L’OROLOGIO DA POLSO DI DIO

Il dilemma del Tempo oltre la vita.

inserito il 13 05 2011, nella categoria Esoterismo, Filosofia, Scienza, Società, Tavole dei Fratelli, Tempo

 

Tavola del fr:. A:. Mu:.

 

… E se la Morte rappresentasse un semplice rintocco nell’orologio dell’Eternità? Se fosse proprio il succedersi delle nostre esistenze terrene, il succedersi delle generazioni, a scandire il “ticchettio”  del tempo infinito? Probabilmente, in tal caso, l’Umanità potrebbe considerarsi una specie di “orologio da polso” di Dio.  Le nostre vite e le nostre morti, le sue lancette.

La Morte porta con sé molti misteri. Per molti credo religiosi, essa è sostanzialmente una porta dimensionale, attraverso la quale si compie il passaggio fra un’esistenza corporea ed un’esistenza puramente spirituale. Attraverso questa porta si compie però anche un’altra fondamentale trasformazione dimensionale: il passaggio dal Tempo Finito dei nostri giorni mortali al Tempo Infinito della nostra nuova condizione ultraterrena.

Come “scorrerà” l’Eternità (se scorrerà davvero, se non ci troveremo invece in uno stato fisso ed immutabile)? Come la percepiremo (se potremo percepirla)? Insomma: la morte ci dischiuderà un’esistenza senza tempo, o un’esistenza dove il tempo scorrerà senza avere mai fine?

Questi interrogativi non riguardano solo i nostri umili destini ultraterreni, ma in un certo senso coinvolgono anche l’Essere Supremo. Perché anche il rapporto di Dio con l’Eternità presenta qualche enigma temporale, come osserva ad esempio Isaac Asimov, nel suo saggio “In Principio”, nel quale tenta di interpretare il Libro della Genesi alla luce della scienza:

Il primo atto divino di cui la Bibbia da notizia – scrive Asimov – è la creazione dell’Universo. Ma poiché Dio è Eterno, deve pur esserci stato un periodo di tempo infinitamente lungo prima di questo atto creativo. Cosa faceva Dio durante questo tempo infinitamente lungo?”

Creava l’Infermo per quelli che fanno simili domande!”, sembra che esclamasse S.Agostino, quando gli veniva posto questo stesso interrogativo.

Dio naturalmente nel lungo periodo di tempo che ha preceduto la nostra Creazione potrebbe aver fatto moltissime cose: “potrebbe aver occupato il suo tempo – scrive ancora Asimov – creando un’innumerevole gerarchia angelica; potrebbe aver creato moltissimi altri universi, ciascuno con diverse finalità; oppure Dio potrebbe non aver fatto altro che meditare sul suo infinito se stesso”.

Verrebbe quasi da pensare che la Creazione oltre che essere dovuta alla benevolenza divina, sia avvenuta proprio al culmine di una lunga meditazione per l’insopprimibile esigenza di un “Nomos”, di un Termine, con il quale poter raffigurare concetti incommensurabili quali, appunto, l’Amore Infinito ed il Tempo Infinito.

Come è necessario aver provato Dolore per comprendere appieno la Felicità, forse lo stesso Amore di Dio ha sentito il bisogno di definirsi attraverso il genere umano.

Così, probabilmente, proprio la linearità del nostro Tempo Finito potrebbe essere il paradigma, o l’unità costitutiva e ripetitiva, del Tempo Infinito. Dell’Eternità.

Torna quindi il concetto dell’orologio da polso di Dio: molte cose fanno pensare che anche nell’Eternità esista se non un vero e proprio tempo lineare, almeno un succedersi lineare di fasi evolutive.

La stessa Creazione, così come è indicato nelle Sacre Scritture, ha richiesto ben “sei giorni” di “lavorazione”.   Per la maggior parte degli studiosi ebraici della Genesi essa sarebbe cominciata precisamente il 7 Ottobre del 3761 a.C.;   nel 1654, l’arcivescovo anglicano di Armagh, l’irlandese James Ussher l’avrebbe invece fissata al 23 Ottobre del 4004 a.C., alle ore 9 precise.

Altri calcoli biblici hanno poi anticipato la stessa Creazione al 5509 a.C.

La scienza moderna, come è noto, tende invece a stabilire che l’Universo si sia formato 15 miliardi di anni fa, mentre la Terra ed il Sistema Solare avrebbero assunto l’attuale configurazione ca. 4,6 miliardi di anni fa.

Al Grande Architetto, a Dio, non importeranno certo granchè queste “sottili” (?) distinzioni di data e di ora; ma anche l’Entità Suprema sembra comunque condividere un processo lineare – di tempo e di spazio – nell’evoluzione di ciò che Egli stesso ha creato.  Sembra quindi che anche nella sfera divina esista un succedersi di stati e di eventi. E quindi sostanzialmente lo scorrere di una forma di tempo, con un prima e con un poi.  Senza dimenticare, certo, la relatività di questa affermazione. Come ricorda la lezione di un altro grande illuminato, Albert Einstein: tutto può dipendere dal punto di vista dell’Osservatore.

Così ciò che a noi appare un lungo ed infinito procedimento rettilineo del tempo, da una visuale più Alta (quella dello stesso Creatore) potrebbe apparire come un tempo puntiforme oppure come la rapidissima piroetta di un tempo ciclico-circolare.

Lo scorrere dell’eternità, non sarebbe in questo caso basato su quantità infinite, bensì su una continua rigenerazione dello stesso Spirito, dello stesso Tempo e della stessa Materia. L’Eternità potrebbe insomma essere sostanzialmente uguale all’Attimo. Il Tutto uguale all’Uno.

E così torna alla mente il fondamentale Triangolo equilatero, al centro del quale compare l’occhio divino, (o, in altri casi, la G di God, oppure la lettera ebraica Yod, simbolo dell’Unità, dell’Essere Supremo, del Sacro Nome, ed anche della grande Trinità Cabalistica).

I tre lati di questo Triangolo potrebbero quindi rappresentare le varie sequenze dell’evolversi lineare di un Tempo eterno-circolare, sotto l’occhio e per la volontà del Creatore: la nascita, la morte, la rigenerazione (e tramite questa il ritorno alla vita).

Questa rappresentazione dell’Eternità, o meglio del flusso dell’’esistenza, in tre fasi temporali-circolari (nascita, morte, rigenerazione) troverebbe per altro una perfetta corrispondenza con varie dottrine filosofiche, da quella Ermetica a quella Rosacrociana, che forniscono appunto alcune chiavi interpretative di un processo evolutivo (e quindi di un procedimento temporale) anche della nostra vicenda spirituale ed eterica, successiva alla nostra morte fisica.

Già Plutarco, nel suo trattato “De facie in orbe lunae”, aveva espresso la tesi secondo la quale l’uomo subisce non una, ma ben due morti: la prima quando il corpo si stacca dall’anima e ritorna alla Madre Terra; la seconda quando l’Anima stessa subisce una seconda morte e compie una nuova evoluzione per essere riassorbita come sostanza cosmica vitale, oppure per continuare una sua più elevata maturazione che la porterà ad un livello spirituale al di sopra di ogni vincolo e condizionamento: il mondo delle cause.

Questa ulteriore differenziazione  –  fra un’Anima, destinata anch’essa a consumarsi nell’aldilà con i tratti residui della nostra individualità psichica, ed uno Spirito più elevato, che rappresenta l’effettivo raggiungimento dell’immortalità  –  fatta propria dalla scuola Ermetica e dalla cosmologia Rosacrociana, è stata invece fermamente respinta dal Cattolicesimo, fin dai suoi primi Concili, ribadendo il solo ed esclusivo dualismo fra Anima e Corpo.

Questo nonostante una sostanziale ed esplicita ammissione di ulteriore separazione fra Anima e Spirito da parte di un autorevole Padre della Chiesa, San Paolo, che nella sua Epistola agli Ebrei (cap. IV paragrafo 12) dice:

La parola di Dio è vieppiù acuta che qualunque spada a due tagli, che giunge fino alla divisione dell’Anima e dello Spirito”.

Del resto – precisa il fr. Pietro Pica nei Quaderni della Schola Italica (Giugno 1984) –  più che un semplice dualismo Anima-Corpo, soltanto una tale tripartizione (Corpo-Anima-Spirito) può dare significato al mito cattolico del “purgatorio” inteso come catarsi dei sensi corporali, e del “paradiso” come azione finale di consumazione dei residui dell’anima; mentre l’”inferno” sarebbe costituito da una dispersione cosmica delle entità che sono strate troppo profondamente inquinate da una condotta particolarmente empia nella loro vita terrena.

Da un punto di vista terreno, la Morte ci pone quindi di fronte ad una serie di fondamentali interrogativi, non solo per intuire quale potrà essere l’essenza della nostra sopravvivenza spirituale, ma anche per intuirne i “contorni”, ovvero come si svolgerà la nostra vita nell’Infinito.

Per Jose Luis Borges questo Infinito potrebbe anche essere niente affatto desiderabile. La nostra stessa vita terrena, per lui, è un sogno. La realtà non esiste. Ma se finisse il sogno, finirebbe anche la realtà? l’Infinito sarebbe in definitiva un paradosso fra una realtà che non potrebbe esistere, perché non potrebbe più essere sognata.

Per Borges comunque la morte non l’avrà vinta sul mondo. I sogni continueranno. Saranno i giusti a salvare la Terra senza sapere di salvarla. E nemmeno tutti gli altri uomini sapranno di essere stati salvati da queste nozze segrete del mondo con l’arte dei giusti.

Hegel, infine, ci pone di fronte ad un doppio infinito: un vero infinito ed un falso infinito. Un infinito coatto e ripetitivo, rappresentato dal mito di Sisifo, costretto a rinnovare in eterno la sua fatica, sempre la stessa, immutabile; ed un infinito più aperto ed evolutivo, in continuo divenire, in continua evoluzione catartica.

Probabilmente già nella vita terrena è l’uomo ad indirizzarsi, con le proprie opzioni morali e con le proprie azioni, verso l’uno o l’altro infinito.

Ma non è solo la speculazione filosofica e religiosa ad occuparsi della nostra sopravvivenza spirituale oltre la Morte. Anche la scienza ha tentato in qualche modo di trovare “tracce” sperimentali di una nostra essenza extracorporea.

Negli anni Settanta-Ottanta, ci sono state le ricerche della Nuova Gnosi religiosa degli scienziati di Princeton, che hanno portato il fisico-filosofo Jean E.Charon ad osservare come (citiamo testualmente) “nella morte, gli elettroni degli organi superiori del nostro corpo vengano a trovarsi in uno stato simile a quello del sonno profondo, ma pur sempre pronti a risvegliarsi e reagire alle sollecitazioni che pervengono loro quando vengono chiamati a partecipare ad un’altra vita.  Pertanto anche per loro, la Morte non è la fine della propria attività, in quando ogni elettrone (e sono miliardi nel nostro corpo) conserverebbe, per l’eternità, i ricordi della propria esperienza vissuta, dalla nascita, e manterrebbe intatte le proprie attitudini e mansioni, in quanto la fisica ha accertato che la sua struttura e funzionalità non sono caduche. La stessa scienza – continua Charon – ha riscontrato che le cellule nervose del nostro cervello restano immutate dalla nascita alla morte, per cui gli elettroni che fanno parte di questa struttura genetica, conservano e conserveranno anche in futuro la totalità delle informazioni riguardanti la nostra vicenda terrestre.  Esalando l’ultimo respiro, ognuno di noi (conclude Charon) emetterà nel cosmo tanti elettroni portatori del suo “Io” quante sono le stelle del firmamento”.

Una conclusione che era stata anticipata già da Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), con un sillogismo scientifico che postulava l’immortalità del nostro spirito proprio tramite la teoria degli elettroni e degli eoni:

Lo Spirito è una proprietà appartenente ai granuli più fini della Materia – scriveva – Cioè a ciò che i  fisici chiamano elettroni, e poiché questi hanno una vita praticamente illimitata, se ne conclude che il nostro Spirito è immortale”.

Un approccio scientifico ancor più pratico e sperimentale è stato quello attuato dal dottor Mac Dougall nel 1906 presso l’Ospedale Generale del Massachussets, per tentare di stabilire, nei limiti del possibile, se qualcosa di ordinariamente “invisibile” abbandonasse il corpo al momento della morte.

Ce ne parla Max Heindel (1865-1919), esponente della Società Teosofica  di Los Angeles, nel suo trattato sulla Cosmogonia dei Rosa-Croce: “Il dottor Mac Dougall costruì delle bilance capaci di registrare una minima differenza di peso.  La persona morente ed il suo letto vennero collocati su una piattaforma della bilancia ed equilibrati con pesi posti sull’altra piattaforma.  In ciascun caso osservò che nel momento in cui la persona esalava l’ultimo respiro, la piattaforma che conteneva i pesi si abbassava con movimento improvviso, sollevando il letto ed il corpo, e dimostrando che qualcosa di invisibile, ma non di imponderabile, aveva lasciato il corpo”.

Dopo questo esperimento tutti i giornali del Paese annunciarono a caratteri cubitali che il dottor Mac Dougall aveva “pesato l’anima”.

Ma per un teosofo rosa-crociano come Max Heindel, l’elemento invisibile “pesato” da Mac Dougall non poteva essere l’Anima, che appartiene ai Mondi Superiori e come tale non può essere pesata da nessuna bilancia del nostro mondo terreno;   per i rosa-crociani, per Heindel, ciò che la bilancia aveva registrato era il distacco del “Corpo Vitale” e degli altri “Veicoli Superiori” (il Corpo del Desiderio e la Mente) dal “Corpo Fisico”, ormai privo di vita. Questo distacco avverrebbe con un movimento a spirale, in grado di risucchiare con se anche l’anima di un particolare “atomo” fisico.  Si tratta dell’Atomo-Seme (durante la vita è situato nel ventricolo sinistro del cuore, al momento della morte sale al cervello e da qui fuoriesce): “Mentre tutti gli altri atomi del corpo fisico sono stati periodicamente rinnovati, questo solo è rimasto stabile nel passaggio da una vita ad un’altra, questo solo ha fatto parte di tutti i corpi fisici che l’Ego ha abitato e di cui si è servito….  Questo entrerà di nuovo in attività nel momento in cui l’Ego di reincarnerà per una nuova nascita e servirà ancora come nucleo attorno al quale si costruirà il nuovo corpo”.

Al momento del decesso, i Veicoli Superiori abbandonerebbero il Corpo Fisico attraverso le suture fra le ossa occipitali e parietali del cranio, rimanendo però ancora per qualche tempo legati allo stesso Corpo Fisico tramite una sottile Corda Argentata, di forma simile a due “6” rovesciati.

Il legame si spezza definitivamente soltanto quando la visione dell’intera vita passata non sia stata completamente incisa nella memoria eterica.

Solo allora la Corda d’Argento si spezzerà definitivamente, lasciando al suo destino ogni parte fisica della nostra identità terrena, ed iniziando il processo di purificazione della nostra essenza spirituale, processo che avviene rivivendo a ritroso la nostra intera esistenza.

Durante questo processo avverrà quella che abbiamo già descritto, richiamando Plutarco e gli Ermetici, come una “seconda morte”. Lo Spirito si separerà definitivamente dal Corpo Vitale, che non potendo più far ritorno nel Corpo Fisico, non riuscendo più a penetrarlo, si collocherà al di sopra di esso, in una lenta agonia, fino al suo completo disfacimento.

E’ proprio questa l’essenza spettrale che determinati individui, medium o sensitivi, sarebbero in grado di percepire.

Stando a quanto riportato dai teosofi come Heindel, la cosa più triste e sconvolgente sarebbe proprio lo scenario offerto dai cimiteri, dove il chiaroveggente vedrebbe il corpo vitale dei morti decomporsi insieme al corpo fisico, come una sagoma spettrale che fluttua sopra la tomba.

Ora tutte queste teorie, questa cosmogonia, mette certamente alla prova la Ragione e lo Spirito Scientifico di cui è intriso ciascuno di noi, uomini moderni.

Ma forse più che mettere alla prova le nostre Conoscenze più salde o la nostra Fede più radicata,  gli interrogativi generati dalla Morte e le risposte che a tali interrogativi hanno tentato di dare, dall’antichità ad oggi, taluni ricercatori dell’Infinito (artisti, filosofi, scienziati, esoteristi e occultisti) possono mettere maggiormente alla prova l’umiltà intellettuale che dovrebbe farci da compagna nel lungo viaggio iniziatico che abbiamo intrapreso fin dal momento in cui abbiamo bussato per la prima volta a questo tempio.

Per eccesso di orgoglio razionale, c’è infatti chi ritiene che Dio non esista, per il semplice fatto che la Scienza non è mai riuscita a trovare la prova di una sua effettiva manifestazione.

Sembrerebbe un’affermazione indiscutibile dal punto di vista della Ragione. Eppure, con più umiltà, eviteremo alla Ragione stessa l’imbarazzo di dover ammettere, usando il suo stesso procedimento mentale, che allora potrebbero invece esistere altre divinità come Zeus, Marduk o Toth… per la semplice ragione che nessuno scienziato è mai riuscito a dimostrare che NON esistono.

Resta una certezza: in un modo o nell’altro la Morte non ci negherà la sua risposta.

A:. Mu:.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Max Heindel “Cosmogonia dei Rosa-Croce” – Jupiter, 2002

Albert Pike “Morals and Dogma” – Vol. I – Bastogi, 1983

Pietro Pica in Quaderni della Schola Italica, Anno II, nr. 3 – RSSAA, 1984

Plutarco, “De facie in orbe lunae

Borges, “Discussione”, Adelphi.

Borges, “Aleph”, Adelphi.

Borges, “Storia dell’Eternità”, Adelphi


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