L’INNO E LO STELLONE…

inserito il 16 10 2021, nella categoria Costituzione, Musica e Massoneria, Società, Storia, Tavole dei Fratelli

Goffredo Mameli

Di fatto pur se oggi in Italia si avverte tanta strumentale diffidenza (e soprattutto ignoranza) nei confronti della massoneria, in un momento in cui non a caso sono particolarmente insidiati i valori laici e civili che essa ha sempre rappresentato (democrazia, eguaglianza, libertà, tolleranza, ecc.), è appena il caso di ricordare che due capisaldi simbolici della Repubblica Italiana e della sua Costituzione restano intimamente legati a “Fratelli” italiani, come l’artista Paolo Paschetto autore del logo stesso (lo “Stellone”) della Repubblica, e come Mameli e Novaro autori dell’inno nazionale che proprio in quest’ultima stagione ha risuonato più volte in prestigiosissime manifestazioni sportive (dagli Europei di calcio, alle Olimpiadi e Paraolimpiadi, ad importati gare motoristiche, ecc.) ridestando l’orgoglio delle “chiome italiane ov’è la vittoria!”.

C’è certamente una sovrapposizione di enfasi nell’invocazione iniziale dell’inno nazionale “Il Canto degli Italiani”, allorchè si invoca il risveglio dei “Fratelli d’Italia” al destarsi della nazione “cinta dell’elmo di Scipio”. Quel termine – “Fratelli” – può avere per molti un significato più generale di “comunità”, ma per i massoni italiani, e certamente per gli stessi autori dell’inno, entrambi liberi muratori, Goffredo Mameli e Michele Novaro, quella “fratellanza” non poteva essere altro che una rivendicazione del ruolo che la stessa massoneria ed i suoi valori avevano avuto nella costruzione del nuovo Stato italiano.

Ci sono voluti però più di cent’anni perché “Fratelli d’Italia”, o meglio “Il Canto degli Italiani” di Mameli e Novaro fosse ufficialmente riconosciuto come inno ufficiale della nazione. Cosa avvenuta solo con la Legge 181 del 4 Dicembre 2017.

Fino ad allora, dalla sua stesura risalente all’8-10 Settembre 1847, passando per una delibera ufficiale del Consiglio dei Ministri della neonata Repubblica Italiana datata 12 Ottobre 1946, era sempre stato considerato semplicemente “provvisorio”. Tant’è che in alcune situazioni, come ad esempio nelle premiazioni di alcune manifestazioni sportive internazionali, in assenza di precise indicazioni ufficiali del cerimoniale italiano per l’inno da utilizzare, gli imbarazzati organizzatori stranieri fecero ricorso ad altri brani particolarmente popolari e famosi, che per loro potevano comunque caratterizzare lo spirito italiano, come ad esempio “’O Sole Mio”.

Dal sito del Grande Oriente d’Italia si apprende che “sono due i manoscritti autografi di Mameli giunti fino a noi. Il primo si trova presso l’Istituto mazziniano di Genova, mentre il secondo è conservato nel Museo Risorgimentale di Torino. Lo spartito inviato da Novaro all’editore Francesco Lucca è custodito invece nell’Archivio storico Ricordi.

Il testo si compone di sei quartine doppie di senari, ciascuna delle quali seguita da un’altra quartina di senari in ritornello.

Negli eventi ufficiali vengono eseguite solo le prime due strofe di otto versi, per una durata di circa un minuto”.

Come in tante questioni che riguardano la massoneria nel nostro Paese, anche nel caso dell’inno nazionale non sono mancate insinuazioni e polemiche, circa un presunto plagio da parte del povero Mameli (che, lo ricordiamo, morì eroicamente nella difesa della Repubblica Romana).

Secondo alcuni, fra questi lo storico Aldo Mola, il vero autore del testo sarebbe stato un religioso, padre Atanasio Canata, di cui lo stesso Mameli fu allievo ed amico. Ma questa tesi non ha mai trovato altre conferme, ed è stata invece smentita da altre autorevoli testimonianze come quella di Giosuè Carducci che arrivò a determinare una data precisa della composizione del Canto degli Italiani da parte del giovane studente e fervente patriota, di ispirazione repubblicana, Goffredo Mameli, data che sarebbe stata l’8 Settembre 1847 (secondo altri due giorni dopo), sempre in occasione di un primo moto nella città di Genova.

E’ evidente l’ispirazione che Mameli trasse dalla “Marsigliese”, laddove ad esempio il verso “Stringiamoci a corte” richiama quello dell’inno francese “Formez vos bataillon”.

Lo stesso Mameli inviò poco dopo il suo scritto al compositore genovese (e confratello) Michele Novaro, che era allora ospitato a Torino presso la casa del patriota Lorenzo Valerio, che così descrisse l’ispirazione che gli derivò nel musicarne i versi: «[…] Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’inno, mettendo giù frasi melodiche, l’una sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai, scontento di me; mi trattenni ancora un po’ di tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio: fu questo l’originale dell’inno “Fratelli d’Italia”. […

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