L’ALTRO DANTEDI’

C'è un lato inesplorato nelle celebrazioni dantesche: l'ascendenza dei Fedeli d'Amore nella sua vita e nelle sue opere. La Massoneria ha già celebrato il Poeta come precursore del Risorgimento italiano. Per Mazzini fu anche il primo convinto europeista.

inserito il 28 03 2020, nella categoria Oltre le colonne

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25 Marzo: è il giorno in cui convenzionalmente Dante si perde nella Selva Oscura ed inizia il suo visionario viaggio nell’aldilà raccontato nelle 4711 terzine della Divina Commedia. Il 25 Marzo corrisponde, non casualmente, alla ricorrenza cristiana dell’Annunciazione a Maria della sua gravidanza verginale da parte dell’arcangelo Gabriele, ovvero dell’immacolato concepimento di Gesù , che viene considerato dai cattolici una vera e propria rinascita del Mondo (per traslato si è portati a credere anche che la prima creazione del mondo sia avvenuta nella stessa data, sempre il 25 Marzo). Ed il 25 Marzo è anche la data scelta per il “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata in Italia a Dante Alighieri.

Quella di quest’anno, 25 Marzo 2020, doveva essere una ricorrenza densa di iniziative e manifestazioni in tutt’Italia, ed anche all’estero, ma il dilagare della pandemia di Coronavirus ha oscurato tutto quanto, rimandando ogni celebrazione all’anno prossimo, il 2021, che combacerà con il 700simo anniversario della morte del Poeta.

La Massoneria italiana, ed in particolare il Grande Oriente d’Italia, aveva ed ha salutato con estremo favore questa iniziativa, ricordando che già nel 2015 Dante Alighieri era stato protagonista delle tradizionali celebrazioni del XX Settembre a Villa del Vascello, durante le quali era stato sottolineato un particolare aspetto dello stesso Dante e della sua opera, come simbolo e precursore del Risorgimento Italiano. Lo stesso Mazzini lo definì il primo patriota ed il primo convinto europeista. Uno spirito che si è mantenuto sempre vitale nella Libera Muratoria. La statua di Dante, collocata in piazza Santa Croce a Firenze, non a caso è opera di uno scultore appartenente alla massoneria, Enrico Pazzi, nato a Ravenna il 20 Giugno 1818, morto a Firenze, dove frequentava la Loggia “La Concordia”,  il 27 Marzo 1899.

Sotto l’aspetto di precursore del sogno risorgimentale di un’Italia unità, ci sarebbe forse un aspetto che l’attuale Dantedì, come del resto gran parte dei pur vasti studi danteschi, ha continuato a trascurare: ovvero quello della sua presunta appartenenza alla setta esoterica dei Fedeli d’Amore e della loro ascendenza sul suo pensiero e sulla sua opera.

La  critica dantesca più accademica ed ortodossa tende a trascurare questa ipotesi, giungendo a negarla o ad attribuirle una minima importanza, nonostante che lo stesso Alighieri nelle sue opere abbia citato esplicitamente più volte gli stessi Fedeli d’Amore (ben sette volte nella “Vita Nova”). Richiami che per i dantisti ortodossi restano semplici accenni ad un circolo di animi sensibili all’amore, buoni compagni di Dante nelle sue avventure amorose. Un’interpretazione a dir poco restrittiva per un movimento poetico, iscritto nel campo del Dolce Stil Novo, che non si è certo risolto in meri termini edonistici di ossequio per la figura della Donna, ma ha conosciuto vite e destini fortemente coinvolti in pericolose contese politiche e religiose, con esiti spesso drammatici sotto forma di carcere, bandi, esilio (come per lo stesso Dante) e perfino il rogo (come nel caso del povero Cecco d’Ascoli).

Ad incombere su di loro era soprattutto la Chiesa, che i Fedeli d’Amore miravano a riportare alla sua primitiva purezza, avversando ogni sua pretesa di potere temporale, schierandosi di conseguenza per l’Impero visto come argine laico all’oppressione dogmatica del papato. E’ chiaro che un simile posizionamento comportava un vincolo iniziatico, una condivisione di simboli e valori esoterici, ed un linguaggio segreto (pare che solo durante le feste del Calendimaggio, secondo la tesi dello studioso Giovanni Villani, alcuni appartenenti alla setta si palesassero in un corteo in abiti bianchi al seguito del “Signor Amor”).

Simbolo esoterico per eccellenza dei Fedeli d’Amore erano naturalmente le Donne (Beatrice per Dante, Giovanna per Guido Cavalcanti, Lagia per Lapo Gianni, Selvaggia per Cino da Pistoia…), donne che in realtà erano una sola Donna, cioè la Sapienza Santa, ovvero la Chiesa Perduta, la Vera Chiesa (di stampo giovanneo).

Enunciare questi concetti, raccordarsi fra i loro cultori senza incorrete nelle spietate persecuzioni clericali, richiedeva un gergo poetico segreto, raramente studiato ed approfondito. Solo uno studioso degli inizi del secolo scorso, Luigi Valli (in “Il Linguaggio Segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore”, 1928), è riuscito ad individuare una trentina di parole ricorrenti, apparentemente con significati amorosi, che si riferiscono invece alla rappresentazione di idee e sentimenti della dottrina iniziatica dei Fedeli d’Amore. Termini chiave che opportunamente studiati ed interpretati consentirebbero di attribuire a molte opere di appartenenti a questo movimento poetico un significato decisamente più eversivo. La Vita Nova e le Canzoni di Dante potrebbero essere state concepite in questa chiave; così pure i Documenti d’Amore di Francesco da Barberino, l’Intelligenza di Dino Compagni, l’Acerba di Cecco d’Ascoli… Comune denominatore: l’opposizione ad una Chiesa carnale e corrotta (nel gergo dei “Fedeli” La Morte o La Pietra) e lo struggimento per la persecuzione della Sapienza Santa, che per i Fedeli è la Vera Chiesa.

Riconoscersi e praticare un simile credo richiedeva molta segretezza ed un’intesa “fraterna” del tutto simile ad una sorta di “Carboneria” umanistica-medievale per molti versi comparabile alla più nota Carboneria risorgimentale (entrambe attraversate da un anelito di unità nazionale). Oltre alla segretezza si rese necessaria anche una capacità di dissimulazione portata a drammatiche ed estreme conseguenze, per non essere riconosciuti e coinvolti nella repressione sanguinaria. Come nel caso del povero Cecco d’Ascoli, poeta, medico, insegnante, filosofo, astrologo e astronomo, bruciato sul rogo per eresia a Firenze il 16 Settembre 1327. Fra i sei giudici che lo condannarono figurava anche un probabile “fratello d’Amore”, Francesco da Barberino, che probabilmente non ebbe scelta né avrebbe potuto da solo evitare l’estrema punizione.

Si tratta per tutto questo di ipotesi. Nulla può essere dato per scontato e provato. Semmai ad essere carenti sono gli sforzi degli studiosi per esplorare queste tracce sottostanti all’opera di Dante e dei Fedeli d’Amore. Fino ad oggi l’accademia ha sempre privilegiato la lettura più exoterica basata sulla sensualità dell’ispirazione di Dante, indirizzati in questo anche dal principale estimatore pressoché contemporaneo di Dante, Boccaccio, trascurando però il fatto che la sensualità amorosa-spirituale poteva essere uno schermo protettivo dalla censura e dalla condanna ecclesiastica sia dell’opera di Dante che dello stesso Boccaccio.

Ai prossimi Dantedì l’ardua sentenza.

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Marzo 2020

 


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