SPERANZA E NECESSITA’ DI DIO

L’intelligenza dell’uomo ed il suo spirito mal si adattano ad essere prigionieri di un corpo corruttibile, destinato comunque a morie. Le continue conquiste della medicina allungano la nostra vita, ma non cambiano il significato finale della nostra esistenza. Solo l’idea che esista un Grande Architetto dell’Universo, e che la nostra vita faccia parte di un disegno superiore, offre la speranza di non essere vissuti invano.

inserito il 08 05 2011, nella categoria Religione, Scienza, Simbolismo, Tavole dei Fratelli

Tavola del fr:. V:. S:.


L’uomo è animato dall’ambizione, giusta o sbagliata che sia, della conoscenza. Questo andito a saperne di più, questa curiosità sempre viva e mai paga lo ha portato a strappare molti segreti alla natura e ad incamerare nello scibile umano tutta una serie di scoperte che hanno radicalmente cambiato la qualità della vita e ne hanno allungato in maniera significativa la durata media rispetto al passato. Mentre scrivo queste righe mi vengono in mente gli studi di Fleming, che grazie alla penicillina, ha dato origine all’era del’antibioticoterapia che ha permesso di dominare la gran parte delle infezioni di natura batterica (per alcune delle quali non esisteva prima alcun rimedio). Ancora, la scoperta della doppia elica del DNA (Acido Desossiribonucleico) da parte di Watson e Creek che ha aperto la strada alla moderna biologia molecolare. Le intuizioni di Banting e Best che grazie alla scoperta dell’insulina hanno introdotto una rivoluzione nel trattamento del diabete, patologia di cui soffre una cospicua parte della popolazione mondiale. La scoperta della trascrittasi inversa da parte di Temin che ha rivelato come il codice genetico possa essere anche contenuto in una molecola diversa dal DNA (cosa che era invece apoditticamente stata in precedenza affermata da Watson e Creek). La scoperta dei prioni, proteine infettanti ai confini con la vita che sembrano dischiudere nuovi orizzonti alla biologia molecolare.

 
Per ovvie ragioni di tempo e spazio sarebbe ardua impresa concentrare in un così breve lavoro il succo delle esperienze della comunità scientifica mondiale. Ad ogni latitudine del globo gli studiosi hanno portato e stanno portando avanti le loro ricerche con l’obiettivo comune di rendere la nostra minuscola esistenza (se rapportata a quella dell’Universo) più durevole di quel tanto che basta ad affermare di aver rosicchiato del tempo prezioso al nemico storico del genere umano: la morte.

L’intelligenza dell’uomo ed il suo spirito mal si adattano ad essere prigionieri di un corpo corruttibile, mezzo necessario ma del tutto inadeguato. Ad ogni nascita corrisponde una fine e tutto ciò sembra tanto più assurdo quanto più si considera che l’aspetto spirituale di un uomo matura e migliora con lo scorrere del tempo. Si assiste così al paradosso di una anima ancora giovane, vivace ed al massimo del suo splendore concettuale proprio nel momento in cui il suo strumento di supporto ne sta decretando la fine. E’ per questo che appaiono ampiamente giustificati gli sforzi tesi al miglioramento dell’efficienza e dell’affidabilità di un hardware caduco custode di un software tanto prezioso. Tuttavia, per quanto questi sforzi possano rivelarsi utili, la natura umane permane finita. Ad una nascita corrisponderà sempre una morte. Il lasso di tempo che intercorrerà fra i due eventi sarà più o meno lungo a seconda delle condizioni e delle epoche in cui si troverà ad operare il corpo umano. Comunque sia sarà una esperienza a termine.
L’analisi fredda di questo ciclo vitale lascia con l’amaro in bocca. Sarebbe davvero un peccato se le risorse spirituali della persona decadessero in maniera inesorabile assieme a quelle del fisico. Sarebbe comunque disperante l’immagine dell’uomo che muore e non ha un seguito.

L’uomo vive sapendo di morire. Mentre all’inizio della sua esistenza la ampia aspettativa di vita che gli si offre davanti lo induce a trascurare la questione, con l’approssimarsi della vecchiaia e la relativa diminuzione del tempo a sua disposizione la problematica diviene via via più attuale e stringente. Così come esiste il mistero della vita esiste altrettanto il mistero della morte. A tutt’oggi gli scienziati non sono ancora riusciti a dare una spiegazione univoca e dimostrabile della origine della materia e della origine della vita. Esistono delle teorie che tuttavia non possono spiegare in maniera esaustiva il mistero della creazione, del primum movens che ha dato l’avvio all’Universo. Altrettanto oscuro appare il concetto della fine.

 
La nostra logica ci porta a pensare in maniera costruttiva. Tutto ciò che facciamo è frutto della nostra ideazione e solitamente la sua finalità va inquadrata in un ambito più complessivo nel cui contesto appare propedeutico a qualcosa d’altro. Anche ciò che appare in prima battuta fine a se stesso a ben vedere risulta poi legato ad altri eventi.

 
E’ mai possibile dunque che l’uomo nasca, viva ed infine muoia inutilmente? Che senso avrebbe riprodursi nel fallimentare tentativo di rendersi infiniti giacché gli scienziati hanno già previsto che il nostro pianeta avrà anch’esso una fine? Ed anche ammettendo che lo sviluppo delle conoscenze e tecnologie umane porti l’uomo a sviluppare la possibilità di sopravvivere in maniera adeguata su altri pianeti o luoghi fisici dell’Universo, che senso avrebbe tutto questo se l’Universo stesso è destinato poi alla disgregazione?

Siamo ad una empasse insormontabile. La impossibilità di guardare un tantino al di là del nostro naso, mentre da un lato è insopportabile, dall’altro sembra vada accettata supinamente. E’ mai possibile che questa giostra nella quale senza volerlo ci siamo venuti a trovare, al cui ritmo ci siamo abituati con non poca fatica, nella quale abbiamo imparato a sopravvivere e perché no, alla quale ci siamo anche affezionati, si debba fermare e senza via di scampo non rimanga alcuna traccia del nostro corpo e della nostra anima?

 
La scienza ci insegna che nulla si crea e nulla si distrugge. Ma se il nostro corpo può essere riciclato utilmente come humus per altre forme di vita, la nostra anima dove finisce?
Allo stato attuale non ci è dato di sapere quali risposte dare a queste legittime domande. Appare però logico e plausibile pensare che la nostra vita faccia parte di un disegno a noi superiore nel quale tutte le nostre domande ed eventuali perpiessità possano trovare adeguata soddisfazione. L’idea che esista il Grande Architetto dell’Universo prende corpo e materializza la speranza di non essere vissuti invano. E’ una speranza che diventa convinzione assoluta allorquando la scienza non sia in grado di dare soluzioni ragionevoli ai misteri della vita e della morte. Il Grande Architetto diviene così da utilitaristica speranza in un ipotetico aldilà (dove continuiamo a vivere, magari in un’altra dimensione) una necessità della nostra mente, una necessità della ragione. A sua volta la suddetta necessità della ragione, frutto della speranza, torna ad essere legittima speranza di poter vivere eternamente in seno al Progetto insondabile del Grande Architetto dell’Universo. Accade così che vivere credendo nella esistenza di una Entità superiore e nella esistenza del suo Progetto possa diventare come l’ago della bussola della vita degli uomini che vivranno la propria realtà in maniera serena certi che la morte non sia un capolinea ma un momento di passaggio.

 
La convinzione consapevole dell’immanenza del Grande Architetto dell’Universo, oltre ad essere la chiave di lettura di un progetto altrimenti incomprensibile, si configura come un vero e proprio arricchimento dello spirito capace di guidarci ad affrontare la vita in maniera più serena e ridimensionare il problema della morte.

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