Magia: il miracolo della cosa unica

inserito il 07 06 2025, nella categoria Ermetismo, Magia, Tavole di Loggia

«Come il sole è la luce del mondo, così l’intelletto lo è dell’anima, e l’illumina più del sole; infatti tutto ciò che il sole illumina è periodicamente privato della sua luce quando sopraggiunge la notte, per l’interporsi della terra e della luna. L’intelletto, dunque, quando si unisce all’anima umana diviene un’unica natura con essa per un’intima unione, per cui l’anima, così unita con l’intelletto non è mai privata della luce a causa delle tenebre dell’errore» (Asclepio, 18). Così insegna Ermete Trismegisto nell’Asclepio, indicandoci la pietra angolare della magia cerimoniale e naturale[1], vale a dire l’illuminazione interiore suscitata dal matrimonio mistico del Sole – simbolo dell’ispirazione sacra, dell’intelletto divino – e della Luna – simbolo della psiche umana.

Nel suo significato più ampio, la magia è l’arte di far accadere le cose. È un atto di determinazione e di volontà in cui gli esseri umani superano la passività e la debolezza rispetto alle forze e agli eventi dell’esistenza. È l’arte volontaristica di guidare la relazione dinamica fra la coscienza e il mondo esterno. Magia è il processo mediante cui guidiamo, incoraggiamo, manipoliamo e finanche obblighiamo la realtà per trasmutarla secondo uno scopo determinato.           

Questa virtù dinamica trova spiegazione nella concezione magica del mondo. Secondo la tradizione, il cosmo e le stesse potenze celesti sono sostanzialmente fatte di energia psichica – l’anima mundi della tradizione platonica. Questa energia pervade e costituisce tutto in diversi gradi di rarefazione e condensazione, producendo anche la realtà materiale. È questa l’unità di tutte le cose che afferma la Tavola smeraldina. La stessa fisica quantistica contemporanea afferma, in parte, questa stessa concezione del mondo. Magia è quindi la capacità di entrare armonicamente e agire nel flusso infinito di energia psichica, celato in allusioni e corrispondenze. La concezione magica è pertanto quella di un mondo vivo, aperto, pieno di possibilità. Al mago spetta di riconoscerle e attivarle.

Una componente della concezione magica del mondo è inoltre la visione platonizzante del divino come causa prima, che si sviluppa nel Rinascimento italiano e che, attraverso l’ermetismo continentale e quello britannico, è arrivato a ispirare il nostro concetto di Grande Architetto dell’Universo. Nel mondo tutte le cose sono connesse nell’anima mundi, la quale riconnette a sua volta la realtà con gli esemplari eterni dell’intelletto divino, in cui ogni cosa materiale ha il suo archetipo eterno. Dagli archetipi divini discendono le virtù delle cose. Tutto è nel Grande Architetto dell’Universo e in lui vive. Secondo le parole di Giordano Bruno, «tutte le cose sono ne l’universo e l’universo è in tutte le cose, noi in quello, quello in noi: e cossì tutto concorre in una perfetta unità» (De la causa, principio e uno, V).

Colei o colui che pratica un’azione magica non solo conosce questo segreto iniziatico della realtà – chiave del suo potere – ma possiede qualità straordinarie che coltiva con cura e a lungo. Il mago è un asceta che osserva a lungo i movimenti magmatici dell’energia psichica dentro di sé, nomina quindi ciò che vede e infine tenta di dominarlo. Fa ordine e riconduce all’unità la sua interiorità per edificare liberamente la sua architettura psichica mattone dopo mattone. Lavora per rinchiudere in oscure prigioni la pigrizia mentale, lo spreco di parole e di azioni, l’egoismo che pregiudica l’unione, l’avarizia, le illusioni consolatorie, il moralismo che giudica, l’ipocrisia, la violenza, la disattenzione, la disperazione, la resistenza all’umiltà iniziatica. Così costruisce templi alla forza, alla bellezza, alla sapienza. La magia richiede una volontà solare, attiva. Richiede che la luce e il Verbo creatore siano generati dentro il mago, che è egli stesso tempio microcosmico, sancta sanctorum, nel Tempio macrocosmico. Ermete lascia infatti intendere che la magia è una potenza ardua da suscitare perché necessita della costanza ascetica necessaria a mantenere accesa la luce interiore. L’opera dei Liberi Muratori, ad esempio, inizia quando si chiude la Loggia e i fratelli escono dalla porta del Tempio, che è a occidente, dove il sole tramonta e la luce si spegne. Oltre la quale ci sono le tenebre profane. I muratori escono con l’impegno di mantenere operativa dentro di loro la luce della sapienza, della forza e della bellezza. E se la luce sarà operativa dentro di loro, essa modellerà naturalmente la loro attività esteriore. In altri termini, se non siamo in primo luogo padroni di noi stessi, come potremo comandare le forze naturali, invocare quelle celesti e trasmutare le circostanze delle nostre esistenze?

Le pagine più emblematiche della magia rinascimentale, il capitolo III del libro III del De occulta philosophia di Cornelio Agrippa di Nettesheim, affermano infatti che il potere magico, di conoscenza e dominio delle cose, è un dono innato in ogni essere umano, ma solo pochi arrivano ad attivarlo. Divengono operatori magici soltanto i pochi che riescono a dignificarsi al suo scopo, perché, come scrive Agrippa, l’operatività magica «è data dall’ottima disposizione del corpo e dei suoi organi, che non oscurano l’anima con il loro spessore, né la impediscono con agitazioni o umori».

L’esistenza ermetica è una forma di dedicazione appassionata al dominio delle forze invisibili che sono dentro e fuori di sé. Il mago riconduce all’unità se stesso affinché possa armonicamente inserirsi e agire nell’unità psichica della terra e del cielo. È un messaggero delle potenze superiori in quanto compie ogni azione dell’esistenza nella piena consapevolezza dell’Uno. Il mago vive costantemente la meraviglia di scoprire che ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso. Così può compiere i miracoli, naturali e soprannaturali, della cosa unica. È un devoto adepto della Luce ed egli stesso, o ella stessa, è luce che brilla nelle tenebre e le tenebre non la sopraffanno.

Ho detto.

R:.G:.


[1] Cornelio Agrippa di Nettesheim, De incertitudine et vanitate scientiarum, I.


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