sottintendono stati dell’animo e solo coloro che sono ,“iniziati”, a tali letture sanno percepire e leggere come scrittura interiore, in teatri della memoria.

Numerosi [xii] i particolari da citare, per tutti i primi tre lustri del ’600 le idee della “nova Filosofia” circolarono più o meno velatamente.

Poi accadde che nel 1614 in tutta Europa apparve uno scritto in cinque lingue, e si diffuse nei luoghi e tra i “dotti” che furono ferventi estimatori ed acclamatori delle lezioni bruniane: la nuova realtà si manifestava agli occhi dell’Umanità alla luce delle nuove scoperte dando un rinnovato slancio verso la comprensione razionale dell’uomo e della natura.

La “Fama Fraternitatis o Rivelazione della Confraternita del Nobilissimo Ordine della Rosa-Croce, dedicata a tutti gli uomini dotti e ai sovrani d’Europa”, stampata a Kassel da Willhelm Wessel nel 1614 [xiii] , s’apre con un preambolo di puro stampo ermetico e neoplatonico, richiamando quell’appello tanto caro a Bruno per una riforma generale come espressa nello “Spaccio della bestia trionfante” una prosecuzione, una maturazione, ora si, adatta ai tempi.

Questo l’inizio della “Fama”:

“Poiché l’unico dio saggio e misericordioso ha riversato sull’umanità la sua misericordia e bontà con tanta dovizia, da permetterci di conseguire una conoscenza sempre maggiore e perfetta di suo figlio Gesù Cristo e della Natura, possiamo vantarci a buon diritto di vivere in un tempo felice in cui s’è rivelata quella metà del mondo  fino ad ora a noi sconosciuta e celata. Ci ha fatto conoscere molte meravigliose opere e creature della natura mai viste prima, ma ha anche fatto sorgere uomini di grande sapienza, che potrebbero in parte rinnovare e condurre a perfezione tutte le arti, ora contaminate e imperfette, cosicché l’uomo possa finalmente comprendere la sua nobiltà e il suo valore e perché sia chiamato microcosmus e quanto la sua conoscenza si estenda nella natura”.

Il manifesto è preceduto da un preambolo “La Generale  riforma dell’Universo dei sette savi della Grecia e da altri letterati, pubblicata per ordine di Apollo, conturia 1. Ragguaglio 3” traduzione tedesca dei “Ragguagli del Parnaso di Traiano Boccalini”, Venezia 1612 – 1613.

Benché la voce di Bruno appaia presto soffocata in Italia, una eco rimase nei “Ragguagli del Parnaso” di Traiano Boccalini con la loro ironica discussione di questioni contemporanee nel quadro di un convegno tenuto sul Parnaso sotto la presidenza di Apollo. Quest’opera ricorda lo Spaccio bruniano sia per l’uso lucianesco che fa della mitologia per presentare un atteggiamento politico simile, che per annunciare una nuova era di conoscenza tra gli uomini.

Il Boccalini era un liberale veneziano animato da sentimento antispagnolo e quindi fortemente critico verso il papato imperiale e l’eroe della sua opera è Enrico IV il Navarra. [xiv] E proprio sull’amicizia e la lungimiranza del Navarra, Bruno fondava le sue speranze di riforma;da notare anche di come venne accolto favorevolmente dai luterani di Wittemberg tanto che nel suo esaltante discorso all’università, profetizzò la scoperta della verità tra di loro.

Inoltre nella sua delazione contro Bruno fatta all’Inquisizione, il Mocenigo riferisce che:

“questi aveva detto di avere avuto l’intenzione di “farsi autor di una nuova setta sotto nome di nova filosofia. E molte volte dicea che in Germania li anni passati erano tenute in prezzo l’opere di Lutero, ma che adesso non erano più stimate, perché doppo che hanno guastato l’opere sue non vanno cercando altro; e che havea cominciata una nuova setta in Germania, e voleva tornare a formarla et istituirla meglio, e che volea si chiamassero giordanisti” [xv]

Altri informatori fecero a stessa insinuazione, aggiungendo che se fosse liberato di prigione  li sarebbe tornato perchè la sua riforma attirava particolarmente i luterani tedeschi. [xvi]

L’aria luterana del movimento dei Rosacroce sottolinea l’ipotesi di uno stretto legame con i contenuti della riforma predicata da Bruno e annunciata nello Spaccio, una visione totalmente laica dell’uomo affrancato da ogni dogma fideistico, liberato dalle catene dell’ignoranza e finalmente in grado di forgiarsi da se.

Nella cabala e l’alchimia dei Rosacroce, si afferma che le divisioni della cristianità tra romani, luterani e calvinisti sono irreali e non vanno tenute in alcun conto dal momento che tutti sono in fondo la stessa cosa e tendono allo stesso fine.

Nel movimento dei rosacroce abbiamo una sopravvivenza, una continuazione di quelle tendenze irenistiche  e liberali che erano state caratteristiche dell’ermetismo religioso del XVI° secolo e che Bruno aveva tradotto in pratica durante le sue peregrinazioni da un paese all’altro predicando contro la “pedanteria” ovunque vi si imbattesse. Stessa caratteristica si può dare al movimento rosacrociano, tanto che si può affermare in generale una continuazione, da parte dei Rosacroce, del motivo di riforma in un contesto ermetico che era stato caratteristico di Bruno. [xvii]

I Rosacroce rappresentano in qualche modo la tradizione ermetico e cabalistica del rinascimento, facendola rivivere in stretta associazione con idee religiose; la loro magia e la loro cabala erano più un ritorno alle origini rinascimentali che espressione dei più recenti sviluppi di quella tradizione, così come si vennero  configurando in Bruno e Campanella.

Era certamente giunta a loro la voce del movimento di riforma predicata da questi due missionari, che avevano effettivamente propagandato la loro missione in Germania.

Si può quindi supporre che le aspirazioni ad una riforma universale in un contesto ermetico nutrite dai Rosacroce debbano qualcosa sia a Bruno che a Campanella

 

 

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5 – Bruno e la Massoneria

Esiste oppure no un rapporto fra i Rosacroce e le origini della Massoneria?

Della Massoneria come istituzione si sente parlare per la prima volta nell’Inghilterra nel XVII° secolo, quando Elias Ashmole afferma di essersi fatto massone in una loggia di Warrigton nel 1646.

Dall’ ammissione di massoni “accettati” deriva verosimilmente l’ingresso nel simbolismo muratorio di tematiche non direttamente legate al mestiere, ma appartenenti alla cultura ermetico-alchemica e cabalistica dell’Europa occidentale tra il XV e il XVII secolo. Viene indicato frequentemente, come esempio di siffatta osmosi, il caso di Elias Ashmole, famoso erudito ed ermetista inglese, nato nel 1617 e curatore di raccolte di scritti alchemici.


Si sostiene che Ashmole appartenesse alla mitica fratellanza dei Rosa Croce, come il teologo protestante Johann Valentin Andreae. La letteratura d’ispirazione rosacrociana richiamò l’interesse di quasi tutti gli intellettuali dell’epoca, compresi Cartesio e Leibnitz, provocando polemiche da un capo all’altro d’Europa. In Inghilterra le idee ermetiche e utopistiche dei Rosa Croce influenzarono probabilmente la concezione della New Atlantis di Francis Bacon e trovarono in Robert Fludd un accanito sostenitore. Ne fu affascinato lo stesso Ashmole e Isaac Newton studiò le opere del celebre scrittore rosicruciano tedesco, Michael Maier.

Certamente esistevano in Inghilterra tradizioni ed origini anteriori alle quali si rifacevano Ashmole e il suo gruppo, ma al momento se ne sa ancora poco.

Può essere significativo che Bruno predicasse non solo ai luterani tedeschi, ma anche ai cortigiani dell’Inghilterra elisabettiana?

La missione di Bruno in Inghilterra, con il suo richiamo a idee sociali e mistiche anteriori alla riforma, con la sua deprecazione della rovina delle grandi abbazie e dei grandi monasteri, ha molto in comune con quegli antichi massoni.

In Inghilterra, Bruno applicò il suo ermetismo alla devozione per la monarchia, al culto cavalleresco tributato ad Elisabetta I  dai suoi cavalieri. Gli interessi del primo massone a noi noto, Ashmole, non contrasterebbero con l’idea che egli fosse influenzato da motivi che risalivano ai circoli di corte del tempo di Elisabetta. Ashmole era un fervente realista con un forte interesse per la storia della cavalleria. Che l’influenza di Bruno perdurasse in circoli di corte è indicato pure dal Coelum Britannicum, rappresentato a corte solo dodici anni prima dall’ingresso in massoneria di Ashmole

E’ molto plausibile che l’importazione delle idee dei Rosacroce in Inghilterra, da cui vennero influenzati Fludd e Ashmole possa essersi incrociata con una precedente corrente cortigiana influenzata da Bruno, dando così vita alla massoneria.

In ogni caso la nuova comprensione della natura, l’influenza di Bruno nella cultura in Inghilterra e in Germania ne fa una figura chiave per lo studio di quegli impulsi attraverso i quali l’ermetismo rinascimentale confluì nei canali sotterranei delle società esoteriche del XVII secolo.

Si dice che il Faluto Magico di Mozart esprima alcune sue credenze massoniche. Se è così, potremmo avere in quest’opera una traduzione in immagini poetiche e musicali del tema della buona religione degli Egiziani, dei misteri di Iside e Osiride a cui vengono iniziati i buoni, dell’atmosfera magica attraverso la quale l’anima dell’uomo procede verso una salvezza ermetico-egiziana. Naturalmente era la massoneria continentale quella cui era in contatto Mozart. Ma tutta la massoneria continentale derivava in ultima analisi dall’Inghilterra; ed era stato nell’Inghilterra elisabettiana che Giordano Bruno aveva così appassionatamente predicato la rinascita della religione egiziana. Il nome di Zarastro, il grande sacerdote, rifletterebbe l’immagine di Ermete Trismegisto che compare nelle genealogie di sapienti del Rinascimento.[xviii] [1]Bruno prende come base l’ermetismo magico egiziano, predica una specie di controriforma e profetizza un ritorno alla tradizione egiziana grazie al quale le difficoltà religiose si comporranno in una soluzione nuova. Propugna una riforma morale, accentuando l’importanza  di buone opere sociali, di una etica rispondente a criteri di utilità sociale.

Dove mai si ritrova una simile sintesi di tolleranza religiosa, di solidarietà psicologica col passato, il ricorso alla tradizione,di esaltazione delle buone opere, di adesione entusiastica alla religione e al simbolismo degli egiziani?

L’unica risposta a questa domanda è: nella massoneria, con il suo mitico collegamento con i muratori medioevali come tramandatori di una sapienza antica, comprensibile solo a pochi ed esprimibile solo attraverso simboli che non sono altro che geroglifici, scritti sulla pietra per avere durata eterna ed incorruttibile dal tempo, con la sua tolleranza, la sua filantropia e il suo simbolismo egiziano..

La massoneria come istituzione ben caratterizzata, non appare in Inghilterra che agli inizi del XVII° secolo, ma sicuramente essa ebbe precedenti e tradizioni che risalgono molto indietro nel tempo. A questo punto non possiamo fare a meno di domandarci se non sia stato proprio fra gli inglesi spiritualmente insoddisfatti, i quali forse trovarono nel messaggio “egiziano” di Bruno qualche motivo di sollievo, che i temi del Flauto magico risuonarono per la prima volta nell’aria. [xix]

 

 

 .

 

6 – Il Flauto Magico

 

Il Flauto Magico è la sintesi estrema della magistrale sapienza di Wolfgang Amadeus Mozart, che si consegna alla storia come straordinario testamento spirituale di un uomo che è, ancor prima che compositore, un intellettuale di primo piano in un’epoca di eccezionali mutamenti nella storia dell’Occidente moderno.                                                                    
Profondo è il significato simbolico del libretto, nominalmente attribuito a Emanuel Schikaneder ma in realtà frutto di un «lavoro collettivo» di cui lo stesso Mozart fu attivo compartecipe con elementi massonici ed ermetici, riferimenti a leggende e miti, antichi quanto la presente Umanità. [xx]

Il capolavoro mozartiano è opera sinceramente animata da uno spirito tradizionale; quello spirito, trasmessosi di epoca in epoca, che Mozart e Schikaneder avevano ricevuto dall’iniziazione, dal metodo e dagli insegnamenti della Libera Muratorìa.          
Una ricerca volta a mettere in rilievo la dimensione del sacro nell’uomo e oltre l’uomo, una prospettiva di ordine intellettuale nel senso più ampio ed elevato del termine.

Una riflessione che si può seguire personalmente, allorché sarà realmente una propria aspirazione, il condurre dalla “potenza” all’atto” quelle possibilità di conoscenza con cui “squarciare il velo dell’ eterna notte” dell’apparenza, consapevole del cammino impervio, per realizzare il quale, come per il protagonista del Flauto magico, occorreranno una via, un metodo e una determinazione straordinari. Una struggente nostalgia verso le radici più distanti dell’Occidente, che affondano all’antico Egitto dei faraoni, delle piramidi dalle proporzioni gigantesche, delle sfingi enigmatiche. Questa nostalgia si tinge dei colori del mistero poiché l’Egitto è la patria di Ermete Trismegisto, mitico fondatore della filosofia ermetica, che è all’origine di ogni corrente di esoterismo occidentale.

Nel Flauto magico si raccontano le vicissitudini della coppia eletta Tamino – Pamina, espressione della polarità simbolica Sarastro – Regina della notte, doppiata da quella terrena di Papageno – Papagena. E’ singolare notare che poi lo stesso Schikaneder come Papageno si raffigurasse nel 1801 sul bassorilievo del Wien Theater, rappresentando la grossolanità del suo linguaggio terreno con Papageno ove sempre paura, apprensione e desideri di senso l’accompagnano assieme al Mozart – Tamino che con la leggerezza e soavità della musica scioglie i legami grossolani e conduce alle soglie del sublime, al Tempio, dove Sarastro e la Regina della Notte governano gli animi degli uomini, riflesso ancor loro della dualità Iside e Osiride a cui si rivolgono per tutta l’opera.

 

E’ posto a Chio nel luogo più alto il volto di Diana.

Il quale appare triste a quanti entrano nel tempio, ilare invece a quanti ne escono.

Ugualmente la lettera di Pitagora, tracciata con un segno bicorne, dona la più eccellente conclusione a coloro cui mostrò il truce aspetto del sentiero di destra.

Delle ombre che dalla profonda tenebra emersero, adesso appaiono assai aspri,  ma saranno alla fine graditi sia il volto sia la lettera”. Introduzione al ‘De Umbris idearum

 

 

 

 Roberto Momi

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia:

Giordano Bruno – Dialoghi Italiani

Giordano Bruno – Le Ombre delle Idee

Frances A. Yates – L’illuminismo dei Rosacroce

Frances A. Yates – Giordano Bruno e la tradizione ermetica

Giancarlo Domenichini – Giordano Bruno, percorsi antologici

Angelo Foletto – Introduzione al Flauto Magico


[1]


[i] “Mihi Mercurium primoTermaximum, mox Platonem mandavit interpretandum” così racconta lo stesso Ficino  nella dedica a Lorenzo il Magnifico dell’epitome e del commento a Plotino.

[ii]  Interessante a tal proposito le opere del Botticelli, le prospettive di G.B. Alberti

[iii] Bruno attinse abbondantemente dai talismani ficiniani, ma senza le inibizioni cristiane del Ficino e riteneva che la tradizione ermetica egiziana fosse migliore del Cristianesimo,  utilizzando l’elaborata ‘’plotinizzazione’’ ficiniana dei talismani.

[iv] E ciò appare in diretta derivazione della neoplatonica interpretazione  ficiniana delle immagini celesti, pero’ spinta ad un limite molto piu’ audace.

[v]           Da qua puoi inferire, come la sapienza de gli Egizii, la quale è persa, adorava gli crocodilli, le lacerte, li serpenti, le cipolle; non solamente la terra, la luna, il sole ed altri astri del cielo; il qual magico e divino rito (per cui tanto comodamente la divinità si comunicava a gli uomini) viene deplorato dal Trimegisto, dove, raggionando ad Asclepio, disse: – Vedi, o Asclepio, queste statue animate, piene di senso e di spirito, che fanno tali e tante degne operazioni? Queste statue, dico, prognostricatrici di cose future, che inducono le infirmitadi, le cure, le allegrezze e le tristizie, secondo gli meriti ne gli affetti e corpi umani? Non sai, o Asclepio, come l’Egitto sia la imagine del cielo, e per dir meglio, la colonia de tutte cose che si governano ed esercitano nel cielo? A dir il vero, la nostra terra è tempio del mondo. Ma, oimè, tempo verrà che apparirà l’Egitto in vano essere stato religioso cultore della divinitade; perché la divinità, remigrando al cielo, lasciarà l’Egitto deserto; e questa sedia de divinità rimarrà vedova da ogni religione, per essere abandonata dalla presenza de gli dei, perché vi succederà gente straniera e barbara senza religione, pietà, legge e culto alcuno. O Egitto, Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, anco incredibili alle generazioni future, alle quali non sarà altro, che narri gli pii tuoi gesti, che le lettere sculpite nelle pietre, le quali narraranno non a dei ed uomini (perché questi saranno morti, e la deitade sarà trasmigrata in cielo), ma a Sciti ed Indiani, o altri simili di salvaggia natura. Le tenebre si preponeranno alla luce, la morte sarà giudicata più utile che la vita, nessuno alzarà gli occhi al cielo, il religioso sarà stimato insano, l’empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono. E credetemi che ancora sarà definita pena capitale a colui che s’applicarà alla religion della mente; perché si trovaranno nove giustizie, nuove leggi, nulla si trovarà di santo, nulla di relligioso: non si udirà cosa degna di cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarranno, li quali meschiati con gli uomini forzaranno gli miseri all’audacia di ogni male, come fusse giustizia; donando materia a guerre, rapine, frodi e tutte altre cose contrarie alla anima e giustizia naturale: e questa sarà la vecchiaia ed il disordine e la irreligione del mondo. Ma non dubitare, Asclepio, perché, dopo che saranno accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del mondo, l’omnipotente proveditore, per diluvio d’acqua o di fuoco, di morbi o di pestilenze, o altri ministri della sua giustizia misericordiosa, senza dubbio donarà fine a cotal macchia, richiamando il mondo all’antico volto.

 

Corpus Hermeticum: lamento di Asclepio nello Spaccio della Bestia trionfante, dialogo 3°, p.2

[vi] assioma ermetico

[vii]  Nel 1517 Copernico. iniziò la stesura della sua opera principale, il De revolutionibus orbium coelestium (La rivoluzione delle sfere celesti), che terminò nel 1530. L’opera venne pubblicata a Norimberga da uno stampatore luterano solo poco tempo prima della sua morte nel 1543.

[viii] Per Agostino Dio ch’è pure dentro di noi, “in interiore homine abitat Deus”, ha creato il mondo rimanendone separato.

[ix]          “ha disciolto l’animo umano e la cognizione, che era rinchiusa ne l’artissimo carcere de l’aria turbulento; onde a pena, come per certi buchi, avea facultà de remirar le lontanissime stelle, e gli erano mozze l’ali, a fin che non volasse ad aprir il velame di queste nuvole e veder quello che veramente là su si ritrovasse, e liberarse da le chimere di quei, che, essendo usciti dal fango e caverne de la terra, quasi Mercuri ed Apollini discesi dal cielo, con moltiforme impostura han ripieno il mondo tutto d’infinite pazzie, bestialità e vizii, come di tante vertù, divinità e discipline, smorzando quel lume, che rendea divini ed eroici gli animi di nostri antichi padri, approvando e confirmando le tenebre caliginose de’ sofisti ed asini. Per il che già tanto tempo l’umana raggione oppressa, tal volta nel suo lucido intervallo piangendo la sua sì bassa condizione, alla divina e provida mente, che sempre ne l’interno orecchio li susurra, si rivolge con simili accenti:

Chi salirà per me, madonna, in cielo, a riportarne il mio perduto ingegno?

Or ecco quello, ch’ha varcato l’aria, penetrato il cielo, discorse le stelle, trapassati gli margini del mondo, fatte svanir le fantastiche muraglia de le prime, ottave, none, decime ed altre, che vi s’avesser potuto aggiongere, sfere, per relazione de vani matematici e cieco veder di filosofi volgari; cossì al cospetto d’ogni senso e raggione, co’ la chiave di solertissima inquisizione aperti que’ chiostri de la verità, che da noi aprir si posseano, nudata la ricoperta e velata natura, ha donati gli occhi a le talpe, illuminati i ciechi che non possean fissar gli occhi e mirar l’imagin sua in tanti specchi che da ogni lato gli s’opponeno, sciolta la lingua a’ muti che non sapeano e non ardivano esplicar gl’intricati sentimenti, risaldati i zoppi che non valean  far quel progresso col spirto che non può far l’ignobile e dissolubile composto“ – Cena de le ceneri dialogo primo

 

[x] Italo Calvino  – collezione di sabbia

[xi] Pico della Mirandola, “Oratio de hominis dignitate” Firenze 9 giugno 1485.

[xii] Galileo, dialoghi sui massimi sistemi, Shakespeare, Traiano Boccalini: Ragguagli sul Parnaso etc.

[xiii] sottolineo come l’appello sia rivolto a quei dotti ai quali Bruno si rivolgeva bell’incipit al De Umbris e di come quei sovrani siano poi gli stessi presso i quali si svolse la “missione” di Bruno – Mercurio nella sua peregrinazio terrena

[xiv] I ragguagli del Parnaso fanno ricorso a numerosi temi bruniani e quando sul Parnaso giunge notizia dell’assassinio del Navarra, Apollo si copre il volto con una spessa nube ed esclama tra profondi sospiri “che il mondo era giunto alla fine e di presto dover ritorar al suo primo principio, poiché la scelerata perfidia di alcuni era pervenuta a tal colmo di empietà”.

[xv] sommario, p.61 e pp.57 e 59

[xvi] Yates pag 340

[xvii] Yates pag.444-445

[xviii] Yates pp. 446-447

[xix] Yates pag.300

[xx]         Dal Flauto magico, atto II

            – Guardiani della soglia:

                Chi percorrerà questa strada piena di insidie,

                fuoco, acqua, aria e terra purificheranno,

                se saprà vincere il terrore della morte,

                si innalzerà dalla terra al cielo.

                Così illuminato, potrà

                Darsi completamente ai misteri di Iside.

                – Tamino:

                Non c’è morte che mi distolga dal mio agir da uomo,

                e dal proseguire la via della virtù.

                Apritemi le porte del terrore,

                sereno, tenterò l’audace percorso.

 

                …. Versi conclusivi dell’opera:

                – Coro:

                Salute a voi, o iniziati!

                Avete penetrato la notte,

                Grazie a te, Osiride,

                Grazie a te, Iside, spezzandola

                La Forza dell’animo ha vinto,

                e quale premio la cingano

                Bellezza e Saggezza

                di una eterna corona.

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