LA MASCHERA DI HIRAM

Una parabola insolitamente “troppo semplice” per racchiudere l’identità simbolica della massoneria. Scavando in essa si incontrano molti volti e molti nomi diversi di Hiram, per narrare le origini della Libera Muratoria. Sorge allora il sospetto che Hiram sia in realtà una “maschera” per nascondere qualcos’altro o qualcun altro. Ecco allora che dietro il “velo” della Bibbia spunta un altro mitico testo: il Libro dei Morti degli antichi egizi. Il segreto perduto della massoneria potrebbe quindi collocarsi proprio alla soglia fra la vita e la morte.

inserito il 22 05 2011, nella categoria Esoterismo, Maestro Massone, Simbolismo, Storia, Tavole dei Fratelli

Tavola del fr:. A:. Mu:.

Hiram: la leggenda fondante e fondamentale della massoneria azzurra; ma forse proprio per questa sua essenziale centralità finisce per essere il messaggio simbolico più dato per scontato e meno investigato all’interno dei templi della libera muratoria.

O meglio, la “Leggenda di Hiram”, proprio per la sua funzione identitaria del ruolo del massone (anzi dei ruoli, nei diversi gradi della sua vita iniziatica), è probabilmente l’aspetto che viene assunto ed assorbito dai fratelli in maniera più automatica e fideistica, senza troppi filtri dubitativi, senza riflettere troppo oltre i significati – per altro fortissimi e suggestivi – che vengono forniti e illustrati dai rituali, specie quello del terzo grado.

In fondo si tratta di una leggenda insolitamente chiara per un massone, una leggenda che spiega in maniera diretta l’essenza del segreto e della ricerca massonica (la parola perduta), i suoi essenziali aspetti etici e filosofici (la morte e la rinascita, il conflitto fra il bene ed il male) e spiega quasi senza alcuna velatura il nocciolo della pedagogia massonica (la necessità di maturare per gradi, il significato della maestria, eccetera).

Tanta chiarezza, tanta facilità di traduzione esoterica e simbolica, a pensarci bene sono decisamente insoliti, quasi sospetti, per il vissuto massonico, abituato invece ad arrovellarsi nell’affascinante ambiguità dei simboli e dei significati nascosti in ogni parola.

Allora cominciamo a “dubitare” di questo Hiram (ll dubbio, come vuole la più genuina prassi massonica, che lo considera il principale strumento di ricerca della verità). A domandarci chi è veramente, e se vi sono altri significati più reconditi e profondi nella sua leggenda. Innanzi tutto è bene cercare di chiarire se si tratta di pura leggenda o se vi è alla sua base una qualche realtà storica.

La prima risposta propende per la pura invenzione leggendaria del mito di Hiram, voluta dai riformatori massonici del XVII secolo per due essenziali ragioni: introdurre un terzo grado (quello di maestro) nell’ordinamento massonico che fino alla seconda metà del ‘700 ne prevedeva normalmente due soltanto (apprendista e compagno d’arte), ed inoltre per dare alla massoneria una mitologia antropologica che potesse conciliare, in modo avulso, antico testamento, filosofia egizia ed ellenica, cristologia (in fondo Hiram, come Gesù, muore e dopo un certo periodo di tempo resuscita).

In base alla cultura ed alla religione ebraica quella di Hiram non può essere che una leggenda per il semplice fatto che la tradizione rabbinica vuole che la costruzione del Tempio di Salomone fosse un’opera così santa che nessuno degli operai morì nel corso dei lavori. Tanto meno il principale direttore di tali lavori. Quanto meno non può trattarsi quindi di una leggenda originale nata o proveniente da questa cultura.

La costruzione del Tempio è ampiamente raccontata nel Vecchio Testamento, nei Libri dei Re e delle Cronache. Viene riportata anche da Giuseppe Flavio e da storici ebraici di epoca più tarda.

Non mancano dettagli, di grande precisione, sui materiali, sulle misure, su ogni particolare, perfino sugli arredi, utilizzati per la costruzione del Tempio.

E di Hiram cosa si dice? Beh, qui la precisione diventa più ambigua, e sorgono alcune contraddizioni con l’impianto della leggenda massonica in suo nome.

Innanzi tutto l’Hiram citato nelle Sacre Scritture è un forgiatore di metalli (gli vengono attribuite le colonne bronzee Boaz e Jachin, i loro capitelli, vari ornamenti come il “mare di bronzo” – un grande braciere ornato da dodici buoi –  dieci carrelli, vari utensili sacrificali, e tanti altri oggetti bronzei o d’altro metallo realizzati per il tempio… ma il suo nome non viene però associato alla scultura dei cherubini ed agli altri ornamenti aurei dell’arca dell’alleanza, quasi a farne una figura meno centrale di quella celebrata poi dalla massoneria). In ogni caso non gli viene attribuito alcun ruolo o competenza di grande architetto (ruolo che spesso, nelle scritture, Salomone attribuisce essenzialmente a se stesso).

Secondo il racconto biblico Hiram viene chiamato ad operare nel tempio, per adornarlo con le sue opere forgiate, quando questo è già stato praticamente edificato.

Per il rituale massonico (prima contraddizione) Hiram è invece il Maestro Muratore, l’Architetto principale, che non riuscì a vedere il completamento dell’opera. Lo stesso nome di Hiram è un rebus sia per gli esegeti delle scritture bibliche sia per quelli dei rituali massonici.

Nella Bibbia e negli altri testi correlati al Vecchio Testamento come il Libro dei Re e delle Cronache è indicato con diverse forme grafiche: Khuram o Khurum,  Hurum o Cheiran (che si pronuncia Kiram), infine Hiram che è divenuta la forma consacrata in massoneria.

Ad Hiram viene inoltre spesso associata l’espressione “Abi, Abif, Abiv”. In ebraico “Ab” significa “padre”, “Abi” significa “mio padre”, “Abif” significa “suo padre”. Si è comunque propensi a pensare che nel caso di Hiram Abif si tratti di un suffisso rafforzativo con un significato di rispetto e di appellativo onorifico, nel senso di “Padre Hiram”, “Hiram mio signore” o “monsignore”.

Ma “Abif” oltre che “padre” può significare, nell’esegesi ebraica, anche “figlio”, “suo figlio”. In questa accezione la genealogia di Hiram, nei testi biblici, è comunque abbastanza chiara: nel primo Libro dei Re è indicato come “figlio di una vedova della tribù di Neftali; suo padre era di Tiro… “. Definizione chiarissima, che però finì per creare una certa confusione di ruoli con un altro Hiram, indicato come Re di Tiro.

Intorno al 1930 si diffuse anche la teoria che Hiram il fabbro ed Hiram il re di Tiro potessero essere la stessa persona. Ma questa teoria non ha ottenuto alcun avvallo testuale.

Nello stesso periodo è stata avanzata anche un’altra teoria, quella dei due Hiram, padre e figlio (torniamo all’ambivalenza della parola Abi, Abif), entrambi esperti forgiatori, Alla morte del padre, Salomone avrebbe chiamato il figlio per completare il lavoro. Ma questa teoria cozza contro le consuetudini del tempo, in Oriente, dove si evitava l’omonimia tra padre e figlio.

Informazioni più lineari e probanti sulla figura di Hiram si possono ottenere in modo comparato dal primo Libro dei Re (VI-V secolo a.C.) e dal II Libro delle Cronache (III secolo a.C.).

Nel primo Hiram è definito “figlio di una vedova della tribù di Neftali; suo padre era di Tiro”. Nel secondo la madre è invece indicata come appartenente alla tribù di Dan, e si conferma che il padre era di Tiro.

Questa apparente contraddizione sulla maternità, in realtà è proprio quella che spiega e rende credibile l’effettiva genealogica di Hiram: si può infatti legittimamente dedurre che la madre fosse della tribù di Dan, mentre il padre fosse della tribù di Neftali e residente a Tiro, e che quindi la donna si sia spostata, come era d’uso, e lo è tuttora, presso la tribù del marito.

Questa interpretazione consente anche di distinguere l’Hiram forgiatore di metalli, dall’Hiram fenicio, re di Tiro. La genealogia del primo, collimata dal Libro dei Re e da quello delle Cronache, ne fa infatti un ebreo, residente in terra fenicia.

Molto meno lineare, e decisamente più contraddittoria, è invece l’esegesi del nome e del personaggio di Hiram nei testi massonici, soprattutto in quelli più antichi, antecedenti alla riforma ed alle costituzioni dal 1717 in poi.

L’insieme dei documenti massonici anteriori alle costituzione andersoniane del 1717, viene definito “Costituzione Gotiche”. Qui si parla per lo più di un artigiano, operante presso il tempio di Salomone, proveniente da Tiro, indicato spesso come “figlio del re di Tiro”. Ma sull’etimologia del nome si apre un vasto campionario di soluzioni: si va da Beniamin, a Hynon, Hyman, Ham, Aaman, Amnon, Annon, Annas, Aymen, Dynon, e Dyan.

A partire dal XIV secolo prende piede il nome Adonhiran. A questo riguardo si fanno due ipotesi. La prima che i compilatori dei proto-rituali massonici di allora intendessero deliberatamente riferirsi ad un altro personaggio biblico, l’Adonhiran indicato nel Libro dei Re come”sovrintendente dei tagliatori di cedri”. La seconda che si tratti dell’ennesimo rafforzativo onorifico di Hiram (Adon come “mio signore”, “monsignore”).

Il passaggio da Adonhiran ad Hiram potrebbe avere anche un significato corporativo particolare: la massoneria primitiva era un gilda di mestiere. E nella costruzione delle chiese nell’antichità prevaleva l’uso del legno (il tagliatore di cedri), mentre più tardi sarebbe tornata a prevalere la maestria della pietra e dei metalli (Hiram il fabbro e l’architetto).

Su questo passaggio, dalla leggenda del legno a quella della pietra, si riflette anche la primitiva esistenza di una leggenda massonica  legata a Noè, confluita poi in quella legata ad Hiram. Pur con molti punti in comune, la leggenda Noachica (rilevata in vari manoscritti massonici del 1726 e 1730) allude alla costruzione dell’arca e del tabernacolo, basata appunto sulla maestria del legno, più che alla costruzione del tempio di pietra. Anche in questa leggenda c’è un disseppellimento, quello di Noè, che viene effettuato dal figlio Cam, quasi come un atto negromantico. Tant’è che a questa leggenda sono collegate già nel medioevo diverse tradizioni di arti della magia nera. Una specie di lato più oscuro della stessa massoneria, che vedrà in Nimbrod, il figlio maggiore di Cam, un Gran Maestro di tutti i massoni, costruttore di numerose città. A ricordarci fra l’altro che noi massoni siamo discendenti di Tubalcain, il fabbro di Ur, e del suo progenitore Caino, e non di Abele, che rappresenta l’antica civiltà nomade della pastorizia, sopravanzata da quella del ferro, delle città e dell’agricoltura stanziale.

Ci sono poi, sempre nelle Costituzioni Gotiche, altri suggestivi filoni narrativi, che ricollegano l’origine e la nascita della fratellanza non solo a personaggi biblici (Salomone, il patriarca Noè, addirittura ad Adamo), ma anche all’antica sapienza greca, alla geometria insegnata da Pitagora, che nei testi massonici del V secolo a.C. appare, al posto di Hiram, con il nome di Peter Gower o Peter Gowan, o da lui, forse per ulteriori corruzioni ortografiche e semantiche, al principe Edwin, o a personaggio di ancor più incerta identificazione come Naymus Graecus, citato in moltissime costituzioni gotiche, attribuendogli l’introduzione in Francia della scienza muratoria, ovvero della Geometria, appresa presso il Tempio di Salomone. La grafia di quest’ultimo nome è decisamente oscillante, da Naymus Grecus a Mamom Grecus, “colui che insegnò l’arte della massoneria”. Non essendo finora riusciti ad attribuire alcun altro connotato storico-personale a questo nome, rimane l’ipotesi che le costituzioni dell’epoca indicassero, anziché una persona o personaggio fisico,  una possibile origine geografica della massoneria: Mamon Grecus, la Magna Grecia.

Di fatto comunque in tutti i manoscritti ed i codici proto massonici non appare sostanzialmente quasi mai il nome di Hiram Abif, mentre come “Maestro Massone”, capostipite della libera muratoria, il nome citato più spesso (alludendo al costruttore del tempio) è quello di “Aymon”, con le sue declinazioni “Amnon, Aymen, Aaman”. Difficile sostenere una possibile derivazione filologica da Aymon ad Hiram. Semmai appare più credibile la testi di alcuni secondo i quali il termine Aymon, attribuito al grande maestro perduto, altro non starebbe a significare che “a man”: un uomo. L’uomo! Insomma noi stessi, morti definitivamente alla vita profana, e rigenerati nella fratellanza della Luce.

Suggestivo, ma non del tutto convincente (anche in questo caso troppo semplice per essere massonico).

Ed allora se l’Hiram Abif che noi massoni moderni conosciamo non riesce ad “incarnarsi” in alcun personaggio né storico né mitico delle origini più lontane della libera muratoria, come può essere oggi la nostra leggenda fondante? Cosa significa davvero?

Se Hiram è oggi il punto d’arrivo di tanti nomi – diversissimi fra loro – attribuiti al primo architetto del tempio, forse vuol dire che è inutile cercare di identificare un nome preciso ed un personaggio reale. Forse vuol dire che Aymon, Mamon Grecus, Edwin, Peter Gowen, e tutti gli altri nomi che compaiono nelle costituzioni gotiche non sono volti, ma “maschere”, maschere di Hiram e di ciò che significa.

Anderson e Desagulier, i riformatori ed estensori delle moderne costituzioni massoniche che dal 1717 ad oggi regolano la fratellanza universale, forse non hanno fatto altro che sollevare in parte questa maschera (che probabilmente più nessuno all’epoca sapeva decifrare o riconoscere) per darci qualche indizio più intellegibile sull’ineffabile segreto massonico e sull’origine misteriosa della libera muratoria.

Ed ecco che i conti “massonicamente intesi” cominciano a tornare. Hiram, la sua maschera come metafora della verità “velata”, del simbolo da penetrare. Eccoci finalmente a calcare realmente il pavimento a scacchi della nostra istituzione.

Quale verità nasconde la maschera di Hiram? La domanda va forse meglio posta al passato: quale verità sul vero Hiram si voleva nascondere con il suo mascheramento dietro a tanti nomi difformi nei rituali proto-massonici (in particolare dal V al XVI secolo)?

L’ipotesi più probabile: il mascheramento di Hiram potrebbe nascondere le vere radici spirituali, filosofiche, ma si potrebbe benissimo dire religiose del pensiero massonico. Radici che affondano dove?

Due studiosi Christopher Knight e Robert Lomas nel loro celebre libro “la Chiave di Hiram” sostengono di aver individuate questa mitica figura di iniziatore della leggenda massonica in un antico faraone dell’Egitto più antico, Sequenenra Taa II, detto “il Valoroso”, vissuto circa duemila anni prima di Cristo, la cui mummia, rinvenuta nel 1881, presenta ferite straordinariamente coincidenti con i colpi alla tempia, alla gola ed alla fronte con cui, secondo la leggenda a noi tutti nota, i tre violenti compagni avrebbero ucciso il maestro Hiram.

Sequenenra il faraone del medio Egitto che si trovò ad affrontare uno dei primi scontri di civiltà della storia, fra gli Hyksos, popolo nomade e guerriero (il popolo dei primi carri da guerra) di provenienza asiatica-mediorientale, e la popolazione nera del sud, avviando la difficile riunificazione del regno (completata poi dal figlio, dopo la sua morte violenta, e dagli altri faraoni della XVII Dinastia).

Giunti in Egitto, sia pure attraverso la fantasiosa ricostruzione di due storici non troppo accademici (ma ben documentati) come Lomas e Knight, forse è opportuno restare ed investigare a ancora un po’ sul possibile ascendente egiziano della leggenda di Hiram.

Nell’antico egiziano il morto è concepito come “colui che cade” (Kher cadere, Kherit caduto).

Questa metafora del morire uguale a cadere – come sostiene Arturo Reghini (“Le parole sacre e di passo”) si ritrova anche nelle lingue della famiglia indo-europea (in latino: Cado, Cadaver).

Ora anche la morte di Hiram è una caduta. Egli soccombe sotto i colpi dei tre compagni traditori che vogliono carpirgli la parola sacra.

Per associazione di idee contrapposta, il ritorno alla vita, lo sfuggire alla morte, è raffigurato nell’antica lingua egizia con l’atto di rialzarsi, elevarsi, drizzarsi su in piedi (il contrario di cadere, morire).

Ecco dunque una prima scoperta dietro il velo di Hiram: vi troviamo il concetto di resurrezione (antica credenza persiana ereditata dagli ebrei).

Rafforza questa intuizione anche il significato recondito della parola di passo del grado di maestro (che qui, in camera di apprendista, non è possibile ripetere). Ebbene M:. B:.  fra i suoi tanti significati include anche quello di “prodotto della putrefazione, necessario per lo sviluppo di una nuova esistenza”, “la carne lascia le ossa”.

M:. B:., putrefazione e rigenerazione, ha dunque un rapporto diretto con la morte di Hiram.

M:. B:. figura come esclamazione in uno dei primi rituali disvelati al pubblico (da un certo Prichard in Inghilterra, con intenti dissacratori, intorno al 1730) in cui è descritta l’iniziazione al terzo grado.

In un altro rituale massonico del ‘700 si legge in seguente dialogo:

–          Come posso accertarmi che voi siete il vero maestro?

–          Conoscendo che io posso uccidervi e resuscitarvi!

Ora il fondamentale segreto di Hiram è quindi da ricercarsi sulla soglia della vita e della morte, nella velata possibilità di oltrepassare e ripassare attraverso di essa. In altre parole il segreto dell’aldilà.

Qui non stiamo più parlando della Bibbia (questo è il velo), ma dell’antico Libro dei Morti, il rituale funerario egizio, che conteneva tutte le prescrizione e le parole magiche per ottenere la “osirifiicazione” ovvero la possibilità di sopravvivere (almeno spiritualmente) alla propria morte.

I misteri egiziani, come quelli orfici ed eleusini, come quello di Cerere nell’antica Roma (al quale fu iniziato lo stesso Cicerone), non avevano altro scopo recondito e segreto se non quello di conferire all’iniziato l’immortalità privilegiata.

Nell’era pre-cristiana (ma sarebbe meglio dire prima della mistificazione paolina e cattolica) l’aldilà, per i più, era concepito come una specie di non vita. Nessuno immaginava una sopravvivenza individuale, forse nemmeno la desiderava. Questo almeno era il destino comune, ma ad alcuni, più meritevoli degli altri in vita per le loro buone azioni e per la loro rettitudine, era data la possibilità, attraverso particolari rituali, di ottenere una sorta di “sopravvivenza privilegiata” ben diversa dalla sorte dei comuni mortali.

In Grecia e nella Magna Grecia (ricordate gli altri nomi mascherati di Hiram: Mamon Grecus, Peter Gowen…) vi erano diffuse credenze e pratiche misteriche per conseguire questa speciale immortalità. Lo stesso vale per la Roma pagana.

Anche nel vecchio testamento, il Dio di Israele non si preoccupa troppo della sorte delle anime dopo la morte, bensì del benessere in terra del suo popolo eletto. Non certo del destino escatologico del singolo uomo (Polvere sei, polvere ritornerai).

La possibilità di una vita immortale per l’uomo nell’aldilà nella Bibbia è considerata originariamente perfino un’ipotesi satanica. Infatti ad affermarla è solo il serpente, quando si rivolge ad Eva: “mangia questo frutto, non morirai affatto, sarai come Dio”.

Un altro modo di sopravvivere era la metempsicosi, esplicitata nella kabala, dovuta a influenze egizio-elleniche, accolta e  tramandata anche dai pitagorici.

Il concetto di una trascendenza  – che per l’uomo comune si traduceva in una sorta di semiannientamento, e di una immortalità privilegiata per pochi virtuosi – deriva dall’area culturale babilonese, e si rafforza in Egitto, dove il destino dei defunti comuni era quello di diventare cibo per Apep, il divino serpente cobra “divoratore di eternità”.

Ma perché fare tanti sforzi per “nascondere” questo semplice concetto di trascendenza privilegiata da guadagnarsi con l’iniziazione e l’illuminazione della propria vita terrena?

Probabilmente l’esigenza di eclissare nell’esoterismo e nel segreto simbolico questa concezione, risale ai tempi in cui l’ondata integralista della nuova religione cristiana cominciò a travolgere violentemente il mondo antico, le sue credenze gentili, e la sua filosofia umanistica, promettendo a tutti i “poveri di spirito” (dice Righini) una democratica sopravvivenza individuale nell’aldilà, ed a promettere addirittura una resurrezione corporale per tutti, salvo distinguere buoni e cattivi, meritevoli del paradiso o dell’inferno, sulla base dell’ubbidienza o meno ai propri precetti ed ai propri dogmi e null’altro.

Comportarsi rettamente in vita non bastava più per meritare il paradiso (vedi il caso del “Perfetto” cataro ferrarese, Pungilupo, prima sepolto come filantropo nel duomo cittadino, poi, a distanza di diversi anni, conclamata la sua fede catara, disseppellito e bruciato postumo sul rogo come eretico).

La leggenda di Hiram doveva essere nascosta, velata, schermata, perché a quel punto, richiamando i concetti della metafisica precristiana, svelava la grossolanità della nuova teocrazia e l’incongruità delle sue promesse sull’aldilà.

Riconoscendo che le proprie radici sono state bagnate dalla fonte della cultura e della spiritualità egiziana, la leggenda massonica non poteva che sottintendere che l’egiziano Osiride era il prototipo di Gesù. E che gran parte degli insegnamenti di quest’ultimo era già stati incisi molti secoli prima sui papiri egiziani (o sulla tavola smeraldina di Ermete Trsimegisto: In alto come in basso… Come in cielo così in Terra”).

La massoneria non promette una resurrezione, promette una possibile rinascita. Il fratello che cade (muore) nella tomba di Hiram, e viene rialzato (rinasce) dagli altri fratelli (tramite la presa dei cinque punti della maestria) non è una resurrezione. Non è una continuità di sé stessi. E’ una rinascita, una nuova occasione, una nuova vita ad un livello di conoscenza superiore.

La morte fisica del massone, questo ci dice Hiram, difficilmente presuppone una continuità spirituale in un ipotetico aldilà individuale. La vera sopravvivenza è data dalle conseguenze e dalla sedimentazione delle azioni compiute in vita, nel ricordo che viene lasciato ai posteri (la capacità di essere ricordati, questa è la “sopravvivenza privilegiata” più tangibile per il massone). Ogni nostra cosa, spirituale e materiale, che abbiamo trasferito agli altri, è la nostra sopravvivenza.

La leggenda di Hiram infine ci insegna un’altra cosa preziosa anche sul potere, sul modo di scegliere e di essere un leader.

Ci insegna che un leader (politico, spirituale… ) deve indubbiamente possedere requisiti “regali”, ovvero la capacità di esercitare il potere per gli altri, al servizio degli altri, senza farne un privilegio. Per essere un vero leader bisogna essere come Hiram, disposti a perdere tutto, per non tradire il proprio impegno.

Quanti leader politici dell’attualità tormentata del nostro paese, ci appaiono disposti a perdere qualcosa per un minimo di coerenza?

La massoneria ha cullato quasi tutte le moderne democrazie. Quella americana in particolare. Ebbene gli stessi padri fondatori inzialmente pensarono di investire Washington di un titolo regale (re degli Stati Uniti), poi crearono un sistema per rendere comunque regale (nel senso di “consacrato” alla nazione) anche il potere presidenziale di una repubblica basata sul voto, sull’eguaglianza, la libertà e la ricerca della felicità. Per questo negli Usa il potere presidenziale, nonostante tante derive e tanti scandali, è ancora sostanzialmente rispettato da tutti i cittadini.

Ma lì c’è anche una diffusa “religione laica”, ovvero una ampia presenza massonica nella società, a tenere vivi questi valori.

Hiram infine ci insegna qualcosa anche sulla giustizia e sulla vendetta. I tre uccisori del maestro, secondo la leggenda, vengono perseguitati ed uccisi atrocemente, in quella che appare sulle prime una vera e propria vendetta fine a se stessa, un’applicazione diretta della legge del taglione (occhio per occhio, vita per vita),

Ma questa è solo la parte più esposta della leggenda. La sua versione completa recita che i congiurati erano quindici, ma che dodici (i 12 segni zodiacali, le 12 tribù, i 12 apostoli) poi si ravvederono, e solo tre (i vizi capitali) passarono all’azione omicida.

La leggenda insegna quindi che alla tentazione del male si può cedere. Ma che bisogna evitare che i propri errori diventino irreparabili. La morte di Hiram rende irreparabile ed impossibile il completamento dell’opera, impossibile  tramandare la parola, scioglie irrimediabilmente la catena d’unione. I tre colpevoli, vivendo non  potrebbero in alcun caso porvi rimedio. Per questo vengono giustiziati. Perché deve finire solo ciò che non serve più alla rigenerazione del futuro.

Ed allora si ritorna alla tomba di Hiram, dove spunta l’acacia. Saremo un buon humus per farla crescere? Avremo generato abbastanza luce per far avanzare il cammino dei nostri fratelli più giovani? Avremmo posto rimedio o compensato i nostri errori? Avremo profuso nel mondo abbastanza energia “buona” (positiva) per essere ricordati? Da queste risposte dipende la sopravvivenza privilegiata (nell’aldiqua) promessa a tutti noi da Hiram. Da queste risposte dipende la nostra vera identità massonica.

Il sacrificio di Hiram ci dice in definitiva che non si può essere massoni per hobby. Ma solo per cambiare la nostra vita e cercare di migliorare quella degli altri. Solo così l’acacia spunterà anche sulla nostra tomba. Altrimenti non saremo altro che cibo per Apep.

 Ho detto

A :.  M u:.

Ferrara, 26,01.2010 E.V.

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Nell’illustrazione: il ritrovamento della tomba di Hiram, passaggio fondamentale del rito di iniziazione al grado di Maestro Libero Muratore.

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BIBLIOGRAFIA

  • Luigi Sessa – Hiram e la Leggenda di Hiram – Bastogi
  • Arturo Righini – Le Parole Sacre e di Passo – Atanor
  • Knight e Lomas – La Chiave di Hiram – Mondadori
  • AA VV – Storia Universale Vol. I “L’Antico Egitto” – Rcs Corriere della Sera

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