Capitolo I: LA MASSONERIA ITALIANA SI SPEZZA IN DUE TRONCONI

inserito il 20 06 2011, nella categoria Palazzo Giustiniani, Storia

24 Giugno 1908: solstizio d’estate, la festa più bella e più gioiosa per i massoni. Festa sacrale perché esalta, nel più puro spirito iniziatico, la loro ritualità. Presso l’ara del Tempio si accende il fuoco che incendia la pergamena sulla quale ciascun fratello ha scritto il proprio nome. Ardono così, simbolicamente, gli affanni di un anno trascorso e attraverso il fuoco purificatore, in armonia con la natura che si rinnova, si rinasce a nuova vita. E’ la tradizione druidica, che risale a millenni e che ancora, con i più svariati significati, ma sempre augurali, tutti i popoli nordici fanno rivivere nella Notte di San Giovanni, la “notte dei fuochi”.

I massoni, dopo il simbolico falò, dopo essersi allacciati nella catena d’unione che rinnova il loro patto d’amore, si riuniscono attorno alle tavole per la rituale agape fraterna, per sancire in letizia la forza di questo solidale impegno.

Festa dunque nel nome di quel San Giovanni, cui il giorno è dedicato, che vede la prima pagina del suo Vangelo aperta, sotto la squadra ed il compasso, sulle are di tutti i Templi massonici. Quella pagina invita gli uomini a cercare la Luce.

Non fu felice il solstizio d’estate del 1908: in quella data la Massoneria italiana, una delle Comunioni fra le più forti in Europa, si spaccò in due.

C’è chi scrive che quel giorno i Liberi Muratori italiani precipitarono nel più grave e durevole scisma della loro storia (1) e che in quella data non Giovanni il Santo, ma un altro Giovanni, Giolitti, venne celebrato. Questo lo vedremo poi. Parlare di scisma è forse esagerato; della gravità dell’episodio no di certo.

Ad oltre settant’anni da quel giorno la scissione permane e durante questi settant’anni la massoneria italiana ha subito travagli notevoli. Molti in conseguenza di quell’evento, i più determinati dalle vicissitudini storiche del Paese.

Ma torniamo a quel solstizio, a quel giorno di San Giovanni, quando l’allora Luogotenente del Rito S..A..A.., Saverio Fera, seguito da 21 fratelli insigniti del 33° grado, membri effettivi del Grande Oriente e da due alti rappresentanti di Camere Rituali, abbandona la vecchia Casa massonica e si trasferisce nella nuova sede di via Ulpiana ove fonda una Gran Loggia, una nuova massoneria che deve rifarsi alle vere fonti della Tradizione, che egli reputa tradita e svisata. Nasce con quell’atto ed in quel giorno la Massoneria di Piazza del Gesù. Sono 24 i fratelli che le danno vita; saranno in breve migliaia. Tremenda l’emorragia per Palazzo Giustiniani, dal quale il Gran Maestro Ettore Ferrari, ed il Sovrano Gran Commendatore Achille Balboni, rimasti il primo con una Giunta dell’Ordine, il secondo con un Supremo Consiglio falcidiati, vedono uscire Logge intere, Camere Rituali al completo, che si pongono all’Obbedienza della nuova Grande Loggia.

Sulla vicenda le polemiche, allora accesissime, non sono spente. Tutt’oggi montagne di documenti attestano questa diatriba, ma una cosa va subito detta: che il gesto di Fera non fu un colpo di testa, un atto di avventurosa prepotenza. Il gesto di Fera ha sancito una situazione che si era determinata irreversibilmente; ha salvato ciò che era salvabile nella Massoneria italiana ed indirettamente ha giovato anche al troncone massonico giustinianeo che dopo il primo scossone si è accorto dei propri errori ed ha tentato di rientrare nell’alveo della tradizione massonica.

Saverio Fera era di indole persona mite, era un “pastore evangelico” e per formazione mentale e spirituale era quindi più portato alla concordia che a fomentare discordia. Si era anzi adoperato per sanare i contrasti, aveva persino tentato un compromesso. Quale fu la ragione contingente del contrasto?

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Nella foto: Saverio Fera, uno dei principali protagonisti della scissione massonica.

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